Nell’Annunciazione tra i santi Ansano e Massima (1333) immaginata da Simone Martini e Lippo Memmi, il messaggio verbale pronunciato dall’arcangelo si materializza visivamente nella forma di lettere dorate, che stanno in sospensione nel tempo e nello spazio e si dirigono verso Maria. Le parole di Gabriele, l’odore dell’alito e delle labbra che le nomina, il profumo del ramo e della corona d’ulivo che incontra quello dei fiori contenuti nel vaso, formano una concatenazione di presenze alluse. Marcel Duchamp direbbe che gli odori immaginabili nel dipinto si sposano per “infra-mince” (infra-sottile).

Questo termine si colloca al limite del discernibile, là dove più compresenze si uniscono dando luogo a un ulteriore stato sottile, tutto da intuire e cogliere. E non si tratta di qualcosa che è invisibile, trascendente o indiscernibile, ma di una presenza reale e possibile. Per cogliere questa ulteriore possibilità di lettura del reale è necessario dedicare più tempo e dare più spazio alla fruizione, alla lettura, all’interpretazione e alla successiva rilettura, perché l’infrasottile c’è ma è da trovare e cogliere con altre strategie. E in questi percorsi rientrano la speculazione filosofica, la contemplazione, il passaggio dal guardare al vedere, dal sentire al risentire, l’acuire dei sensi e l’arte della percezione. In questa pratica si attiva l’attenzione interrogativa, un’ulteriore consapevolezza.
Duchamp negli anni dieci del Novecento rivolge la sua attenzione verso la quarta dimensione, e mentre sta leggendo il Traité élémentaire de géometrie à quatre dimensions (1903) di Esprit Pascal Jouffret incontra l’espressione “spazio infinitamente sottile”, una immagine molto simile al concetto di infrasottile. L’artista francese ha innescato molti viaggi spaziotemporali, in varie direzioni, sia a ritroso sia verso il non ancora manifesto. Ha senso rileggere opere realizzate nel passato, ripartendo anche e soprattutto dall’intuizione di Duchamp? È solo un gioco anacronistico e sterile o rientra nelle possibilità enunciate dall’ideatore del ready-made? Il balzo nel tempo, la rilettura e la ricollocazione in ambito concettuale è veramente un arbitrario tentativo caro solo alla fantastoria dell’arte?[1] Per Duchamp, questa azione potrebbe essere considerata essa stessa come una modalità infrasottile, vista secondo la logica dell’anticipo o del ritardo, come salto nel tempo e nello spazio.

Nell’Annunciazione tra i santi Ansano e Massima (1333), ora conservata negli Uffizi, Simone Martini e Lippo Memmi evocano una esperienza di tipo multisensoriale, dove la rappresentazione visiva mostra l’apertura verso l’olfattivo e il sonoro (e indirettamente anche il sapore dell’alito angelico e il gesto tattile suggerito da Maria che pone le dita della mano destra sul suo manto). Forse nell’Annunciazione trecentesca gli incontri infrasottili diventano tutt’uno con l’evento spirituale, reso dalle presenze della sinestesia[2] – percepibile attraverso sensazioni di tipo diverso, nel colore caldo dell’oro e nel profumo dolce dei fiori e del ramo d’ulivo, coinvolgendo l’udito e il tatto, l’olfatto e il gusto, oltre che la vista – e della metafora (resa per esempio nello sguardo silenzioso, altero e torvo al contempo, della Madonna annunciata), in una dimensione che si manifesta anche tra tropo e straniamento. Le immagini dei personaggi e degli oggetti presenti nel dipinto sono riferite a sfere sensoriali diverse, tra descrizioni lenticolari molto terrene e allusioni a presenze metafisiche, entrambe strumenti e ingranaggi della macchina scenica divina, calata in un momento particolare del tempo umano. Inoltre, nella scena è raffigurata una ulteriore presenza infrasottile, ovvero la brezza di provenienza divina, che sommuove la veste dell’angelo, nonostante il messaggero sia già inginocchiato e non più in volo. Ricapitolando, nel dipinto di Martini e Memmi sono alluse molte presenze che potrebbero essere catalogabili nella sfera dell’infrasottile: la brezza, i raggi emanati dalle aureole, ciò che sta tra l’apparenza e l’apparizione, la reciprocità, lo sposalizio di due o più odori e sapori, il confine tra virtuale e iperrealtà. O l’Annunciazione trecentesca attiva solo ciò che concerne la percezione retinica (ovvero si ferma alla retina dell’occhio contemplante) anche se apre verso altre possibilità di vedere e di sentire?
L’apertura all’infrasottile fa appello a uno sforzo immaginativo più sofisticato, forse più concettuale, ma non solo. Si tratta di ultrasottigliezza? Non soltanto. Forse è un concetto più complesso e si richiama all’irriducibile, all’estensione della nostra capacità di percezione: è «un’operazione euristica che fa apparire le cose impercepite, che apre il campo sensoriale a un’altra esperienza possibile e a una ulteriore qualità del reale»[3]. Secondo Elio Grazioli, l’infrasottile «mostra la differenza come limite, come bordo, soglia, attraverso cui avviene il passaggio. Porta dunque al limite, si occupa degli stati limite, espone le materie, gli eventi, le condizioni, le misure, l’esperienza stessa e il pensiero alle condizioni limite, perché a quel punto si “vede” diversamente»[4].

Se la dimensione dell’infrasottile è da intendere come immanente alla realtà – ovvero come qualcosa che accade nel tempo umano, una forma del sensibile che viene vissuta nel quotidiano, dentro il visibile ma anche negli altri quattro sensi – alcune opere realizzate tra il Duecento e il Cinquecento avevano già contenuta questa apertura all’estensione. Questo esercizio della percezione potrebbe far pensare che in molte opere del passato si possano scovare infrasottili ready-made. Se ci atteniamo agli appunti di Duchamp, l’infasottile è costituito da sostanze, fenomeni, qualità e non azioni: il vetro, la polvere, il vapore, il fumo, la bruma; l’ombra, il riflesso, il ritardo, l’anticipo, il caso, l’intervallo, l’incavo, il sussurro, l’odore, il sapore; la reciprocità, la similarità, la trasparenza, l’iridato, il moiré, il perlaceo; l’oblio, la dimenticanza, il rinvio, il soprassedere, il non far niente, il non scambio, ecc.
Scorrendo questa lista ritroviamo sostanze, fenomeni, qualità e non azioni infrasottili, che possono essere trasmutati da semplici presenze a readymade, dove in un momento precedente qualcosa è un oggetto e in un attimo successivo è un’opera d’arte, passando attraverso uno spostamento mentale. La rilettura delle opere dei grandi del passato mette in azione remake, trasformazioni, metamorfosi, simulazioni. Se leggo «Quando il fumo del tabacco sente anche della bocca che lo esala, i due odori si sposano per infra-sottile»[5] mi figuro anche una simultanea traduzione in immagine della frase. Le parole si fanno immagine. Successivamente, ricordi iconologici fanno affiorare opere pittoriche in cui accadono sposalizi per infra-sottile.

L’esempio più lirico è l’Annunciazione (1427) di Robert Campin, pannello centrale del Trittico di Mérode: il sopraggiungere dell’arcangelo probabilmente ha causato lo spegnimento della fiammella sulla candela; il fumo si dirige verso i gigli posti nella brocca e una leggera brezza muove e sfoglia alcune pagine del libro posato sul tavolo. Mentre la Vergine continua a leggere il libro che tiene nelle mani e pare non essersi ancora accorta dell’arrivo di Gabriele, il fumo della candela si sposa per infrasottile con il profumo intenso dei gigli e ne sortisce un terzo odore nato dall’incontro dei due. La frase di Duchamp mi ha condotto immagini e ora io ho ritradotto con queste parole le immagini fissate nella mia memoria, per portarle di nuovo verso l’immaginazione di chi sta leggendo questo articolo.
La frase a collage dell’infra-mince può essere ricondotta pure a dipinti antichi che hanno per soggetto persone descritte nell’atto del fumare[6], sebbene sia un collegamento più didascalico e scontato, e immaginare l’odore del tabacco che sente anche della bocca e delle labbra che lo esalano. Il collegamento più interessante riferibile a questo genere di dipinti è Scheletro con sigaretta accesa, realizzato da Vincent van Gogh nel 1886. Cosa si cela nel rito del fumare quando il soggetto è la morte scheletrica, spolpata e senza labbra? Quale terzo odore viene esalato?

E se arretro ancora nel tempo mi sovviene l’immagine del teschio riflessa nello specchio, in una stanza buia, illuminata da una sola candela, nella Maddalena penitente (1635-1640) di Georges de La Tour, e dello stesso autore anche la Maddalena penitente (1640 circa) del Metropolitan Museum di New York, dove sono messe in dialogo una candela accesa e la sua riflessione allo specchio, nella messa a fuoco tra l’oggetto e il suo doppio, tra il guardare e il vedere: guardare e riguardare, vedere e rivedere due volte significa cogliere questioni infrasottili, due livelli connessi, due storie, una sovrimpressa o contenuta nell’altra. Significa cogliere la differenza tra apparenza e apparizione. In queste due opere Duchamp coglierebbe che specchio e riflessione nello specchio rappresentino uno dei vertici del passaggio dalla seconda alla terza dimensione[7]. Un’altra variante lirica di questa declinazione è visibile nella Natura morta con candela accesa (1627), di Pieter Claesz, custodita a L’Aia, nel Mauritshuis, dove la fiamma vibra e crea echi di riflessi nel vetro di un bicchiere contenente o acqua o vino bianco.

Se sono infrasottili il vapore e la bruma, sovvengono all’istante i paesaggi pervasi da un sottile pulviscolo atmosferico e gli sfondi sfumati nei dipinti di Leonardo Da Vinci[8] e le eteree nebbie luminose presenti alle pendici delle montagne dipinte da Piero della Francesca nel Trionfo di Federico da Montefeltro (1473), ora conservato agli Uffizi. È sicuramente infrasottile lo sposalizio tra l’umido della terra e l’aria nel paesaggio pulviscolare, l’incontro tra i loro odori, che si manifesta attraverso l’evaporazione e il contatto con la temperatura dell’aria e dei raggi solari.

Duchamp ci ha indicato la via per sentire nei due odori sposati l’aspetto olfattivo dell’odore, la via per vedere in due immagini sovrapposte o congiunte l’aspetto visivo dell’immagine, ovvero la sua più sottile manifestazione visiva. Ma forse questa consapevolezza era già nota da molto tempo, anche se non ancora definita col termine “infra-mince”. Vedere due o più livelli sovrapposti, uno in filigrana all’altro, era una ricerca sottile già presente nelle opere rinascimentali e manieriste influenzate dal neoplatonismo di Gemisto Pletone, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, che a loro volta avevano ereditato le indagini esoteriche del Medioevo, le conquiste umanistiche e filologiche trecentesche, e le conoscenze trasmesse dalla cultura greco-romana, già consapevoli della differenza infrasottile che sta tra l’apparenza e l’apparizione (o la rivelazione).

Mi affido a un lirico correlativo oggettivo per la chiosa di questo breve excursus sui limiti e sui confini espandibili della percezione. Ritorno sempre con piacere, come in un incantamento estatico, nello stato di sospensione luminosa del pulviscolo atomistico dipinto da Piero della Francesca nella Madonna di Senigallia (1470-1480), dove una catena di eventi silenziosi sono lì lì pronti per accadere o a trasformarsi nella formula di un’emozione particolare o in una rivelazione. Un fascio di luce filtra attraverso il vetro della finestra e tiene in sospensione nello spazio innumerevoli microcosmi.

[1] Cfr. Mauro Zanchi, Al limite della percezione. L’infrasottile di Duchamp: analogie e anacronismi, Art e dossier, n. 383, Firenze, gennaio 2021, pp. 68-73.
[2] La sinestesia è utilizzata anche da Dante nella Commedia e da Francesco Petrarca nel Canzoniere: «mi ripegneva là dove il sol tace» (Inferno I, 60); «I’ venni in luogo d’ogni luce muto» (Inferno V, 28); «Chiare, fresche et dolci acque» (Canzoniere, CXXVI, 1),
[3] André Breton, Les Pas perdu [1924], Paris 1969, p. 115.
[4] Elio Grazioli, Infrasottile. L’arte contemporanea ai limiti, Milano 2018, pp. 17-18.
[5] Frase composta a collage da Duchamp con lettere ritagliate da riviste e pubblicata nella quarta di copertina della rivista Wiew (New York, marzo 1945, serie V, n. 1).
[6] Alcuni esempi sono: Frans Hals, Ragazzo con pipa e donna che ride (1623-25), New York, The Metropolitan Museum; Adriaen Brouwer, Fumatori e bevitori d’osteria (1636 circa), New York, The Metropolitan Museum; Joos van Craesbeeck, Autoritratto come fumatore (1635-1636), Parigi, Louvre.
[7] Marcel Duchamp, Note sull’infrasottile, in Elio Grazioli e Riccardo Panattoni (a cura di), Sovrapposizioni, Memoria, trasparenza, accostamenti, Bergamo 2016, p. 58.
[8] In alcuni capolavori di Leonardo il paesaggio è circonfuso da una bruma che aleggia in sospensione; i contorni delle cose e dei soggetti si fondono con l’atmosfera circostante. Se si osserva da vicino la superficie pittorica e lo sfumato leonardesco si può assaporare lo sposalizio di colori non coprenti applicati per infinitesimali velature sovrapposte. Si vedano: Leonardo da Vinci, L’Annunciazione (1472-1475 circa), Firenze, Uffizi; Leonardo da Vinci, La Gioconda (1503-1504 circa), Parigi, Museo del Louvre; Leonardo da Vinci, Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino (1510-1513 circa), Parigi, Museo del Louvre.