Bataille, Leiris e il «segreto»

È verso la fine del 1924 che Georges Bataille entra per la prima volta in contatto con Michel Leiris. A fare da tramite è Jacques Lavaud, come lui bibliotecario alla Bibliothèque nationale di Parigi. Fattore aggregante nel sodalizio che subito si instaura tra i due è il progetto di dar vita assieme a Lavaud, in un bordello nei pressi della porta Saint-Denis, al movimento Oui, antitetico alla  «negazione sistematicamente  provocatoria» del dadaismo[1]. Ma a connotare questo sodalizio è, più che la comunanza di una posizione univoca, l’alternanza di fulminee tangenze e di laceranti rotture. Tanto che si potrebbe quasi parlare di incontro mancato se Leiris non avesse avuto cura di fare del dissidio una modalità della comunicazione:

L’errore che consiste nel confondere «comunicazione» con «accordo perfetto» […] può esserci comunicazione anche nel disaccordo, comunicazione all’interno stesso della discussione.

«Comunicazione», insomma, implica un accordo profondo, e non un semplice accordo formale, – un accordo reale, anche quando, dal punto di vista logico, vi è  disaccordo[2].

Senza volere qui rifare la storia del percorso di ciascuno dei due intellettuali – peraltro già tracciata dai loro rispettivi biografi[3] – non si può non rilevare come l’adesione di Leiris al surrealismo nel 1924 rafforzi in Bataille (un Bataille intimidito dal riserbo dell’amico più giovane su ciò che si configurava come una vera e propria “iniziazione” ma, al tempo stesso, sicuro di sé) il suo violento rifiuto verso Breton e Aragon; e come, reciprocamente, il convergere di Bataille e Breton nel gruppo antifascista «Contre-Attaque» produca nel 1935 l’inaspettata uscita di campo di Leiris che pure, fin dal 1925, nelle pagine del Journal, non aveva omesso di evocare quello che sarebbe divenuto un punto nodale nella strategia rivoluzionaria di «Contre-Attaque»: l’anniversario della morte di Luigi XVI[4]. Non meno sorprendente è, tra il 1936 e 1937, l’assenza dell’autore dell’Africa fantasma dai sommari di «Acéphale», la rivista creata da Bataille e André Masson, amico e mentore di Leiris, il quale, in quegli stessi anni, consacra al pittore due recensioni e, in due testi preliminari a Età d’uomo – l’articolo Une peinture d’Antoine Caron, del 1929, e Lucrèce, Judith et Holopherne, del 1930, destinato a un Almanach érotique prospettato dallo stesso Bataille[5] –, mostra il ruolo centrale, nel proprio immaginario, del tema della decollazione e della decapitazione.

Addirittura incomprensibile appare il rifiuto di Leiris di aderire alla società segreta Acéphale se si tiene conto che, studioso di gruppi iniziatici, non solo egli era entrato in contatto, in Africa, con la società delle maschere, ma fin dagli anni 1925-1926, aveva ideato, con Bataille, il progetto di una società segreta orfica e nietzscheana, il cui nome Judas[6], da lui stesso proposto, ritorna insistentemente nella sua opera, nelle varie declinazioni indotte dalla figura dell’apostolo traditore e nell’ulteriore senso (derivato da questa) di «orifizio traditore che consente di osservare ciò che succede all’interno delle prigioni»[7]: dall’evocazione di Mamadou Vad e dei «Negri» infeudati ai Bianchi, simili a quei «montoni che nei mattatoi vengono chiamati “Giuda” perché sono stati addestrati a condurre i loro compagni verso il coltello del macellatore»[8], a una «sedicente tradizione» che vorrebbe l’apostolo impiccato al grosso albero inclinato dello Square du Vert Galant, nella  «terra chiamata anticamente  île des Juifs»[9].

In realtà, se l’epilogo della breve esperienza nel P.C.F. e l’uscita dal surrealismo riportano bruscamente Leiris sul versante di Bataille, sfociando, nel 1930, nel pamphlet collettivo Un Cadavre – sorta di «sacrificio simbolico,  fotografico e letterario di Breton», come rileva Jean Jamin[10] –, i luoghi di tangenza tra i due intellettuali resteranno sempre fragili, provvisori, a cominciare dall’avventura di «Documents» – rivista nella quale Leiris è implicato «più che in ogni altra»[11] – ma che, diversamente dall’amico, egli vivrà come un periodo di malessere, tanto sul piano della scrittura che delle idee, nel difficile tentativo di piegare i temi a lui consoni, dell’occultismo, dell’esoterismo, del meraviglioso alla psicoanalisi e all’etnografia[12].

Il fossato tra i due intellettuali sembra ancor più divaricarsi nel Cercle communiste démocratique, a cui Leiris si riavvicina al ritorno dalla missione Dakar-Gibuti quasi più per l’esigenza di vincere la paura della guerra e l’inclinazione alla diserzione che per l’urgenza di fare sua, davanti alla «progressione del fascismo nel mondo», la parola d’ordine dell’ultrasinistra, pur diligentemente riportata nel Journal: «trasformazione della guerra imperialista in rivoluzione comunista ad opera del proletariato armato»[13]. Basta sfogliare le pagine di «La Critique Sociale», la rivista di Boris Souvarine, per misurare il diverso tenore dell’engagement dell’uno e dell’altro. In Bataille, il percorso visibile di un pensiero politico eterodosso che si va elaborando sotto forma di saggi, di prese di posizione, di polemici dibattiti, nel tentativo di esplicitare, alla luce della psicoanalisi, della scuola sociologica francese e della fenomenologia, il meccanismo di formazione del totalitarismo. In Leiris, poche brevi recensioni che, dietro l’intento esplicito di promuovere le scoperte di Durkheim e di Freud, evocano le ossessioni intime dell’autore, secondo la pratica della confessione indiretta inaugurata su «Documents»[14]: alcolismo, atonia sessuale, sadismo ecc., come se, diversamente da Jo Hancock, il giovane «apprendista rivoluzionario» di Max Eastman, spinto da un’istanza morale a passare dall’estetismo vacuo della poesia e dalla ferocia cinica del mondo degli affari al militantismo, diversamente da Tchen, il terrorista della Condition humaine di Malraux su cui richiama l’attenzione Bataille[15], egli non avesse trovato nell’impegno politico una risposta alla ricerca della vita vera che, da «occidentale in crisi»[16], aveva invano inseguito – sulle orme di Rimbaud – in Africa…

Sintomatico è l’impaccio che accompagna, in una pagina del Journal datata 29 ottobre 1933, la sua stessa partecipazione alla rivista «Masses»[17], di cui l’etnografia si costituisce come uno degli aspetti più radicalmente innovativi: un’etnografia « fatta, non più di analisi distaccata o di degustazione estetizzante, ma di fraternità militante»[18], secondo la prospettiva sviluppata molti anni dopo da Leiris, ma già implicita nella definizione da lui data su «Masses» della «jeune ethnographie» come scienza dialettica e materialista[19] e nella stessa decostruzione del binomio selvaggio/civilizzato inaugurata in «Documents»  vuoi mediante la denuncia della nozione di «civiltà» e della gerarchia bianco/nero[20], vuoi con il ripristino dell’animalità dell’essere umano[21], vuoi ancora attraverso l’individuazione della persistenza del sacro nella stessa lotta di classe quale traspare nel «rito magico» dell’igiene :

C’è qualcosa di essenzialmente religioso nella pulizia e, in ultima analisi, il disprezzo che il borghese ha per il lavoratore, ancor più che sulla differenza di cultura, si basa sulla differenza di pulizia[22].

Quanto alla partecipazione di Leiris al Collège de Sociologie, è stato già sottolineato come si produca tardivamente e resti marginale e non priva di tentennamenti a proposito dell’unica relazione da lui tenuta, Il  sacro  nella vita quotidiana[23], sorta di «inventario autobiografico dei suoi rivelatori del sacro», come scrive Denis Hollier[24], in cui nessuna menzione viene fatta dell’esperienza sul campo in Africa alla quale Bataille fa riferimento al Collège de Sociologie. È noto peraltro il dissenso che, nel rispetto del metodo sociologico di Durkheim e della nozione maussiana di «fatto totale», oppone Leiris a Bataille circa il ruolo accordato dal Collège al sacro, tanto da indurlo a disertare l’ultima conferenza del gruppo[25]. È un fatto che il correttivo apportato da Bataille a Durkheim e all’oggettività scientifica[26] a partire dalla teologia cristiana e dall’esperienza vissuta lascia trapelare la distanza che lo separava, quanto meno nel 1939, dalla posizione dell’amico, teso, nel suo statuto di etnografo, a difendere – a dispetto del partito preso nell’Africa fantasma e nella sua stessa conferenza del Collège – la tendenza dei nuovi esponenti della scuola sociologica francese «a procedere mediante statistica, cartografia, registrazione quanto più nuda dei fatti» [27].

Se a ciò si aggiunge la circostanza che, nel dopoguerra, al momento della prima stesura della Souveraineté, Bataille avrebbe escluso Leiris dalla «comunità ateologica» dei «difensori del male» da lui adombrata a partire  dalla «posizione ferma di una morale» propria di un esiguo gruppo di uomini disposti «a sottrarsi in solitudine» e a contrapporre, «al desiderio di far propria un’affermazione, un’ironia assoluta»[28], si deve concludere che il legame tra i due scrittori, quanto meno sul piano delle loro preoccupazioni, si tradusse in una lenta, impercettibile, ma irreparabile frattura[29].

Nondimeno la testimonianza di Leiris sul percorso comunitario di Bataille negli anni tra le due guerre mondiali è tra le più lucide che si conoscano, oltre che tra le più decise nel respingere i sospetti di una presunta fascinazione dell’hitlerismo sull’amico[30]. Né va dimenticato che è a Leiris che Bataille si rivolge (oltre che a Georges Ambrosino e Patrick Waldberg) nel momento in cui, nell’autunno 1960, il ricordo dell’esperienza di Acéphale si traduce nell’urgenza di dare un seguito al quel lontano tentativo comunitario: «vorrei proprio vederti», «sei tra coloro che mi sento in dovere di rendere partecipi, quanto meno sull’essenziale», «la questione che pone questo passato […] non potrei porla senza parlartene», così egli scrive all’amico da Orléans lasciando trapelare la propria impossible rinuncia:

Non penso affatto di ricominciare, ma sono costretto a rendermi conto che, in fondo, in quell’impresa delirante vi era qualcosa che non poteva morire malgrado il distacco che io stesso  ho provato[31].

Viene spontanea la domanda: Leiris fu davvero così estraneo alle iniziative di Bataille come egli ha più volte dichiarato? La presenza delle iniziali del suo nome in un testo della società segreta Acéphale[32], la struttura gerarchica della comunità iniziatica stessa che prevedeva, accanto alla distribuzione degli adepti in tre gradi — larva, muto e prodigo[33] —, il reclutamento di «partecipanti», esclusi dalle riunioni interne del gruppo, ma selezionati con l’accordo di tutti gli affiliati suggeriscono che egli sia stato più implicato di quanto faccia pensare il contenuto di una scheda, di incerta datazione, ritrovata da Jean Jamin tra le carte dello scrittore:

Esplicitato, il patto a mezze parole di pochi si svalorizza, perché ciò che ne fa la qualità è proprio il fatto che basta che sia implicito. Pensando così, non potevo entrare a far parte della società segreta «Acephale»: rendendo manifesto tra i suoi membri ciò che ritenevo dovesse rimanere nascosto,  mi sembrava di ridurre al ridicolo – e non  di suggellare – il patto quasi tacito che la sua stessa esistenza istituzionalizzava[34].

Iscritto, per via del nonno materno – «alto funzionario della Terza Repubblica» e «venerabile» della loggia massonica «“La Rosa del Perfetto Silenzio”»[35] –, nella storia stessa della sua famiglia, il tema della società segreta torna spesso nelle pagine di Leiris: dall’infantile «casa degli uomini» adombrata con il fratello nel chiuso dei W.C., alla setta più “orgiastica” fondata con un compagno per celebrare il culto di tre dèi inventati di sana pianta; dalla comunità in età più adulta con la Civetta e con Capocchia di spillo alla vera e propria confraternita di Gondar, riunita intorno alla guaritrice Malkam Ayyahou, che lo inizia alle cerimonie di possessione e al culto degli zar determinandolo a dichiarare: «E non avevo mai sentito fino a che punto sono religioso»[36]. Forma privilegiata di comunità elettiva è tuttavia l’amicizia, «intima alleanza con pochi, in perfetta comunione di vedute, di vita e di lavoro», da quella che si concretizza nel «clima straordinario di comunione morale» dell’atelier di Masson[37] a quella più strettamente esistenziale con Bataille, coagulata – come sembra suggerire Bataille stesso[38] – dal comune gusto per la dissipazione (ricerca dell’ebbrezza, frequentazione dei bordelli, nottambulismo) e la cui intensità irrompe in due sorprendenti annotazioni. L’una di Bataille, al momento dell’adesione di Leiris al surrealismo: «lo amavo molto e mi dava a intendere che il nostro rapporto era insignificante»[39]; l’altra di Leiris, nel dicembre 1931, quando, nel corso del viaggio in Africa, scopre il «miracolo religioso» di Ouidah, antichissimo centro storico: «Ecco il vero paese in cui andare con Bataille. Immagino da qui Bataille. Ne diventerebbe letteralmente pazzo »[40].

Ora non è forse inutile rammentare che il «marzo 1938» –  data del testo della società segreta in cui figurano le iniziali del nome di Leiris – è un momento nodale nella storia dei rapporti tra i due intellettuali: Leiris, che si appresta a parlare alla Société de psychologie collective dei Rites funéraires chez les Dogons, ha infatti appena esordito al Collège de Sociologie con la conferenza Il sacro nella vita quotidiana che, destinata a restare l’unico segno tangibile del suo engagement nell’impresa, rappresenta un momento di grande intensità nella vita del gruppo e nella sua stessa partecipazione all’impresa comunitaria, come rivelano le note sul sacro redatte successivamente da Laure e alcune annotazioni dell’Homme sans honneur. Non è peraltro senza significato che in giugno Leiris discuta all’École pratique des Hautes Études il mémoire su La Langue secrète des Dogon de Sanga, incentrato sulle formule e i riti iniziatici della società degli uomini del Sudan francese (tema attorno al quale ruotano in quello stesso anno altri suoi articoli), né che in luglio pubblichi nella collana Acéphale Miroir de la tauromachie, redatto tra l’ottobre e il novembre 1937 e inerente alla questione (centrale anche ne Il sacro nella vita quotidiana) della persistenza del sacro nella società contemporanea[41].

Calamitata da Laure – «la figura al tempo stesso gravitante e centrale, che lega Leiris e Bataille»[42] –, l’amicizia, nel caso della società segreta Acéphale, avrebbe nuovamente operato in Leiris da motivo aggregante senza che tuttavia l’apposizione del suo nome nell’elenco dei partecipanti sfociasse – come  per le cerimonie di possessione in Etiopia – in un vero e proprio rito di iniziazione? O bisogna supporre che, investito in un secondo tempo del nome iniziatico di larve, termine proveniente dal latino larva, fantasma, spettro, per analogia esteso alle maschere romane, egli si sia silenziosamente confuso nel novero degli adepti tanto da proporsi – secondo i termini di Fardoulis-Lagrange – come la vittima sacrificale del gruppo[43]? Anche nella veste di semplice «partecipante» – grado che, se non presupponeva come nel caso degli adepti «l’adesione formale a proposte precise, né la risoluzione di consacrare le proprie forze a un compito definito», richiedeva pur sempre «in primo luogo, un rigore personale tale da mantenere il segreto; in secondo luogo un interesse, una profonda simpatia per ciò che Acéphale significa[va]»[44] –, Leiris avrebbe potuto rispettare il partito enunciato nell’Africa fantasma[45]di «raccontare tutto»? O, bloccato da un interdetto, ci avrebbe volontariamente ingannato con una versione parziale o “trasfigurata” dei fatti, ripetendo in ciò il gesto di Ambybé Babadyia a proposito della lingua e dei riti della società degli uomini del Sudan francese, e quello, più generale, degli africani che – come si legge nell’Africa fantasma – «se si lasciano scappare qualche piccolo segreto, nascondono accuratamente il principale»[46]?

Intrecciato al motivo della comunità iniziatica, il segreto organizza tutta l’opera di Leiris – inteso sia, in senso etimologico, come «separato, diviso, messo da parte» (dal latino secernere)[47], sia nella variante costituita dalle «cosiddette pratiche di  secrezione», ovvero «l’insieme di processi più o meno involontari  o organizzati per mezzo dei quali il detentore e i depositari […]  mettono a nudo di fronte ai destinatari frammenti del segreto  […] senza per questo rivelarlo o comunicarlo»[48]. A questo ricorso al segreto è conforme anche il Journal che, a dispetto del titolo, non è esente da censure. In un’intervista apparsa nel «Magazine littéraire» Jean Jamin ha rammentato che, «[s]e la mancanza è solitamente concepita come l’origine dell’autobiografia, il segreto – la ritenzione – appare tuttavia nel caso di Leiris, e paradossalmente,  come il suo complemento»[49]. Nella stessa intervista, Denis Hollier individua peraltro, al centro dell’autobiografia di Leiris, un altro aspetto del segreto, quello che attiene alla menzogna vera e propria[50].

 Non si tratta qui di riaprire la questione della controversa autenticità delle affermazioni di Leiris, che, su un altro piano, investe anche il campo dell’etnografia e lo stesso lavoro di scavo nei buchi della memoria del genere autobiografico; piuttosto si tratta di reinterrogare la postura di Leiris nel Collège de Sociologie a partire dalla centralità del segreto nella sua opera[51] e nello stesso Collège, dove è ancora il termine «segreto» a istituire la demarcazione tra la società segreta puramente esistenziale, il cui fine è di esistere, e la società di complotto che si forma «per agire e non per esistere»[52].

Costruita attorno ai riti officiati «nei miasmi dei gabinetti», dove ogni sera si chiudeva con il fratello «come in un covo di briganti o nell’antro di una società segreta»[53], la conferenza Il sacro nella vita quotidiana, nel suo progressivo slittamento verso il mondo imponderabile dei «fatti di linguaggio» – «parole ricche in sé stesse di prolungamenti, o parole sentite male, o mal lette»[54] che, investite della funzione di parole chiavi, articolano il segreto al sacro –, tocca infatti il cuore del Collège de Sociologie più di quanto farebbero pensare il gusto del meraviglioso di Leiris o lo spostamento da lui apportato al sacro di dispendio di Bataille e di Laure. Giacché se il Collège nulla ha a che vedere con un organismo politico, politica è tuttavia la sua coscienza del campo linguistico; politica, la strategia di smascheramento ideologico perseguita dai suoi membri attraverso l’attacco al corpo sociale della lingua, alla langue nel senso saussurriano del termine; politica, infine, la costituzione di una seconda lingua e di paroledotate – come i vocaboli dalla sonorità esotica o «le scatole a fondo multiplo della lingua» evocati da Leiris nella sua conferenza –  del «valore magico di una parola d’ordine»[55].

Basterà ricordare qui, sul versante di Bataille, la denuncia delle vuote «costruzioni verbali» che circolano nella lingua come false monete: è il caso del termine, introdotto da Trockij, di «bonapartismo» che racchiude in sé «[…] oltre ai due Napoleone che hanno regnato, Bismarck, Stalin, von Papen e il defunto presidente Doumergue […]»; o di quello di società segreta; o perfino dei termini di democrazia e di fascismo aperti a «una molteplicità di accezioni diverse»[56]; il riaggiustamento del dizionario della lingua mediante spostamenti di senso che hanno per effetto di aprire la nozione di campo semantico; la creazione di parole munite – quanto meno negli intenti programmatici – della «stessa precisione degli strumenti chirurgici»[57]. E, sul versante di Leiris, l’insistenza sul gioco fonetico del linguaggio, operazione che, portando alla luce, dietro la preminenza del senso, il lavoro occulto del significante, inaugura la messa in scena di quella inesorabile «afanisi del soggetto»[58] contro cui si verrà costituendo la «quête disperata» della scrittura autobiografica.

Questo articolo è una versione abbreviata della conferenza Sacré et secret chez Leiris et Bataille pubblicata in Bataille-Leiris. L’intenable assentiment au monde, a cura di Francis Marmande, Belin, Paris 1999, e ripresa in The «Collège de sociologie», a cura di Frank Pearce, in «Economy and Society», 32, 2, febbraio 2003, quindi in Marina Galletti, La comunità “impossibile” di Georges Bataille. Da «Masses» ai «difensori del male», Kaplan, Torino 2008.


[1] Michel Leiris, De Bataille l’Impossible à l’impossible “Documents”, in À propos de Georges Bataille, Fourbis, Paris 1988, p. 19; cfr. anche Georges Bataille, Le surréalisme au jour le jour, in Oeuvres complètes [d’ora in poi abbreviato in O.C.], 12 voll., Gallimard, Paris 1970-1988,t. VIII, p. 170 e 557.

[2] Michel Leiris, L’Homme sans honneur. Notes pour le sacré dans la vie quotidienne, a cura di Jean Jamin, Jean-Michel Place, Paris 1994, p. 149.

[3] Cfr. Aliette Armel, Michel Leiris, Fayard, Paris 1997; Michel Surya, Georges Bataille, la mort à l’oeuvre, Gallimard, Paris 1992.

[4] Michel Leiris, Journal, a cura di Jean Jamin, Gallimard, Paris 1992, pp. 89-90. Cfr. anche quanto Leiris afferma su «Contre-Attaque», in data 7 gennaio 1936, p. 298, e in data 16 agosto 1969, p. 635. Il motivo del tradimento è peraltro al centro dell’autobiografia di Leiris. Cfr. ciò che Leiris confessa in Fourbis (1955), Gallimard, Paris, 1991, p. 68.

[5] Cfr., su questo testo, Michel Leiris, L’Âge d’homme précédé de L’Afrique fantôme, Édition publiée sous la direction de Denis Hollier, Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, Paris 2014, p. 1006, e Denis Hollier, À l’en tête d’Holopherne, in Les Dépossédés, Les Éditons de Minuit, Paris 1993.

[6] Cfr. Georges Bataille,Constitution du journal intérieur, inL’Apprenti Sorcier. Textes, lettres et documents (1932-1939), a cura di Marina Galletti, La Différence, Paris 1999, tr. it. Costituzione del giornale interno, in Id., La congiura sacra, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, p. 158.

[7] Michel Leiris, Biffures, in La Règle du jeu, a cura di Denis Hollier, Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, Paris 2003, tr. it. Biffures, Einaudi, Torino, 1979, p. 62.

[8] Michel Leiris, L’Âge d’homme précédé de L’Afrique fantôme,cit., tr. it.  L’Africa fantasma, a cura di Barbara Fiore, traduzione di Aldo Pasquali, Quodlibet/Humboldt, Macerata/Milano, 2020, p. 88.

[9] Michel Leiris, Biffures, cit., p. 73.

[10] Jean Jamin, Un sacré Collège ou les apprentis sorciers de la sociologie, in «Cahiers internationaux de sociologie», janvier -juin 1980, vol. XLIX, p. 7.

[11] Aliette Armel, cit., p. 280.

[12] Michel Leiris, Journal, cit., pp. 188, 195, 202-203. Ciò malgrado, Leiris scriverà su «Documents» 37 articoli che costituiscono «un progetto globale di reinterpretazione dell’uomo occidental […] un progeto che non è senza alcun dubbio erroneo qualificare come antropologico», Annie Pibarot, Le pari de «Documents», in «Critique», décembre 1992, p. 936. Cfr. anche Catherine Maubon, Michel Leiris à «Documents», «Rivista di letterature moderne e comparate», 3, luglio-settembre 1985.

[13] Michel Leiris, Journal, cit., p. 237.

[14] Cfr. Michel Leiris, Une peinture d’Antoine Caron, in «Documents», I, 7, 1929.

[15] Cfr. Id., Max Eastman, «L’Apprenti révolutionnaire», in «La Critique Sociale», 10, novembre 1933; Georges Bataille, André Malraux, «La Condition humaine», ivi.

[16]  Michel Leiris, L’Africa fantasma, cit., p. 25.

[17] Cfr. Marina Galletti, Ai margini del Cercle communiste démocratique: il corso di sociologia dei Groupes d’études «Masses», in La comunità “impossibile” di Georges Bataille, cit.

[18] Michel Leiris, L’Africa fantasma, Preambolo, cit., p. 26.

[19] Id., La jeune ethnographie, in «Masses», 3, mars 1933, p. 10.

[20] Cfr. Id., À propos du «Musée des sorciers», in «Documents», I, 2, 1929; Id., Civilisation, ivi, t. I, 4, 1929; Id., L’oeil de l’ethnographe , ivi, t. II, 7, 1930.

[21] Ne è un esempio il “declassamento” della «divinità della bocca» a organo “ignobile” della masticazione e dell’emissione dello sputo. Michel Leiris, Crachat, in «Documents», I, 7, 1929; cfr. anche Georges Bataille, Bouche, ivi, II, 5, 1930.

[22] Michel Leiris, Hygiène, in «Documents», II, 1, 1930, p. 44.

[23] Id., Le sacré dans la vie quotidienne, in Denis Hollier, Le Collège de Sociologie, Gallimard, Paris, 1995, tr. it.  Il sacro nella vita quotidiana, in Il Collegio di Sociologia, a cura di Denis Hollier. Edizione italiana a cura di Marina Galletti, Bollati Boringhieri, Torino 1991.

[24] Denis Hollier, Le Collège de Sociologie, cit., p. 99.

[25] Su tale dissenso potrebbero tuttavia avere influito le inibizioni di cui Leiris, «in mancanza di abilità dialettica», era solito accusarsi. Cfr. Michel Leiris à Georges Bataille [lettera non inviata, luglio 1939], ivi, p. 830.

[26] Cfr. Georges Bataille à Michel Leiris [lettera del 5 luglio 1939], ivi, p.827.

[27] Michel Leiris à Georges Bataille [lettera non inviata, luglio 1939], ivi., p. 832.

[28] Georges Bataille, La Souveraineté, in O.C., t. VIII, cit., p. 639.

[29] Tuttavia nel 1956, sulla rivista «Comprendre», Bataille avrebbe ricondotto Leiris all’ambito degli scrittori «sovversivi» della letteratura francese del Novecento (Georges Bataille, L’équivoque de la culture,  in  O.C., t. XII, 1988, tr. it. L’equivoco della cultura, in Id., L’al di là del serio e altri saggi a cura di Felice Ciro Papparo, Guida, Napoli 2000, p. 455).

[30] Cfr. Bernard-Henri Lévy, «… Dont on ne sait, à vrai dire, pas grand-chose…» (Rencontre avec Michel Leiris), in Les Aventures de la liberté, Grasset, Paris 1991, pp. 173-187.

[31] Georges Bataille, À Michel Leiris [lettera de 28 octobre 1960], in Choix de lettres, a cura di Michel Surya, Gallimard, Paris 1997, p. 549.

[32] Id., Liste de noms, in L’Apprenti Sorcier, cit., p. 433 (testo non ripreso in La congiura sacra).

[33] Cfr. Id., Degrés, in ivi, p. 487 (testo non ripreso in La congiura sacra).

[34] Michel Leiris, Fiche sur Acéphale, in Aux fins du Collège de Sociologie, a cura di Jean Jamin, presentazione di Denis Hollier, in «Gradhiva», 13, 1993, p. 65.

[35] Id., L’Âge d’homme précédé de L’Afrique fantôme, cit., tr. it. Età d’uomo, a cura di Andrea Zanzotto, SE,Milano 2003, p. 29.

[36] Id., L’Africa fantasma,cit., p. 491.

[37] Id., Età d’uomo, cit., p. 161.

[37] Id., L’Africa fantasma,cit., p. 491.

Cfr. anche quanto Leiris scrive in 45, rue Blomet, in Zébrage, Gallimard, Paris 1992.

[38] Cfr. Georges Bataille, Le surréalisme au jour le jour, cit., pp. 170-172.

[39] Ivi, p. 171.

[40] Michel Leiris, Lettera [a Zette] dell’11 dicembre 1931, in L’Africa fantasma, cit., p. 185.

[41] Cfr. Claude Reichler, Les intermittences du sacré, in «Les Temps modernes», XLVI, 535, février 1991.

[42] Jean-Pierre Faye, Le point fulgurant. Leiris, société secrète du quotidien, in «Revue de l’Université de Bruxelles», 1-2, 1990, p. 92. Occorre forse ricordare che è ne1 1937 che comincia la relazione sentimentale di Leiris con Pauline Roux, sorella del matematico André Chenon, membro della società segreta Acéphale.

[43] Michel Fardoulis-Lagrange, conversazione privata, Parigi, 1987. Sarebbe stato lo stesso Bataille ad accreditare questa versione dei fatti, nel momento in cui ospitava a casa sua, a Vézelay, l’amico Fardoulis, ricercato dalla polizia per motivi politici.

[44] Georges Bataille, Règles du 28 décembre 1937, in L’Apprenti Sorcier, cit., p. 424. (testo non ripreso in La congiura sacra).

[45] Michel Leiris, L’Africa fantasma, cit., p. 194.

[46] Ivi, p. 139.

[47] Arnaud Lévy, Évaluation étymologique et sémantique du mot «secret», in Du secret, «Nouvelle Revue de psychanalyse», 14, automne 1976, pp. 118-119.

[48] András Zempléni, Secret et sujétion, in «Traverses», 30-31, mars 1984, p. 106.

[49] Un homme du secret discret, intervista a Jean Jamin e Denis Holllier a cura di Aliette Armel, in «Magazine littéraire», 302, septembre 1992, pp. 20.

[50] Ivi, pp. 20, 21.

[51] Cfr., ad esempio, il passo di Fibrilles in cui Leiris enuncia la necessità di una linea di condotta tratta da una «morale de la parole» fondata in parte sulla capacità di «tenir sa langue»: Michel Leiris, Fibrilles, in La Règle du jeu, cit., pp. 746, 750. A questo passo si può accostare quello di L’Homme sans honneur inerente al carattere sacro della parola e alla nozione di poeta in quanto «uomo di parola» (cit., p. 65).

[52]  Roger Caillois [in realtà Georges Bataille], Confraternite, ordini, società segrete, chiese in Il Collegio di Sociologia, cit., p. 191. Cfr. anche Georges Bataille, L’apprendista stregone, ivi, p. 31.

[53] Michel Leiris, Il sacro nella vita quotidiana, ivi, pp. 40-41; Id., Biffures, tr. it. cit., p. 214.

[54] Id., Il sacro nella vita quotidiana, cit., p. 38.

[55] Ivi, pp. 41, 39.

[56]  Georges Bataille, Frammento,in Il Collegio di Sociologia, cit., p. 455.

[57] Ivi, p. 456. Per un approfondimento della questione, cfr. Marina Galletti, Tradurre Bataille: la lingua del «Collegio di Sociologia», ivi, pp. XXIX-XXXVII.

[58] Simon Harel, Le difficile portrait de soi: Mémoire et autobiographie chez Leiris, Artaud et Laure, in «Canadian Review of Comparative Literature», march 1991, XVIII, 1, p. 34.

In copertina: Francis Bacon, Ritratto di Michel Leiris, 1976 ©The Estate of Francis Bacon

professore di Letteratura francese presso l’Università degli Studi Roma Tre, ha curato l’edizione italiana di “Le Collège de Sociologie” di Denis Hollier (Bollati Boringhieri 1992). Ha collaborato ai “Romans et récits” di Georges Bataille (Gallimard 2004 e 2014) di cui ha ricostruito il percorso comunitario nei volumi “La congiura sacra” (Bollati Boringhieri 1997 e 2008), “La comunità impossibile di Georges Bataille. Da ‘Masses’ ai difensori del male” (Kaplan 2008), “Georges Bataille, L’Apprenti Sorcier. Textes, lettres et documents (1932-1939)” (La Différence 1999) e “Il mostro bicefalo. Percorsi nell’eterologia di Georges Bataille” (Artemide 2020). È tra i curatori della miscellanea “Jacqueline Risset, i pensieri dell’istante” (Editori Riuniti Internazionali 2012) e di due volumi postumi di Jacqueline Risset, “Georges Bataille” (Artemide 2018) e “Proust in progress” (Artemide 2020).

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