Una questione di date

ricorda la data che non conosci

Oggi ho esattamente l’età che aveva Paul Celan una sera di novembre del 1964. Ho quarantaquattro anni. Ho tutto il passato davanti a me. Ogni parola cerca di aprirsi un varco nel muro del nostro tempo. Attraversarlo. Ma fino a che punto? Fino a che punto siamo capaci di lasciarci alle spalle il presente? Forse scrivere per me è solo un modo per rispondere a un’altra voce, per ritrovarmi più vicino alla mano innocente che sa farsi dono.

L’inizio ha un senso solo in quanto c’è una fine. Tra il 23 novembre e il 20 aprile passano cinquant’anni. La vita del poeta Celan. Ognuno di noi porta con sé delle date che in qualche modo ritornano nella sua vita. Queste date hanno il peso del destino, si sovrappongono e ne accolgono altre, diventano soglia, lasciano che lo spazio e il tempo si fondano in una sola cosa. Ed è in questo mormorio di date che le coincidenze assumono un rilievo inaudito.

In un passo del Meridiano, il discorso che tenne a Darmstadt, nel 1960, davanti alla platea per l’assegnazione del Premio Büchner, Paul Celan pronunciò alcune frasi che avrebbero rivelato l’importanza di certe date. Le pronunciò nel segno del dubbio che s’impone: «Forse si può dire che in ogni poesia rimane inscritto il suo “20 gennaio”? Forse il nuovo, nelle poesie che si scrivono oggi, è proprio questo: che vi si tenta nel modo più chiaro di serbare memoria di quelle date?

Ma non è forse da queste date che noi deduciamo la nostra sorte? E a quali date la votiamo?

Ma la poesia parla, vivaddio! Essa non smarrisce il senso delle proprie date, eppure – parla. Certo, essa parla, sempre e soltanto, rigorosamente in prima persona».

Il 20 gennaio è il giorno in cui si mise in cammino il poeta Reinhold Lenz nell’opera omonima di Büchner. Il 20 gennaio è il giorno in cui fu decisa la «soluzione finale», la Endlösung della questione ebraica, sul lago Wannsee a Berlino, nel 1942. Il 20 ritorna anche in quell’aprile del 1970 in cui probabilmente Paul Celan decise di togliersi la voce tuffandosi nella Senna dal Pont Mirabeau (il luogo l’aveva annunciato otto anni prima nella poesia E con il libro di Tarussa). E sempre il 20 aprile ritorna nella data di nascita di quello che fu l’artefice dell’avvenimento più tragico della storia, Hitler. Il 20 domina il destino di Celan, il buco nero dal quale proviene ogni sua poesia, l’epigrafe incisa nel risvolto dei suoi versi.

In una conversazione in cui mi si chiedeva quale fosse il mio primo ricordo di una poesia, non sapendo ritrovare nella memoria una poesia degna del ricordo, risposi che quel ricordo coincideva con una data, il giorno del terremoto in Irpinia che nel 1980 scosse la Campania e la Basilicata, la terra in cui sono cresciuto. Quella sera la terra tremò più volte, tremarono le case, tremarono gli uomini. Ricordo ogni istante sebbene avessi quattro anni. Quel giorno si è aperta in me una crepa da cui continua, ancora oggi, a sgorgare la poesia. Quel giorno era il 23 novembre. Il 23 novembre del 1920 è il giorno in cui venne alla luce, a Czernowitz, la voce di Paul Antschel, vero nome di Paul Celan. Il mio primo ricordo della poesia appartiene a Paul Celan. Il 23 novembre ritornerà sicuramente nella mia vita. A questa data è votata la mia sorte.

Le date, siano il 20 gennaio o il 23 novembre, s’incidono nel nostro modo di essere. La memoria parla, parla eccome. Il futuro ascolta. Gli anni si confondono. La neve si scioglie. I passi restano.

Le poesie sono tutte lettere, sono doni che implicano il destino. Il destino di una poesia lo incarna il destinatario. La data è la testimonianza di ciò che deve ancora venire.

Scolio

Un giorno, forse un pomeriggio che non era ancora sera, si mise in cammino un uomo che non era ancora uomo, senza di lui camminava, verso un lontano che non conosceva. S’incamminò il 20 gennaio come Lenz come l’Altro dentro il passo che non ha ritorno. Quest’uomo e il suo destino che nessuno più ascolta, si allontanava senza nessuna ragione. Dove restano sordi gli altri si allontanava. Sempre più lontano. Immobile nel suo andare. Portava avanti la voce dentro la bocca della promessa. Credeva in quello che non vedeva. Il paesaggio parlò: «Ci s’incammina ogni giorno per incamminarsi ancora, fino a essere cammino nella terra di nessuno».

Immagine di copertina: Jean Fautrier, dalla serie Buvards, 1960

(1976) poeta e performer. Da anni collabora con la Galerie Bordas ed è uno dei curatori della collana di poesia straniera “Le Meteore”. Ha pubblicato i libri di poesia: "L’ossario del sole" (Passigli, 2007), "Controre" (Effigie, 2013), "incerti umani" (Passigli, 2013) e "Per diverse ragioni" (Passigli, 2017). Ha curato il libro "Cristina Campo In immagini e parole" e tradotto Cioran, John Giorno, Michaux, Claude Royet-Journoud e Giacinto Scelsi.

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