Paul Celan: Poesia come scrittura mistica

La mistica ebraica offrì a Celan l’opportunità per approfondire la dimensione tragica del tedesco quale esclusiva lingua poetica [di elezione]. La ricezione della Qabbalah avvenne per gradi: attraverso la corrispondenza con Nelly Sachs, la lettura dello Zohar e la lettura delle opere di [Gershom] Scholem. In ogni caso, Celan cominciò a riconoscere che la centralità accordata al tedesco non sembrava essere troppo diversa dal tentativo di imitare il valore costitutivo della lingua ebraica, com’era tipico nella mistica ebraica. Ecco quindi che la Qabbalah venne a rappresentare non solo l’occasione per interpretare la propria opera letteraria precedente, ma anche per indirizzare quella successiva […] I fili della scrittura poetica e della mistica vennero intrecciati ben presto. Il lunghissimo scambio epistolare tra Celan e la poetessa Nelly Sachs fu fondamentale per la ricezione della Qabbalah in termini creativi, quale fondamento ed ispirazione di una scrittura lirica innovatrice. La loro corrispondenza in effetti è molto più di uno scambio epistolare. È un vero e proprio testo a due voci, in cui i due poeti instaurano un dialogo intellettuale, fatto di parole ma anche di silenzi. Nella loro corrispondenza il silenzio è parte integrante della comunicazione ma soprattutto ha una precisa valenza mistica che si sviluppa nel tempo. Per Sachs, la Qabbalah rappresentava già un ineludibile punto di riferimento, mentre per Celan era una prospettiva a cui si stava avvicinando gradualmente e avrebbe dato piena espressione solo più tardi, con la lettura diretta di alcuni passi dello Zohar e dei lavori di Scholem […] Celan sembra ritrarsi di fronte all’eventualità che la sua poesia sia effettivamente mistica o qabbalistica […] Tra i molti testi del lascito della biblioteca privata di Celan, è conservato anche un piccolo volume che tuttavia è particolarmente importante, poiché documenta il primo contatto diretto di Celan con un testo qabbalistico. Si tratta della prima edizione della traduzione in tedesco di  un capitolo dello Zohar, a cura di Gershom Scholem, pubblicata assieme ad una sua corposa introduzione: I segreti della Creazione. Un capitolo del libro cabbalistico «Zohar» […]

Celan lesse attentamente le pagine introduttive linguistiche e metodologiche […] e rimase particolarmente colpito da un passo in cui Scholem offre una sommaria esposizione del concetto di Dio nello Zohar e della dottrina qabbalistica del linguaggio. Certamente rimase molto colpito dal principio che linguaggio e creazione appartengono al medesimo atto divino […] L’analisi dello scambio epistolare con Nelly Sachs e le tracce di lettura conservate nella copia della brevissima traduzione dallo Zohar sembrano indicare un determinato atteggiamento di Celan nei confronti della Qabbalah. Celan non sembra interessato a leggere direttamente i testi del misticismo ebraico ma piuttosto ad accedervi quasi esclusivamente per mediazione di un formidabile divulgatore e studioso come Scholem. In effetti, la ritrosia a corrispondere agli entusiasmi mistici [di Nelly Sachs] e la sua stessa predilezione per le pagine introduttive di Scholem rispetto al testo qabbalistico in quanto tale dello Zohar lasciano intuire che Celan preferisse un rapporto mediato con la letteratura esoterica […] Nella biblioteca personale di Celan sono conservate almeno tre opere di Scholem che sono state studiate, annotate e consultate con una frequenza e un’intensità che non possono che contrastare con lo stato pressoché inalterato degli altri volumi di ebraistica. Si tratta delle opere più diffuse e conosciute dello storico tedesco: La Kabbalah e il suo simbolismo (1960), Le grandi correnti della mistica ebraica (1957) e La figura mistica della divinità (1962). Un’attenta analisi del modo in cui sono state consultate, studiate ed annotate queste singole opere ci permetterà di stabilire su base documentaria non solo l’effettiva conoscenza che Celan acquisì dei principi fondamentali della mistica ebraica, ma anche di determinare la loro influenza sulla sua scrittura poetica. Del resto, queste tre opere non sono state studiate con la medesima intensità. Celan ha letto selettivamente i testi, se è possibile affidarsi totalmente al criterio delle annotazioni al testo […]

Nei testi di Scholem, Celan probabilmente trovava conferma che l’avvento messianico non fosse disgiunto dalla questione morale, poiché, come sottolineava a matita nel testo, «quando il bene e il male saranno separati, allora verrà il Messia». Tuttavia, questa «elevazione della Shekhinà dalla polvere» non sarebbe stata priva di drammaticità. In prospettiva, si sarebbe associata al tema della malinconia che Celan avrebbe studiato nell’opera di Benjamin. Celan infatti sottolinea a matita questa frase: «si produsse una frattura tra quelle due scene del dramma della redenzione, quella mistica nell’anima e quella esterna». Dalla lettura [delle Grandi correnti della mistica ebraica] Celan rimane colpito in particolare dall’idea che si possa “rompere la tradizione attraverso la tradizione stessa”, anche se questo può portare ad un particolare paradosso […] Dai dati raccolti fin qui emerge una differenza importante tra i primi contatti con la Qabbalah attraverso la corrispondenza con Nelly Sachs dai primi anni Cinquanta o la lettura del capitolo dello Zohar alla fine degli anni Cinquanta e la lettura dei grandi testi storiografici di Scholem dalla metà degli anni Sessanta in poi […] Sembra che Celan non abbia più letto opere sulla Qabbalah per lasciarsi ispirare nella scrittura dei suoi versi bensì per interpretare le sue proprie poesie. Mentre le annotazioni ai testi di Qabbalah letti negli anni Cinquanta documentano una certa influenza sulla scrittura poetica di Celan, le annotazioni più tarde sui testi di Scholem sulla Qabbalah sembrano invece provare che Celan ha riletto le sue proprie poesie alla luce di questi testi di storia della mistica ebraica […]

Il grande confronto con l’opera di Scholem, infatti, va misurato soprattutto con la ricezione di un testo relativamente meno noto, ma che Celan evidentemente sentì maggiormente prossimo alla propria riflessione e alla propria scrittura poetica: La figura mistica della divinità. Celan cominciò a leggere questo testo nella primavera del 1967. La copia personale è contrassegnata da un numero piuttosto imponente di annotazioni, sottolineature e considerazioni riportate al margine della pagina. Tutto ciò testimonia innanzitutto che Celan lesse il testo con intensità e per lungo tempo, focalizzandosi soprattutto sul tema del Volto divino, della Sheckhinah e della luce. Questo testo inoltre ha esercitato un’influenza sulla scrittura poetica di Celan molto maggiore rispetto agli altri due volumi di Scholem. In base alle date riportate ripetutamente a margine delle pagine è possibile raccogliere le annotazioni in due gruppi distinti, proprio sulla base di quel rapporto a priori e a posteriori già accennato. Da un lato, vi sono tutte le osservazioni in cui Celan si è richiamato alla propria precedente produzione poetica, citando o alludendo a poesie già edite. Dall’altro, vi è quell’insieme di indicazioni che invece contribuiranno alla scrittura di poesie edite successivamente alla lettura del testo di Scholem […] Molti dati vengono a sostegno dell’ipotesi di un rapporto mediato di Celan con la mistica ebraica […] Il dato documentario più impressionate sembra essere proprio la dimostrazione che alcuni versi sparsi siano stati elaborati a partire dai testi di storiografia religiosa di Scholem. Nonostante la loro apparente modesta rilevanza, quell’insieme di osservazioni che Celan fece sul testo di Scholem indicano un fatto importante, di cui l’influenza diretta sulla sua produzione poetica è solo il dato più appariscente. È infatti indubbio che Celan abbia commentato le opere di Scholem sulla Qabbalah proprio a partire da versi della sua propria produzione poetica. Ciò mostra come Celan concepisse la storia della mistica ebraica, dei temi del volto divino e dell’occhio di Dio come un criterio di lettura retrospettivo delle sue proprie poesie. Ci si può spingere più in là in questa ipotesi.

Si può sostenere che la mistica ebraica recepita attraverso la mediazione esemplare di Scholem costituisse per Celan una ricapitolazione della sua intera opera poetica. Come già ricordato sopra, non si trattava tanto di distinguere tra influenza diretta o indiretta bensì di congruenza tra poesia e Qabbalah. Quindi non è sorprendente che Celan si sia concentrato su specifiche porzioni dell’opera storiografica di Scholem. Si trattava infatti di ripiegarsi sui testi già elaborati, quasi ad illuminarne o confermarne le potenzialità mistiche. La rivisitazione dei propri scritti in termini mistici anticipa non solo cronologicamente, il caso di un’effettiva influenza diretta sulla scrittura poetica. Ne costituisce anzi il presupposto teorico fondamentale: la ricapitolazione mistica delle proprie poesie scritte in precedenza predispone l’opera intera ad una declinazione in termini mistici […] L’analisi delle copie personali dei testi di Scholem dimostra come i temi mistici irradiassero in profondità le pagine di Celan. Questo suggerisce anche che persino l’opera traduttiva di Celan se non addirittura il fatto stesso di tradurre costituissero un evento mistico che interviene nei gangli della storia. In altri termini, l’atto stesso di tradurre, per così dire, veniva colto nella sua manifestazione poetica più genuina, come la congiunzione d’amore di due lingue secondo uno spirito affine […] L’atto stesso di tradurre per Celan sembrava suscitare da un senso di affinità spirituale o persino di “affinità elettiva” tra le lingue e le letterature. Tradurre, dunque, non era semplicemente volgere qualcosa in un’altra lingua, bensì stabilire un legame essenziale tra sé e l’altro, tra la propria poesia e la poesia altrui.

Estratto da: Federico Dal Bo, Qabbalah e traduzione. Un saggio su Paul Celan, Salerno, Orthotes, 2019, pp. 75-108

In copertina: Marc Chagall, Fantasia di San Pietroburgo. Studio per la scena IV del balletto Aleko, 1942 ©MoMA, NY

(1973), Dottore di ricerca in Scienza della Traduzione (Bologna, 2005) e Dottore di Ricerca in Ebraistica (Berlino, 2009), svolge la sua attività di ricerca tra ebraistica e filosofia. Attualmente è post-dottorando all’Università di Heidelberg. Tra le sue recenti pubblicazioni si segnalano: “Emanation and Philosophy of Language. An Introduction to Joseph ben Abraham Giqatilla” (Cherub Press, 2019), “Deconstructing the Talmud. The Absolute Book” (Routledge, 2019), “Qabbalah e traduzione. Un saggio su Paul Celan” (Orthotes, 2019) e “Il linguaggio della violenza. Estremismo e ideologia nella filosofia contemporanea” (Biblioteca Clueb, 2020).

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