Fotografare l’invisibile: Sereni e il D-Day

Nella scheda dedicata al Diario d’Algeria nei Saggi italiani, Franco Fortini denunciava il debito contratto da Sereni con “situazioni, tagli, dissolvenze cinematografiche”[1]. L’annotazione compare a margine di un discorso sugli usi della memoria, e in particolare sul “farsi presenza” di figure del passato sotto forma di “visibili fantasmi”. Tra queste presenze, una tra le più memorabili è di certo quella che, nel Diario d’Algeria, si manifesta nei versi di “Non sa più nulla, è alto sulle ali”. La poesia, come la breve prosa che meno oniricamente ne ricostruisce l’occasione ne Gli immediati dintorni, porta la data del giugno 1944 e rinvia allo sbarco degli Alleati in Normandia. Stando a quanto riportato nella prosa di Algeria ’44 la situazione descritta nei versi andrebbe fatta risalire alle primissime ore del 6 giugno – “Il giorno dopo ne ho avuto conferma dal giornale di Orano” –[2] pressoché in contemporanea con l’avvio dell’Operazione Overlord sulle sponde francesi della Manica. In quel “qualcuno” che “stanotte / mi toccava la spalla mormorando / di pregare per l’Europa” riconosciamo infatti il “primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna”. In quanto al mormorio, taglia corto il poeta ancora nell’inquieto dormiveglia del prigioniero[3], non è altro che il vento ma, nella logica confusiva che regola la dubbia interlocuzione, egli  è pure disposto a concedere a quella presenza l’incerto statuto di fantasma. In questa scena, tutta giocata a occhi chiusi col sottofondo di “musiche bizzarre” provocate dal garrire delle tende, l’udito sarebbe destinato a prevalere sulla vista, se non fosse per l’incipit folgorante che indusse Fortini a una mislettura segnalata dallo stesso Sereni. Non alle “immagini dei monumenti ai caduti” è lecito riferire quelle “ali”- ha infatti chiarito l’autore – bensì all’aviazione militare, che avrebbe consentito fin da subito il rimpatrio delle salme dei soldati[4].

Robert Capa davanti a un aeromobile della US Air Force

Tuttavia la potenza evocativa di quell’immagine iniziale, già acuita dal doloroso rimando a una Nike inattingibile per il prigioniero, può caricarsi di un coefficiente visivo ulteriore in virtù del rinvio a una vera e propria immagine fantasma.

C’era un grande fotografo americano che seguiva le truppe americane, Robert Capa, che ha fissato in un’istantanea il momento in cui il primo soldato fu falciato dal fuoco delle mitragliatrici tedesche sulla spiaggia di Normandia.[5]

Agli scatti realizzati dal fondatore dell’agenzia Magnum in occasione del D-Day Sereni aveva già fatto riferimento nel corsivo che chiude il secondo frammento di Algeria ’44, senza però menzionarne l’autore se non come “ardito fotoreporter”. La riserva verrà sciolta soltanto nel 1979, in risposta a un quesito puntuale rivoltogli da uno studente: “Come mai ha voluto riferirsi proprio a un soldato protagonista dello sbarco in Normandia?”[6]. È allora che Sereni fa il nome di Umberto Saba come di colui che, più di 25 anni prima, gli aveva raccontato la ‘vera’ storia di quello scatto[7]. Nella corrispondenza intrecciata tra il 1946 e il ’54 col più giovane poeta, al quale si legò di affetto sincero, duraturo e ricambiato, Saba non si peritava di ammannire pareri e giudizi talvolta sferzanti (“le tue nuove poesie sono poca cosa”)[8]. Ma in quanto al Diario d’Algeria, considerava la quarta composizione della sezione eponima “la poesia della raccolta che più mi è piaciuta”; in particolare trovava preciso e sentito il secondo verso (“il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna”). Lo stesso che, nella recensione firmata per il Corriere della sera nel 1947 definì “forse, il […] più infantile di tutta la letteratura italiana”[9]. La “molta sonorità” e “quell’idea di chi è stato il primo” concorrevano a rendere puerile all’orecchio del recensore un verso reso tale innanzitutto dall’immagine del caduto bocconi: “Poi avrai osservato (come soldato) che i soldati (che muoiono davvero) cadono quasi sempre supini” –[10] mentre sarebbero piuttosto i bambini che fingono la guerra a inscenare l’altra morte.

Robert Capa, Pescatori normanni davanti ai corpi dei soldati uccisi, Omaha Beach, 8 giugno 1944

Queste parole, tratte da una lettera del 1952, lasciano trasparire un certo sadismo, non estraneo alla condotta epistolare dell’anziano corrispondente, “dispotica e lunatica persona”[11] non nuova a simili esternazioni (in una sua del ’49 aveva vòlto in beffarda canzonatura il nucleo stesso della poetica dell’autore del Diario d’Algeria: “Non dimenticarti di mandarmi i nuovi capitoli di Una guerra non combattuta (ti dispiace, eh, di non averla combattuta… e vinta?)”[12].

Con ogni probabilità, tuttavia, la memoria visiva ingannava il poeta triestino che, involontariamente, si troverebbe qui ad operare una surimpression non diversa da quella registrata nella Recherche a proposito di una veduta di Delft di Vermeer. Se il “petit pain de mur jaune” non compare nel quadro che il narratore ci descrive nell’episodio della morte di Bergotte[13], allo stesso modo quel “primo caduto” dello sbarco alleato manca tra le foto di Capa. Dei primi morti rimasti sulla spiaggia di Colleville-sur-mer non è rimasto nient’altro che una traccia narrativa in Slightly out of focus, il memoir pubblicato dal fotoreporter nel 1947:

The next mortar shell fell between the barbed wire and the sea, and every piece of shrapnel found a man’s body. The Irish priest and the Jewish doctor were the first to stand on the ‘Easy Red’ beach. […] Half a minute later, my camera jammed – my roll was finished. I reached in my bag for a new roll, and my wet, shaking hands ruined the roll before I could insert it in my camera. […] The men around me lay motionless. Only the dead on the waterline rolled with the waves.[14]

E, a onore del vero, le prime salme tornarono in Inghilterra via mare, non alte sulle ali dei quadrimotori della United States Air Force, come testimoniano le foto che Capa riuscì a scattare una volta messosi in salvo su una chiatta da sbarco, dopo le circa due ore d’inferno passate “on the beach” sotto il fuoco nazista.

Robert Capa, A bordo dell’USS Henrico, al largo di Omaha Beach: corpi di soldati americani uccisi durante lo sbarco, 6 giugno 1944

Infine, delle circa settanta scattate e inviate a Londra per essere sviluppate, soltanto una decina – the Magnificent Eleven – sopravvissero alla camera oscura che avrebbe dovuto renderle disponibili per la stampa, e tra quelle il caduto non c’è.

Scatti superstiti del fotoreportage realizzato da Robert Capa il 6 giugno 1944

Esiste però il falling soldier, lo scatto forse più celebre (e contestato) del fotografo di origine ungherese che ritra(rrebb)e un miliziano colpito a morte nei pressi di Cerro Muriano, in Andalusia:

Ho messo la macchina fotografica sopra la mia testa e senza guardare ho fotografato un soldato mentre si spostava sopra la trincea, questo è tutto. Sono stato in Spagna per tre mesi e al mio ritorno ero un fotografo famoso, perché la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano.[15]

La postura teatrale del soggetto inquadrato, prossimo ad abbattersi sulla schiena, e l’apertura (alare?) delle braccia concorrono a rendere lo scatto insieme drammatico e memorabile, tanto da favorirne l’eventuale sovrapposizione, nella mente di un anziano poeta, a un’istantanea mai realizzata.

Robert Capa, The Falling Soldier, 1936

Per Sereni, ancora una volta, si tratta di un’immagine mentale, più labile di un ricordo (che non potrebbe sussistere, mancando la foto) ma sostenuta dal fantasioso racconto imbastito dal suo autorevole corrispondente[16]. Si potrebbe dire di quella ciò che Emanuele Trevi annota a proposito della image fantôme di Guibert: “in una scrittura sulla fotografia, che la fotografia di cui si parla sia vera o inesistente è esattamente la stessa cosa”[17]. Sta di fatto che dopo la svista di Saba non è più stato possibile, forse neanche per l’autore, guardare a quei versi con occhi innocenti. Di certo, quella foto fantasma vale oggi, per il lettore che ne conosca la vicenda nell’opera di Sereni, come imago agens, tanto più suggestiva in quanto illustrativa della più memorabile presenza ectoplasmatica che abiti i versi del Diario d’Algeria.

Robert Capa, Soldati italiani catturati dagli americani marciano verso il campo prigionieri, Tunisia 1943

[1] F. Fortini, Saggi italiani, Milano, Garzanti 1987, p. 128.

[2] V. Sereni, Algeria ’44, in Id., La tentazione della prosa, a cura di Giulia Raboni, Milano, Mondadori 1998, p. 18.

[3] La scena si svolge nel Campo ospedale 127, nei dintorni di Orano, in Algeria.

[4] Cfr. F. Fortini, Saggi italiani, cit., p. 129.

[5] Bertolucci Sereni Zanzotto Porta Conte Cucchi, Sulla poesia, Conversazioni nelle scuole, Parma, Pratiche Editrice 1981, p. 50.

[6] Ibidem.

[7] Saba torna sui versi di “Non sa più nulla, è alto sulle ali”, nelle lettere a Sereni del primo giugno 1947, del 6 agosto ‘52 e, in particolare ricapitolando la vicenda della foto fantasma, in quella del 18 agosto 1952 (cfr. U. Saba, V. Sereni, Il cerchio imperfetto. Lettere 1946-1954, Milano, Archinto 2010, pp. 55, 170, 178-79).

[8] Ivi, p.168 (lettera del 6 agosto 1952).

[9] La recensione del 4 dicembre 1947 si legge in: U. Saba, Tutte le prose, a cura di A. Stara, Milano, Mondadori 2001, pp. 999-1002.

[10] U. Saba, V. Sereni, Il cerchio imperfetto. Lettere 1946-1954, cit., pp. 178-179.

[11] A. Bertolucci, V. Sereni, Una lunga amicizia. Lettere (1938-1982), Milano, Garzanti 1994, p. 109.

[12] U. Saba, V. Sereni, Il cerchio imperfetto. Lettere 1946-1954, cit., p. 121.

[13] Alla svista proustiana è dedicato il saggio di L. Renzi, Proust e Vermeer. Apologia dell’imprecisione, Bologna, il Mulino 1999.

[14] Il brano, tratto da R. Capa, Leggermente fuori fuoco, si può leggere qui.

[15] Brano tratto da un’intervista radiofonica risalente all’ottobre del 1947.

[16] Così Sereni agli studenti di Parma: “Naturalmente si tratta di una fantasia di Umberto Saba, di un piccolo aneddoto di contorno” (Bertolucci Sereni Zanzotto Porta Conte Cucchi, Sulla poesia, Conversazioni nelle scuole, cit., p. 50).

[17] Cito dalla prefazione a H. Guibert, L’immagine fantasma [1981], Contrasto 2021.

In copertina: scatti superstiti del fotoreportage realizzato da Robert Capa il 6 giugno 1944

insegna Teoria e Critica della letteratura a Roma Tre. Ha pubblicato, tra l’altro, “Sconfinamenti d’autore. Episodi di letteratura giovanile presso gli scrittori italiani contemporanei” (Giardini 2002), “Patria e lettere. Per una critica della letteratura postcoloniale e migrante in Italia” (Perrone 2012), “Per Emilio Villa. 5 referti tardivi” (Lithos 2016). Ha curato “Mezzo secolo di Bufera”, fascicolo monografico della rivista «Trasparenze» dedicato alle “47 poesie” di Eugenio Montale (San Marco dei Giustiniani 2007). È del 2020, presso Morellini, “Moti di imitazione. Teorie della mimesi e letteratura”, pure a sua cura.

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