Edmund de Waal, ciotole d’inverno

24/01/2021

Da una grande vetrata in Davies Street a Londra, illuminata di bianco, si possono vedere esposti piatti e ciotole su un tavolo. È una delle gallerie di Gagosian. In basso a destra leggiamo: «Edmund de Waal. Some Winter Pots». Purtroppo visibili solo dalla strada sono opere che andrebbero sfiorate, toccate per sentirne i punti di pressione delle dita, la sottigliezza dei bordi, il peso. Le ciotole e i barattoli non sono fatti solo per essere visti, «questi sono alcuni vasi per le mani – dice de Waal –, per questo inverno».

Per la prima volta dopo sedici anni, de Waal torna a creare opere singole. In una rara, quanto densa, semplicità, commenta: «Ho fatto questi vasi in isolamento durante la primavera e l’inizio dell’estate. Ero solo nel mio studio, in silenzio, e avevo bisogno di creare vasi da toccare e tenere, da trasmettere. Avevo bisogno di tornare a quello che so: la ciotola, il piatto aperto, il barattolo con coperchio». Un commento che rivela un portamento solido, uno spirito che fermo ha davanti a sé ciò che conta, quel che le sue mani e i suoi occhi sanno. Parole che fanno eco all’evidenza di queste ciotole: de Waal pratica la ceramica da tutta la vita. Ma qualcosa d’altro trapela, un’impurità formale che tradisce una contaminazione che non è solo maturazione nel tempo, ma un modello che è giunto fin qui dai tempi del suo soggiorno giovanile presso lo studio ceramico Mejiro, in Giappone. Edmund de Waal, nipote dell’ebraismo austriaco (Elisabeth von Ephrussi) e figlio dell’anglicanesimo (Victor de Waal), muove un passo verso quel luogo dove Oriente e Occidente si incontrano: l’arte ceramica diventa il crocevia tra luoghi lontani, e tempi lontani.

Edmund de Waal, Winter pot (B10), 2020, ©Edmund de Waal, ph. Alzbeta Jaresova

La sua ciotola indossa un abito vetusto. È raffinata ma innegabilmente sobria, una figura modellata con una sapienza tale da convincerci di essere una vecchia eredità, o forse una di quelle ciotole che di tanto in tanto la terra, come latrice incaricata dai nostri avi che abitarono queste – o quelle – terre al tempo del Ferro o anche della Pietra, sputa fuori. Una di quelle presenze che ci segnalano chiaramente che da allora nulla di essenziale è cambiato, che possiamo ancora riconoscerci nei nostri antenati e anche che i nostri nipoti lo potranno. Guardandola, potremmo dire che, mentre tutto il mondo umano indossa un vestito e poi un altro ancora, mentre sostituisce fronzoli e orpelli, mentre imperi e governi si ergono e crollano, la ciotola rimane immutabile come una vecchia pietra al centro della città.

Sono molti i fautori d’arte che si sono misurati con la forma di una ciotola, anche nei tempi più recenti. Edmund de Waal è uno di quelli che lo ha fatto con una sapienza coltivata non solo negli anni, ma anche nel confronto con l’arte cinese e giapponese. Lui, come mostra di essere nel libro La strada bianca, è un viaggiatore alla ricerca del «bianco perfetto», cercato e indagato da Venezia a Versailles, da Dublino a Dresda e agli imperatori cinesi; un’ossessione per il bianco unico della porcellana. E se adesso, in una delle più grandi e rinomate gallerie d’arte contemporanea, vengono esposte opere vascolari senza alcuna pretesa concettuale o ideologica, senza alcun desiderio di mostrarsi sotto il vessillo di “arte contemporanea”, ma curate per quel che sono – ceramiche –, questo è segno non solo che l’arte si profila in più larghi orizzonti, ma anche e soprattutto che la fisionomia della ciotola è ancora forte, tanto da offrirsi come bacino profetico: tutto il tempo e lo spazio del mondo tenuti in mano, portati alla bocca per bere. La ciotola trattiene denso il mistero delle nostre mani e del nostro portamento – un atteggiamento formale, elegante, di una semplicità estrema.

Edmund de Waal, Winter pot (C4), 2020, ©Edmund de Waal, ph. Alzbeta Jaresova

Edmund de Waal: Some Winter Pots
Gagosian Gallery, Davies Street, London
3 dicembre 2020 – 30 gennaio 2021
La mostra è visibile dalle vetrine della galleria dalle 8.00 alle 20.00

In copertina: Edmund de Waal, Winter pot (A4), 2020, ©Edmund de Waal, ph. Alzbeta Jaresova

Valerio Abate

(Lugano, 1994) ha studiato Arti visive all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e all'Universität der Künste di Berlino. Dal 2019 scrive per il Canale Cultura della RSI (Radiotelevisione della Svizzera italiana). Nel 2022 ha concluso la formazione annuale in drammaturgia Luminanza. Dal 2023 insegna Arti visive nel liceo di Mendrisio (CH). Dal 2016 espone tra Italia, Svizzera e Germania – il suo lavoro, in pittura, scrittura e scultura, ruota attorno alla distinzione tra figura e sfondo indagando temi quali il tempo, la morte, la soglia e il sacro in una prospettiva etica e poetica.

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