Sei trame asemiche

Francesca Biasetton, Laura Cingolani, Mariangela Guatteri, Floriana Rigo, Tommasina Bianca Squadrito, Martina Stella

Tra le molteplici sperimentazioni sul linguaggio, Mirella Bentivoglio nel 1972 ha visualizzato la terza persona dell’indicativo presente del verbo «sembrare» in un oggetto «cinetico-luminoso» in cui la parola «sembra» è frammentata tramite la rotazione di un disco. Molti anni dopo, su suggerimento del collezionista Gianni Garrera, le immagini tratte da quella pagina-schermo cinetica furono trasformate in un breve video in cui l’originale dinamismo venne, diciamo così, ricomposto in una sequenza di pulsazioni visive disturbate che sfruttano ampi margini di sfocatura, ripetizioni e interruzioni per rendere tangibile l’aleatorietà dell’apparire racchiuso nel verbo «sembrare»[1].

Negli anni seminali delle neoavanguardie Mirella Bentivoglio, con Tomaso Binga, Anna Oberto, Maria Lai, Elisabetta Gut e Irma Blank, hanno iniziato a far sentire in Italia la loro voce al femminile contribuendo al discorso sul genere, a quei tempi unicamente binario.

M. Bentivoglio, frame video verbale da Oggetto cinetico luminoso, 1972-2007

Nel testo che accompagna la prima mostra di artiste verbovisive al Centro Tool di Milano, Anna Oberto scrive nel Manifesto Femminista Anaculturale: «liberazione femminile come liberazione del linguaggio?»[2]. Liberazione, femminile e linguaggio erano temi dibattuti sia nei collettivi femministi sia tra le artiste, anche se la maggior parte non aveva legami con il movimento politico. In Italia Anna e le altre sono state tra le prime a tracciare scritture asemiche (definite asemantiche da Gillo Dorfles), indicando strade attraverso le quali la scrittura femminile potesse liberarsi dai vincoli tradizionali della mera espressione del logos da sempre prerogativa maschile. Con l’opera Sembra, definita videoverbale dall’artista, Bentivoglio coglie alcuni degli aspetti fondativi delle asemic writings, genere artistico che conta ormai una moltitudine di operatori in Italia e nel mondo basato su: simulazione di scritture significanti, slittamenti, dinamismo, immagini disturbate (glitch) e creazione di trame irregolari e precarie.

Per indagare il lascito artistico e critico del manipolo di artiste combattenti che in Italia hanno iniziato a tracciare scritture illeggibili – attività che ha silenziosamente conquistato spazi in pubblicazioni e gallerie, attivando nel web uno scambio internazionale – sono state intervistate sei artiste italiane di generazioni più recenti, interpreti qualificate di sperimentazioni asemiche: Francesca Biasetton, Laura Cingolani, Mariangela Guatteri, Floriana Rigo, Tommasina Bianca Squadrito e Martina Stella.

Infanzie

Le scritture asemiche sono un concentrato di anacronismo accogliendo una molteplicità di rimandi primordiali e attuali, personali e collettivi, formali e psichici che appartengono a una contemporaneità dilatata dove i confini temporali e territoriali sono labili se non inesistenti.

Ma c’è un luogo di germinazione delle scritture illeggibili, un punto di origine. Quasi tutte le artiste intervistate fanno risalire all’apprendimento del mondo dei segni compiuto nella loro infanzia la scintilla del loro interesse. Gli esercizi di calligrafia che con «ostinata fedeltà» ai modelli venivano fatti dagli studenti (come scrisse la maestra elementare Ketty La Rocca)[3], possono portare alla «verità del gesto» come sostiene Squadrito che, in particolare, ne ha ritrovato tracce anche nei movimenti prenatali del feto. Cingolani e Rigo nella loro infanzia hanno invece trovato uno dei divertimenti preferiti nell’imitazione delle calligrafie dei più grandi.

Per Roger Caillois l’imitazione infantile attiene alla paidia, ma entrando nella categoria della mimicry diventa invenzione continua[4]. Recuperare da adulti la dimensione infantile della copia stravolta da errori di trascrizione – le pratiche asemiche si nutrono di errori e sdrucciolamenti – significa creare: come diceva Alighiero Boetti, «scrivere con la mano sinistra è disegnare». Già Vico affermava che «i fanciulli vagliono potentemente nell’imitare […]. Questa Degnità dimostra, che ‘l mondo fanciullo fu di nazioni poetiche, non essendo altro la poesia, che imitazione»[5].

L. Cingolani, Trasmutare, inchiostro su quaderno, 2020, p.23

La scoperta della magia dei segni apre mondi nella fantasia del bambino e consente per esempio a Laura Cingolani di passare dall’imitazione all’invenzione di codici, come il suo finto inglese infantile – un grammelot scritto. Mariangela Guatteri è invece partita dai «testimoni dei mutamenti geografici» osservati da bambina nella natura, affascinata dai segni simili a scritture primordiali lasciati dai movimenti lentissimi di tracce fossili, avviando quella che l’artista definisce una forma di rispetto per i segni, il loro particolare «modo di essere».

La propria infanzia si può scoprire o inventare nel tempo. L’incontro con la scrittura asemica può avvenire anche per caso: come per Stella che, dopo aver praticato diverse ricerche letterarie, ha una rivelazione tra il sonno e la veglia osservando i gesti all’apparenza incomprensibili di una persona che si muove nello spazio armeggiando un oggetto. Parte direttamente invece dalla calligrafia Francesca Biasetton per poi allontanarsi gradualmente dal virtuosismo tecnico per liberare il segno dal significato e dall’estetica delle regole.

F. Biasetton, Segni su carta, 2020, tempera su carta e collage

Tessiture

Nell’introduzione alla mostra di artiste verbovisive internazionali alla Biennale di Venezia del 1978, dichiarava Bentivoglio: «Una connotazione veramente particolare di queste operazioni femminili è la tendenza a trasformare il linguaggio in tessile […]. Forse una prova di penetrazione nell’inconscio e dell’incontro della donna con il suo mito. Il filo delle Parche, di Arianna, di Aracne, il filo del discorso spezzato, che sembra ora venire ripreso»[6].

Nel rivolgerci alle artiste asemiche di oggi abbiamo voluto verificare la validità, tuttora, di questa qualità ‘tessile’ delle scritture di ricerca al femminile. Una delle caratteristiche dell’asemic, senza distinzione di genere ma che sembra derivare dall’attitudine descritta da Bentivoglio, è proprio l’infinita configurazione di segni che dialogano con i supporti. Le artiste intervistate non concordano tutte sull’aspetto tessile delle loro opere e, seppur riconoscano la presenza inconsapevole del ritmo, arrivano a sostenere – come fa Guatteri – che il ritmo è in ogni azione e per principio la sua è una ricerca che non tende mai alla determinazione essendo la sua natura «indeterminata». O come Stella, che non si riconosce nel discorso tessile della sua pratica asemica pur consapevole che le artiste ‘storiche’, come quelle presenti nella recente mostra Threading spaces[7], hanno avuto un ruolo fondamentale. Cingolani si identifica invece con la ‘tessilità’ dell’asemico come tratto femminile esteso alla «modalità e strategia di un lavoro artigianale». Il ritmo è del corpo invitato a lasciarsi andare spontaneamente, cogliendo nella velocità di esecuzione la verità del gesto. Se la tessitura poi richiede in sé una progettualità, Rigo sostiene che è «l’opera il suo progetto» anche se riconosce l’aspetto femminile della tessitura. Ha comunque imitato ricami in una serie di lavori affermando che «nell’asemic la scrittura può semplicemente svolgersi, può rammendare, configurare, sottolineare, sovrapporsi, intersecarsi, può nascondersi sotto strati che la superano, la confondono, può disfarsi, perdersi, cancellarsi, auto-censurarsi».

A livello concettuale il discorso tessile porta a uno dei numerosi slittamenti impliciti in questa pratica. La tessitura si basa su un principio di ordine anche se non regolare, ma osservando le scritture illeggibili possiamo verificare il loro scivolare verso l’informe. Partendo dalla nota definizione di Georges Bataille e indagata da Didi-Huberman, confutata da Bois e Krauss, la nozione di Informe è da leggere nel senso di declassamento. Come sottolinea Claudio Zambianchi rifacendosi alla definizione di informe data dallo stesso Bataille, «l’informe non designa la modalità visiva di presentarsi di un’opera d’arte […], ma un’operazione, o una serie di operazioni volte al declassamento»[8] nel senso del «deludere un’attesa», che porta allo spiazzamento come dichiara Yve-Alain Bois[9]. Questo sembra essere un aspetto centrale delle scritture asemiche che prende le mosse dall’esigenza di rovesciare un ordine, quello del linguaggio come espressione di potere. Come decisivo è il loro carattere entropico nel senso di sprofondamento, accumulo e spreco irrecuperabile.

T.B. Squadrito, Forse spostamenti, 2008, squarci inchiostro grafite

Pertinente anche il concetto di ‘orizzontalità’ di alcune forme di disegno definite come simboliche in quanto costituite da segni da Walter Benjamin e riportato nel saggio L’informe[10]: le scritture asemiche sono chiaramente assimilabili al disegno ma come segni che imitano dei significanti che eludono il significato, si pongono come simboli dell’inganno della scrittura, «manifestazioni del rovescio, infero, della scrittura (la verità è al/ nel rovescio)», secondo Roland Barthes[11].

Orienti

Utilizzati spesso nelle sperimentazioni linguistiche dal Lettrismo in poi, i grafemi orientali – come tutti i codici linguistici – diventano asemici per chi non li conosce. La rigorosa postura mentale e fisica della loro esecuzione può costituire una iniziazione alla manipolazione di altri codici. Memoria di scritture orientali si trova spesso nelle calligrafie illeggibili, come quelle di Biasetton e Stella. E Floriana Rigo arriva a imitare giocosamente pittografie cinesi chiamando le sue Falsificazioni cinesi. L’oriente è riferimento soprattutto direi nella pratica dello svuotamento, del fare spazio all’accadimento accidentale e contingente che deve fluire dal gesto come sostiene Cingolani, mentre Guatteri pensa che «l’atto creativo è prima del gesto».

F. Rigo, Falsificazione cinese, 2008, inchiostro su taccuino

Caso

Gli arabeschi che si appropriano della superficie hanno un margine di casualità che può essere messo in relazione con l’aleatorietà del gesto dadaista «assurto a principio artistico, elemento generativo di una poiesis ormai completamente sradicata da ogni residuo realismo», come sostiene Valerio Magrelli[12].

La scrittura asemica non si può programmare secondo Biasetton e la casualità deve essere ‘cercata’ anche riutilizzando materiali già usati. Per Rigo il caso è un gesto sapienziale che unisce la cultura orientale e la fisica contemporanea, passando per il Coup de dés e le avanguardie. I segni sgorgano liberamente dal vuoto creato nella mente. Guatteri osserva ciò che accade in assenza di un disegno preordinato: il deficit può aprire alla conoscenza. Il caso è accolto da Cingolani come una fase del lavoro, artistico o terapeutico, che sta tra l’inconsapevolezza e la consapevolezza. La mente (e il corpo) devono essere messi nella condizione di esprimersi come in una danza rituale.

Materiali

Nella propria officina l’artista apre al caso anche nel dialogo con i materiali prendendosi «il rischio e le incognite», secondo Tommasina Bianca Squadrito. Soprattutto la carta diventa luogo privilegiato della scrittura, campo di azione neutrale e materia da plasmare, come per Stella che usa anche la tecnologia del ‘mapping video’. Il supporto si fa spazio dialettico di segni che hanno una vita propria[13]. Guatteri non ha materiali preferiti ma ognuno ha le sue ‘ragioni’: Polaroid e poi xerografie fino alle tecnologie informatiche e al glitch. Biasetton parte dalla pratica calligrafica e tende a usare gli stessi strumenti: pennini, inchiostri e tempere su carta ma anche quelli che ‘sporcano’ il segno come cola pen o tiralinee. Cingolani ha un rapporto empatico con i materiali: materiali ‘ancestrali’ quali creta, legno, pietra, sabbia vengono utilizzati in particolari momenti e condizioni, come più di recente i quaderni vintage per bambini. Dopo l’imitazione di caratteri cinesi Rigo è passata alla carta d’acquarello e all’uso di timbri orientali sostituiti a volte da impronte digitali. Anche lei utilizza materiali infantili: timbrini con lettere e figure e pagine di libri scolastici. E poi «getti, schizzi, soffi salutari d’inchiostro», includendo macchie di caffè e curcuma o materiali domestici vari.

L. Cingolani, Scrittura-estensiva, 2017, grafite su carta da spolvero

Corpo  

Secondo Barthes la scrittura è pratica manichea, che castra o redime come a dire che «nelle esperienze di pura scrizione […] il corpo e il corpo soltanto viene coinvolto»[14], per obbligo o per diletto. La scrittura a mano è memoria del corpo e traccia di diverse posture fisiche e mentali. Guatteri sostiene che il corpo deve essere inteso nella totalità corpo-mente, al di là della pratica più o meno concettuale. Nella scrittura asemica, secondo Cingolani, attraverso la gestualità si può esprimere l’emozione ma anche la rabbia. Per Squadrito il corpo c’è dove la scrittura è libera e nel tatto si riassume la sua presenza. Ma il corpo può essere percepito anche attraverso una patologia, e la liberazione per Rigo è stato l’incontro con il gruppo Asemic Writing New Post Literate.

Nell’aurorale catalogo della mostra sui libri d’artista I denti del drago, sosteneva Daniela Palazzoli che nell’ambito informale (corrente di riferimento con il concettuale per le scritture asemiche), attraverso la gestualità, il libro diventa un «luogo di esperienza»[15]. Secondo la studiosa il libro si trasforma così nell’evento e non nella sua registrazione, citando a questo proposito l’opera di Emilio Villa, Corrado Costa e Ugo Carrega, autori di riferimento per tutte le pratiche sperimentali che portano alle pratiche asemiche. Bentivoglio parla di «fusione di corpo e linguaggio», indicando nelle opere di varie artiste diverse coniugazioni di questa osmosi[16].

Poesia

C’è una relazione tra la poesia e la scrittura asemica? Per Rigo la scrittura è sempre stata poietica e coniugata in diverse prospettive dadaiste-situazioniste con diverse tipologie di opere, fino all’approdo all’universo asemic. Secondo Guatteri la pratica asemica ha molti legami con la poesia, che è però «movimento che ha dentro il suono». Per Cingolani c’è un rapporto molto profondo tra i due ambiti, che attraverso l’intuito rivela un aspetto sacrale. Biasetton ha invece incontrato la poesia attraverso la sua traduzione calligrafica e, procedendo per astrazioni successive, è arrivata a rompere radicalmente il legame iniziale, liberando il segno dai vincoli del significato.

F. Rigo, fullsizeoutput, 2020, tecnica mista e timbrini su carta

Libertà

Per Vico la poesia è la prima forma espressiva e dà la possibilità di creare le proprie origini: genio poetico e fantasia danno vita ai codici di comunicazione. L’artista asemico è poieta libero di creare o ricreare le proprie origini imitando segni attinti a una molteplicità di riferimenti. Pratica lontana dal citazionismo postmoderno, la ripetizione differente di Renato Barilli, anche se ne condivide il senso di ‘autenticità’ da ritrovare in «una serie illimitata di dispersioni-disseminazioni-alienazioni; l’egoismo (in senso letterale) deve considerarsi sconfitto a favore di un altrettanto letterale altruismo o spirito di alienazione»[17].

Guatteri pensa che la scrittura asemica come ogni attività umana sia «un’estensione di sé», libera solo se è «una reintegrazione personale che fa i conti con tutte le fratture, con la scissione, con uno stato di crisi». L’artista fa riferimento al Mokşa: parola sanscrita che significa liberazione, «verità nella parola dissidente»[18]. Secondo Biasetton quello che viene liberato è solo il segno che è frutto di un particolare movimento della mano del suo autore. Per Cingolani libertà è nel gioco infantile dell’incomprensibilità, la scoperta di potersi nascondere e dissimulare.

M. Stella, Parole al vento, 2020, video still (performance di scrittura asemica ed installazione, inchiostro su tovaglia usa e getta)

Segreti

Le scritture illeggibili imitano diverse forme di scrittura parodiando lettere formali o semplici appunti, impiegando calligrafie di varie epoche e culture, coltivando la sfocatura la ripetizione e l’errore. Segni che evocano altri segni in un gioco di somiglianze che custodisce il segreto della scrittura. Nelle parole e le cose Michel Foucault, dopo aver affermato che «non vi è somiglianza senza segnatura», si chiede: «Quale forma costituisce il segno nel suo singolare valore di segno? È la somiglianza […]. La segnatura e ciò che essa indica sono esattamente di uguale natura; non obbediscono che a una legge di distribuzione diversa; il ritaglio è lo stesso». E aggiunge che la conoscenza scaturisce dalla «intaccatura» tra le similitudini che opera nel tempo «procedendo, con uno zig zag senza fine, dal simile a ciò che ad esso è simile»[19].

L’asemic elimina la fonetica e silenzia definitivamente la scrittura, impedendo la praticabilità del codice linguistico. L’udito è abolito, rimane lo sguardo. Il silenzio è per Germano Celant un mettere in pausa[20], un sospendere. Anche Barthes si interessa al rapporto tra scrittura e silenzio. Quando il linguaggio viene «disintegrato» – processo iniziato da Mallarmé – questo «conduce inevitabilmente al silenzio della scrittura» portando inevitabilmente al suicidio della Letteratura. «Ogni silenzio della forma sfugge all’impostura solo col mutismo completo»[21], non ci sono alternative. Le varie coniugazioni delle scritture illeggibili si identificano con questo mutismo radicale.

Nel segreto della loro illeggibilità, queste scritture sono una forma del parlar di sé come nell’esercizio diaristico, che secondo Fabrizio Scrivano è «un modo particolare di organizzare l’esperienza del tempo narrato, che viene spinto a coincidere con il tempo della narrazione»[22]. La liberazione dei codici della scrittura sembra dare la possibilità di esprimere il proprio tempo interiore. Ma non bisogna collegarlo necessariamente a un’attitudine femminile a tenere un diario, come ipotizzava Bentivoglio.

Quasi tutte le artiste intervistate non credono sia possibile custodire il segreto, una volta scritto: solo Squadrito crede in una scrittura in cui coinvolgere «presenza e memoria», come avviene anche nelle lettere. Cingolani afferma di aver sempre scritto in un senso casomai ‘antibiografico’, consapevole che la scrittura tende invece alla biografia, anche se poi si sviluppa in altre direzioni. Nascondere il significato è per lei un aspetto importante che però crea, attraverso l’improvvisazione, uno spazio magico ‘aperto’ anche a segni ‘senza nome’. Biasetton si è invece diretta «verso una astrazione che libera totalmente il testo dai vincoli della leggibilità», mentre Rigo nel suo lavoro arriva a sottrarre per annullare. Alla ‘necessità’ di negare il significato è poi seguita la ‘volontà’ di farlo, per Stella. L’occultamento per Guatteri non ha luogo nella sua ricerca in quanto concentrata nel suo ‘processo di liberazione: il suo problema è stato quello di farsi capire, la disgrafia e il fatto di essere mancina l’ha sempre fatta confrontare con una scrittura per forza incomprensibile.

M. Guatteri, exercise#20110623, 2011, disturbo glitch da immagine analogica

Confini

L’asemic si può leggere anche come un grande lavoro collettivo polverizzato in conformazioni totalmente eterogenee che crea costellazioni tra luoghi distanti. Senza gerarchie e dove si può perdere il discorso autoriale. E di genere.

Come sottolinea Squadrito, l’universo asemic non ha confini perché fonde codici occidentali e orientali, del sud e del nord del mondo. L’asemic writing si avvale del web. Per Biasetton il carattere internazionale è «alla ricerca di una sintonia» con chi le osserva, e Stella trova il network asemico «magnifico e trasversale», eclettico e saldo nelle sue diversità. Cingolani apprezza il sentirsi ‘cittadina del mondo’, molto utile anche nel contesto educativo in cui lei opera. La rete crea l’occasione di partecipare a mostre virtuali come quelle organizzate dalle Asemic Women Writers Intuitive Artists a cui partecipa Rigo. che trova il carattere internazionale «esperienza felice e salutare». Ma questopuò essere insidioso, come osserva Guatteri: che vede nella proliferazione in rete di scritture asemiche il rischio di un depotenziamento. L’eccesso di presenza sembra rivelare una specie di horror vacui che è da osservare, secondo lei, con «occhio clinico». E non vede nel web un aiuto alla presenza femminile.

M. Stella, Pagina porta3 dalla serie Libri aperti-stanze, 2020, 3 planches A5 inchiostro su carta digitalizzata

Generi 

Rispetto alla questione di genere, infine, le artiste intervistate si muovono in un ambito più fluido in confronto alle pioniere. Non credono a connotazioni femminili del lavoro creativo (Guatteri, Squadrito, Stella, Rigo), pur lamentando a volte la scarsa presenza di artiste donne (Biasetton). Solo Cingolani intravvede in controluce aspetti che riguardano alcune particolari attitudini distintive. Sembra così compiersi l’auspicio di una creazione androgina, come ipotizzato già nel 1929 da Virginia Woolf[23].

La categoria del Neutro, teorizzata da Barthes, può diventare allora una chiave di lettura della pratica asemica in generale, in quanto abbatte i presunti confini tra espressione del femminile e del maschile. La prerogativa del potere, storicamente coniugata al maschile, viene annullata nelle scritture illeggibili che eludono il significato ma cercano un nuovo ordine di senso. Barthes precisa che «il Neutro non è una media di attivo e passivo; un va-e-vieni, una oscillazione amorale, in breve, si può dire, il contrario di un’antinomia»[24]. Nell’elenco di figure proposte il semiologo include «il linguaggio adamitico – l’insignificanza gustosa – il liscio – il vuoto, il senza cuciture […] la vacanza della “persona”, se non annullata almeno ridotta irreperibile – l’assenza di imago – la sospensione di giudizio, di processo – lo spostamento – il rifiuto di “darsi un contegno” (il rifiuto di ogni contegno) il principio di delicatezza – la deriva – la gioia: tutto ciò che schiva o manda a monte o rende derisoria la parata, la padronanza, l’intimidazione»[25]. Il Neutro è dunque «il rifiuto di dogmatizzare» in cui la «non organizzazione = non conclusione», mette in crisi la padronanza che Barthes chiama «parata». Neutro è il rovescio che si dà a vedere – aspetto fondamentale dell’universo asemico – e, con riferimento al Tao, è sospensione del narcisismo. Il pensiero del Neutro è un pensiero-limite, ai bordi del linguaggio. Ma come scrive Nicole Janigro «il neutro non neutralizza, non è imparziale, non annulla la differenza, forma il proprio singolare»[26].

È proprio questa la specifica funzione liberatoria dalle strettoie di genere che le scritture asemiche sembrano aver raggiunto in una complessità di rimandi dove l’instabilità diventa uno strumento duttile che trova le proprie regole nel fare.

In copertina: Mariangela Guatteri, no-title#02011, elaborazione digitale di inchiostro su carta, 2011


[1] L’opera fu realizzata con Nino Calos, ed è riprodotta qui.

[2] Esposizione Internazionale di operatrici visuali,a cura di M. Bentivoglio, Milano, Centro Tool, 11-31 gennaio 1972.

[3] L. Saccà, Ketty La Rocca, I suoi scritti, Martano 2005, p. 111.

[4] R. Caillois, I giochi e gli uomini [1958], Bompiani 1981, p. 40.

[5] G. B. Vico, La scienza nuova [1744],Einaudi 1976, p. 101.

[6] Materializzazione del linguaggio, a cura diM. Bentivoglio Biennale di Venezia, Magazzini del Sale alle Zattere 20 settembre-15 ottobre 1978, p. 3.

[7] Threading spaces,a cura di P. Cortese, Londra, Repetto Gallery, 25 marzo-3 maggio 2019.

[8] C. Zambianchi, Forme dell’informe, in Letture dell’informe. Rosalind Krauss e Georges Didi-Huberman, a cura di A. D’Ammando e M. Spadoni, Lithos 2014, p. 17.

[9] Y.-A. Bois, R. Krauss, L’informe. Istruzioni per l’uso [1996],Bruno Mondadori 2003, p. 3.

[10] Ivi, pp. 90-91, viene riportato un passo da W. Benjamin, Pittura e grafica,in Id., Metafisica della gioventù. Scritti 1910-18,Einaudi 1982, p. 202.

[11] R. Barthes, Variazioni sulla scrittura, Einaudi 1999, p. 11.

[12] V. Magrelli, Profilo del dada [1990], Laterza 2006, p. 112.

[13] R. Barilli, Informale Oggetto Comportamento, vol. I, Feltrinelli 1979, p. 53.

[14] R. Barthes, Variazioni cit., p. 51.

[15] D. Palazzoli, I denti del drago. Le trasformazioni della pagina del libro, L’uomo e l’arte 1972, p. 15.

[16] M. Bentivoglio, Poesia visiva. La donazione di Mirella Bentivoglio al Mart, Silvana 2011, p. 21. Nell’introduzione individua nella poesia gestuale di Ketty La Rocca riferimenti a eco ancestrali, così come ai capelli dei Libri-scalpo di Maria Lai. A volte il corpo è usato ironicamente come nell’Alfabetiere di Tomaso Binga.

[17] R. Barilli, La ripetizione differente, Studio Marconi 1974, p. 12.

[18] Cfr. il catalogo di Concreta festapoesia, Diacritica 2019, p. 322. La manifestazione, svoltasi a cura di G. Garrera, I. Puskás e S. Triulzi presso l’Accademia d’Ungheria a Roma dal 21 aprile al 6 maggio 2018, è stato un fondamentale luogo di confronto sulle scritture di ricerca.

[19] M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane [1967] Rizzoli 2007, pp. 43-44.

[20] G. Celant, offmedia, Dedalo 1977, p. 123.

[21] R. Barthes, Il grado zero della scrittura [1953], Einaudi 1982, p. 54.

[22] F. Scrivano, Diario e narrazione, Quodlibet 2014, p. 27.

[23] Come noto il dibattito sul carattere androgino della scrittura si è sviluppato nel tempo avvalendosi tra gli altri dei contributi di E. Zola, C. Jung, R. Krauss, F. Franchi.

[24] Cfr. http://www.rigabooks.it/antologie.php?idlanguage=1&id=772&idantologia=822.

[25] R. Barthes, Barthes di Roland Barthes [1975], Einaudi 1980, pp. 150-151.

[26] Cfr. https://www.doppiozero.com/rubriche/108/201211/neutro

Francesca Biasetton (Genova 1961). Dopo gli studi di calligrafia elabora personali variazioni che si allontanano dalle scritture formali, e quindi dalla leggibilità. Considera le potenzialità espressive della linea, in cui il segno diventa traccia del movimento, memoria di segni/lettera, evocazione di un testo attraverso immagini in equilibrio tra scrittura, disegno e astrazione. I suoi lavori sono stati esposti in Italia, Iran, Belgio e sono presenti presso la Sammlung Kalligraphie di Berlino. Ha pubblicato La bellezza del segno (Laterza 2018).

Laura Cingolani (Ancona 1973). Si esprime con forme poetiche di varia natura, integrando classicismo e sperimentazione. Pratica poesia lineare, sonora, visiva e perfomativa. Dal 1998 i suoi testi compaiono in varie antologie e riviste. Nel 2019 pubblica Mangio alberi e altre poesie, edizioni del verri, Milano. Espone in mostre collettive sulla scrittura asemica come CONCRETA 1 all’Accademia d’Ungheria di Roma del 2018 e Écrire en dessinant. Quand la langue cherche son autre, Ginevra, catalogo Skira, 2020.

Mariangela Guatteri (Reggio Emilia 1963). Il suo lavoro asemico si intreccia fortemente con il versante della Glitch Art e l’indagine svolta è di tipo teorico-pratico. Recenti contributi teorici in: “Asemic Writing”, Archimuseo Adriano Accattino, “Collana Studi e scritture di Poesia Visiva Sperimentale”, n. 1, Ivrea 2018; “Utsanga”, 20-2019. Recenti contributi testuali e visivi in CONCRETA 1, a cura di G. Garrera, I. Puskás, S.Triulzi, Diacritica 2019. Tra le altre, ha partecipato alla mostra collettiva Écrire en dessinant, Ginevra 2020.

Floriana Rigo (Crespano del Grappa 1955). Laureata in Architettura a Venezia inizia a esporre nel 1982 e poi partecipa a numerose mostre. Le prime Falsificazioni cinesi sono del 2008 con la mostra al Palazzo della Ragione a Mantova a cui ne seguiranno altre fino. Nel 2010 entrano in un volume omonimo della collana “Carte di bordo” (Overwiew edizioni). Nel 2015 entra nel gruppo “Asemic Writing New Post Literate” comunicando quotidianamente con artisti asemantici del pianeta, anche attraverso Asemicnet (a cura di Marco Giovenale). Sue pittografie sono pubblicate nella rivista “Utsanga”.

Tommasina Bianca Squadrito (Palermo). Ha studiato scultura a Palermo e filosofia a Firenze, nel 1997 fonda Officina Patosq.  Negli ultimi due anni elabora lavori multiformi. Nel 2018 la performance-installazione Accanto con la flautista Eva Geraci. Del 2019 è Camico, una lingua selvatica: video e lettura con fogli lacerati. Ha dedicato diversi lavori alla filosofa Maria Zambrano. Lavora sui confini tra le arti e collabora con architetti, musicisti e attrici seguendo il suo interesse per le scritture illeggibili. Ha pubblicato su “The new post-literate”, “Asemic magazine 15”, “Utsanga”, “Gammm” e altri.

Martina Stella (Trieste 1992). Laureata in Fotografia e arte contemporanea a Paris 8, con la tesi Il video mapping come forma simbolica (In Image beyond the screen, ISTE 2019). La sua pratica artistica, spesso basata sull’installazione, vede il segno scritto come mezzo per interrogare il nostro rapporto con il tempo e lo spazio. Artista e tecnico audiovisivo, Stella vive e lavora tra Italia e Francia. Ha partecipato a numerose esposizioni e festival internazionali come Écrire en dessinant del 2020 e la biennale See Djerba (TU). Recentemente, ha pubblicato un poetry comics asemico nell’opera collettiva Dorso Mondo, Squilibri 2021.

(Roma 1960). Diplomata in pittura presso l’Accademia di BBAA di Roma, laureata in Storia dell’Arte Contemporanea presso Sapienza Università di Roma. PhD nella stessa università con una tesi sui “Giochi linguistici nelle opere su carta di Gastone Novelli”. Studia soprattutto l’ambito verbovisivo, spesso coniugato al femminile. Ha curato con Antonella Sbrilli la mostra “Ah, che rebus! Cinque secoli di enigmi tra arte e gioco in Italia” (ING Roma 2010). Ha partecipato alla pubblicazione “Ketty La Rocca Nuovi studi” (a cura di Francesca Gallo e Raffaella Perna, postmedia books 2015) e curato con Angelandreina Rorro la mostra “Oltre la parola. Mirella Bentivoglio dalla collezione Garrera” (MLAC Roma 2019). Ha scritto per “alfabeta2” “Essere soltanto. Marco Giovenale nel rovescio della scrittura” (2019). Insegna in un liceo romano.

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