Binga fa novanta

Per festeggiare i suoi 90 anni, Tomaso Binga annuncia la conclusione performativa dell’opera Locus che si terrà nella sede romana della Fondazione Menna, in via dei Monti di Pietratata 16 (22 febbraio-10 aprile 2021). L’artista sarà presente il 20 febbraio alle ore 12.00, in diretta facebook.

Da sessantanni, e precisamente da quando, a Caserta, in Corso Trieste 175, il 19 dicembre 1971, grazie a Enzo Cannaviello della galleria Studio di Arti Visive «Oggetto», è “uscita allo scoperto” con i suoi primi lavori – i polistiroli – presentati da Nino Massari (il titolo del testo era l’oggetto relativo e Massari puntava allora l’indice sulla «ispirazione volutamente sospettosa ma calcolata, proprio di chi intende spostarsi in uno spazio innaturale e frantumoso, come unica possibilità di nuova tensione»), Tomaso Binga non ha mai smesso di elaborare e costruire con cura un proprio personale pulsionale passionale progetto di scavo nei labirinti del linguaggio, nei sentieri sdrucciolevoli della parola dimenticata e ritrovata e adattata, nei terreni fertili della scrittura, aperta a cortocircuiti interni e a una serie di occasioni o di reperti quotidiani, recuperati dal mondo della throw-away society.

Oggi questo traguardo, i sessant’anni di instancabile e vulcanica attività appunto, si collega a una seconda e più preziosa ricorrenza, ovvero ai novant’anni che Bianca (sappiamo tutti che al secolo Tomaso Binga è Bianca Pucciarelli in Menna nata a Salerno il 20 febbraio 1931) compie domani: e per l’occasione ha pensato di festeggiare con noi tutti questo suo nuovo traguardo, proponendo, nonostante i tempi difficili (mala tempora currunt diceva un vecchio proverbio latino) e le ristrettezze del momento, un gioco collettivo e connettivo che nasce da alcune sue riflessioni legate al Biographic, un ciclo avviato nel 1985 e che oggi, con la conclusione dell’opera Locus, si chiude per aprire nuove avventure.

Bianca Menna

Locus è una grande opera realizzata da Bianca nel 2005 (su un progetto del 1995) in occasione della personale che il MLAC, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea illo tempore diretto da Simonetta Lux, ebbe a dedicarle appunto nel 2005. Purtroppo, per mancanza di spazio e per una visione curatoriale proiettata più sull’antologica, anche se aperta eventualmente ad accogliere Locus come opera unica e dunque a far ruotare la mostra esclusivamente attorno a questa grande installazione che misura oltre 10 metri, non è stata mai esposta al pubblico, ma scrupolosamente conservata, con la speranza (con la sicurezza) di mostrarla alla prima occasione.

Qualche settimana fa, mentre parlavo con Bianca di alcune piccole faccende da sbrigare nella sede romana della Fondazione Menna, già sede dell’Archivio Menna/Binga, le accennavo a un angolo dove sono state sistemate con attenzione queste sue grandi tele e lei, con lo sguardo rivolto verso il futuro, ha avuto l’idea di esporle per festeggiare tutti insieme i suoi 90anni.

In quest’opera, come poi ho sottolineato nella stesura del comunicato stampa, e ci tengo a precisare che con Bianca abbiamo immediatamente pensato che l’esposizione dovevo curarla con Stefania Zuliani, l’artista recupera la scritta di Cicerone HOMO LOCUM ORNAT – NON HOMINEM LOCUS («L’uomo nobilita la dimora – non la dimora l’uomo») MCMXXIV A FUNDAMENTIS presente sul fronte di un palazzo in piazza Perin del Vaga, realizzato nel 1926 dall’architetto Mario De Marchi, che ospita il Lavatoio Contumaciale, associazione nata per volere di Binga che inaugura nel 1974 con una sua performance (Parole da conservare Parole da distruggere), per evidenziare che quello spazio dell’arte, la casa dell’artista appunto, è anche a pieno titolo uno spazio che si apre all’aperto dell’altro, «a divenire casa di chiunque voglia contribuire in modo operoso, come esecutore creativo o fruitore non passivo, alla realizzazione dell’arte»: di un’arte in contumacia, di un pensiero divergente e di una necessaria disobbedienza nei confronti dei conformismi, delle sterili convenzionalità.

Composto da venti elementi (e precisamente da dieci grandi tele 190×100 sormontate da altrettante piccole tele 35×100 che vanno a delineare una sorta di fregio in cui si prolungano e vibrano i segni del Biographic) il maestoso lavoro è una operazione performativa collettiva che prende forma e si realizza con l’apporto e il coinvolgimento del pubblico. In Locus, che è la casa dell’artista ma anche di colui che la frequenta, Binga vuole chiedere oggi agli amici dell’arte e del cuore di lasciare una piccola traccia di sé sulla superficie del grande quadro per modificarlo e aiutarlo a crescere, per portare a conclusione quella operazione avviata appunto negli anni Novanta del secolo scorso e mai terminata. (Le tracce saranno documentate via via in un quaderno che raccoglierà le firme di quanti hanno agìto sull’opera).

In copertina: Tomaso Binga nella performance “Vista Zero”, 1972

(Melfi, 1977) è titolare di Pedagogia e Didattica dell’Arte all’Accademia Albertina di Torino. Ph.D in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico artistica (Università di Salerno) è nel comitato scientifico della Fondazione Leonardo Sinisgalli e di “Umática” (Universidad de Málaga). Dal 2018 è direttore della Fondazione Filiberto e Bianca Menna e dal 2020 è membro dell’Archivio Lamberto Pignotti. Tra i suoi libri “Gillo Dorfles” (2011), “ABOrigine” (2012), “Exhibition of the Exhibition” (2013), “Ubiquità” (2013), “La linea socratica dell’arte contemporanea” (2016), “Istruzione e catastrofe” (2019), “Me, myself and I” (2019), “Atmosfera. Atteggiamenti climatici nell’arte d’oggi” (2019), “Lamberto Pignotti. Cronaca di tutti i fiori esclusi dal perimetro di un fiore” (2020).

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