Luciano Caruso: libroggetto

Filosofo di formazione, Luciano Caruso (Foglianise 1944 – Firenze 2002) rappresenta sin dagli anni Sessanta una figura centrale per le sperimentazioni sui rapporti tra immagine e parola. Il volume Metascritture. Luciano Caruso e Napoli 1963-1976 (ed. Scalpendi, 2020), scritto da Alessandra Acocella con contributi di Barbara Cinelli, Sonia Puccetti e Giorgio Zanchetti, analizza la pratica artistica di Caruso negli anni di formazione napoletani a partire da un nucleo selezionato di opere d’arte (collage, libri-opera e librioggetto, poemi sonori, poesie visuali e materiali) conservate principalmente nell’Archivio Luciano Caruso e in altre collezioni pubbliche e private. Presentiamo qui un estratto dedicato a una serie di libri-opera realizzati da Caruso nei primi anni Settanta; una ricerca, quella intorno al libro d’artista, centrale nella pratica estetica dell’autore lungo il suo intero percorso, che lui stesso contribuirà a teorizzare e promuovere.

Una scatola di legno rettangolare, dalle dimensioni maneggevoli, esibisce sul coperchio una comune etichetta di carta in cui al nome di Luciano Caruso e al titolo del lavoro, «libro-opera», seguono specifiche sul luogo e sull’anno di produzione: «napoli, 1970». Il posizionamento dell’etichetta suggerisce l’orientamento verticale della scatola, la cui apertura è resa possibile grazie a due piccoli ganci metallici presenti su una delle facce laterali dall’ampio spessore. Le due porzioni in cui si suddivide il contenitore aperto, quali “pagine” affiancate di questo libro-opera, presentano sul fondo tracce verbali, visive e materiche legate tra loro da una serie di rimandi incrociati.

Il fondo corrispondente al retro del coperchio è rivestito da un foglio di carta la cui superficie appare interamente ricoperta da uno strato di biacca. Su questo strato, l’artista è intervenuto attraverso una fluida e fitta scrittura calligrafica a inchiostro privata di segni di interpunzione. Si tratta di una procedura che contraddistingue molti libri-opera realizzati da Caruso in quegli anni e che viene impiegata in particolar modo – come nel caso del coevo Storia eterna della stupidità (1969-1973)  per citazioni, riappropriazioni e rielaborazioni di testi suoi o altrui. In questo caso, l’incipit della trascrizione («caro luciano/la tua favolosa lettera mi tiene compagnia d/a un paio di settimane») e altre tracce indiziarie disseminate al suo interno, tra cui in particolare il riferimento ai rapporti instaurati dall’anonimo autore con la scena artistica statunitense e alla sua collaborazione come corrispondente per la rivista “Collage”, consentono di individuarne la fonte nella lettera inviata da Mario Diacono a Caruso il 15 settembre 1969[i]. La missiva, parzialmente riscritta nel libro-opera ed estratta del fitto e continuativo scambio epistolare tra i due avviato nell’anno del trasferimento di Diacono a Berkeley[ii], ha come oggetto le vicende e gli incontri vissuti dal critico-artista romano a stretto contatto con la scena sperimentale americana. Esperienze da lui stesso condensate quell’estate – come riporta sempre la lettera citata – in un lungo contributo destinato alle pagine di “Collage” che analizza in particolar modo le ricerche concettuali e comportamentali di artisti quali Richard Serra, Bruce Nauman e Joseph Kosuth[iii].

Luciano Caruso, Libro-opera, 1970, libro in copia unica,
assemblaggio di oggetti in scatola di legno, 32 x 18,5 x 5,5 cm. Archivio Luciano Caruso, Firenze. Foto: Leonardo Morfini.

Dal flusso della citazione calligrafica, risulta significato portare in rilievo il passaggio che chiude il brano ripresentato nel libro-opera, in cui Diacono comunica a Caruso la sua scelta di interrompere, dopo l’uscita del terzo numero, l’esperienza editoriale di “aaa”, la rivista di poesia sperimentale da lui stesso fondata con Ugo Carrega a Milano nel febbraio di quello stesso 1969: «il contat/to con new york mi ha deciso/a non continuare aaa il fatt/o sostanziale è che le riviste/che contano nascono da una e/sperienza dell’arte vissuta in/comune da certe persone gior/no per giorno sia pure solo pe/r un anno e la cosa fatta con Carrega veniv/a fuori un’antologia pa/ssiva poi io ero partito da un/a proposta di poesia nell’og/getto dialettizzante che facev/a lui come poesia nel segno o/ra quando lui nel giro di tre me/si viene fuori con 5 poesie / oggettuali, allora ogni diale/ttica è finita e cominciamo a r[iperterci]»[iv].

Il riferimento alla dimensione oggettuale della poesia rivendicata da Diacono, instaura un evidente rimando interno con l’espressione «libroggetto» che Caruso antepone, sul retro del coperchio, alla trascrizione della lettera del suo amico e compagno di strada, attraverso una scrittura calligrafia a grandi lettere corsive. La presenza di questa rilevante espressione sembra voler attestare una prassi teorica e operativa condivisa tra i due autori, in cui il segno verbale si fa materia e quindi oggetto. È ciò che l’artista napoletano ribadirà ad alcuni decenni di distanza, citando le parole dello stesso Diacono, in un contributo volto a ripercorrere gli sviluppi e gli esiti della scrittura visuale in Italia: «Parola scritturale, dunque, che trova la sua verifica nell’opera, perché questa, per dirla con Mario Diacono, “scorre tra le due rive della verbalità e della cosalità come un flusso in cui tra scrittura e oggetto si è formata una naturale intertestualità”»[v].

La parola «libroggetto» attiva un ulteriore cortocircuito interno con la titolazione del lavoro (Libro-opera) leggibile sull’etichetta del coperchio, sottolineando l’intercambiabilità delle formule definitorie proprie di una pratica trasversale, quella del libro d’artista, che secondo l’autore «sfugge per sua stessa natura ad una classificazione rigida»[vi]. A ogni modo il termine di «libroggetto», contenuto all’interno del più ampio orizzonte semantico del libro-opera, rimanda a un lavoro caratterizzato da un’esibita matericità e quindi da una evidenza tridimensionale. Una sperimentazione che trova importanti precedenti – secondo quanto riconosciuto di lì a poco dallo stesso Caruso – nelle due lito-latte futuriste di Tullio D’Albisola e Filippo Tommaso Marinetti, e più avanti ne La boîte en valise (1941) e Prière de toucher (1947) di Marcel Duchamp[vii]. Opere, queste ultime, che Daniela Palazzoli porrà in apertura dell’apparato iconografico di una delle prime mostre dedicate al libro d’artista in Italia, I denti del drago (1972), in cui Caruso e Diacono saranno entrambi presenti con lavori dalla evidente carica oggettuale[viii].

Il riferimento alla duchampiana La boîte en valise appare rilevante in questo contesto poiché la sua valenza di contenitore portaoggetti si ritrova – sia pur con diversi esiti e passando attraverso le successive esperienze delle Fluxus boxes – nel libro-opera di Caruso. A ribadire, nel lavoro dell’artista napoletano, il gioco intertestuale tra oggetto e scrittura, è la porzione della scatola che affianca la trascrizione della lettera di Diacono, sul fondo della quale vengono incollate svariate tracce visuali di diversa dimensione e provenienza e dal carattere spesso materico-tridimensionale. Si riconoscono, tra queste, riproduzioni di opere verbovisuali realizzate da Julien Blaine, Jiří Kolář e Alain Arias-Misson, la fotografia di una giovane ragazza con un ombrello caratterizzato da una libera composizione di lettere (quasi fosse un intervento di poesia visuale), e un souvenir dedicato alla canzone napoletana A’ Signora Luna facente parte della serie di “cartoline musicali” prodotte dalla storica casa editrice Bideri di Napoli, e ancora pezzi di corteccia e sassi trovati come posti a fissare i vari reperti cartacei e fotografici.

Di questo libroggetto in scatola Caruso realizza nello stesso 1970 un altro esemplare che differisce per la presenza di una diversa lettera di Diacono trascritta al suo interno, così come per la scelta di ulteriori tracce materico-visuali applicate sul fondo del contenitore[ix]. L’artista sembra voler restituire così, attraverso questa coppia di lavori, l’idea di tanti piccoli archivi portatili disponibili a raccogliere, organizzare e conservare ma soprattutto a disvelare e creare nuove narrazioni intorno ai frammenti del proprio vissuto (dalle lettere agli scambi di materiali con altri artisti, dalle fotografie ai souvenir con parole e musiche della tradizione partenopea), caricandoli così di un valore inatteso.

In quella stessa congiuntura temporale, altri due lavori convalidano la pregnanza assunta da simili procedure nella ricerca di Caruso.

Luciano Caruso, Giugno è il mese, 1970, assemblaggio e collage in scatola di legno applicata su cartoncino, 50 x 50 cm. Collezione Carlo Palli, Prato.

Giugno è il mese (1970) ripropone la tecnica dell’assemblaggio e quindi l’idea del contenitore di legno come cornice operativa e semantica per la raccolta e la riattivazione di materiali preesistenti. Nell’opera si rintracciano, a convalida della circolazione delle tracce conservate in questa sorta di raccoglitori portatili, alcuni elementi confluiti anche all’interno dei due coevi librioggetto in scatola. Tra questi, la cartolina musicale dedicata alla canzone napoletana Abbrile Abbrile e il ritaglio della stampa che titola l’opera (in cui si legge «giugno è il mese») appaiono accomunati dalla funzione di delineare visivamente coordinate temporali all’interno della composizione, come se si trattasse di una pagina tridimensionale e materica di un album-diario[x].

Luciano Caruso, Diario di un cercatore che filtra, 1970, libro in copia unica, collage e china su carta, 36 pp., 24 x 17 cm. Ruth & Marvin Sackner Archive of Concrete and Visual Poetry, Miami Beach.

Nello stesso anno Diario di un cercatore che filtra rivela, sin dal titolo, il processo di raccolta e selezione controllata sotteso anche a questo libro-opera. Sulle trentasei pagine che lo compongono, Caruso presenta una selezione di strappi di carte eterogenee che danno vita a una composizione stratificata e sempre variata, in cui riaffiorano molti elementi emblematici della propria esperienza biografica, come alcuni ritagli dei carmina figurata medievali. Non appare quindi casuale la scelta che porterà l’artista ad affiancare, nel catalogo della sua personale a Gallarate del 1993, la riproduzione di una pagina del Diario di un cercatore che filtra a quella di uno dei due “libri portaoggetti” con le trascrizioni delle lettere di Diacono, evidenziando così il legame tra questi lavori uniti da una concezione del libro-opera come deposito attivo di memorie[xi].


[i] Nell’Archivio Luciano Caruso è conservata la copia originale della lettera, poi pubblicata in M. Diacono, Nel flusso-erezione della parola-esistenza (II parte), in Antologica (1965-1975) di Luciano Caruso, catalogo della mostra (Napoli, Galleria Schettini, 20-30 gennaio 1976), Schettini, Napoli 1976, pp. 7-8.

[ii] Centoventi sono le lettere inviate da Diacono a Caruso dal 22 maggio 1967 al 4 ottobre 2002, e conservate in Archivio Luciano Caruso (d’ora in poi ALC), Corrispondenza.

[iii] M. Diacono, Materia-destrutturata (1969), “Collage. Annuario di nuova musica e arti visive contemporanee”, 9, dicembre 1970, pp. 6-21 (il contributo è datato luglio-agosto 1969).

[iv] In una precedente lettera, Diacono aveva comunicato con entusiasmo a Caruso la nascita di “aaa”: «Caro Luciano, a quest’ora immagino il Carrega ti avrà mandato il nostro “aaa” 1, ovvio che devi dirmi che cosa ne pensi, ma l’importante da dire è che tu e Martini (e Villa ovviamente) dovete considerarlo la nostra rivista, non tanto perché ci sono i miei soldi quanto perché con Carrega abbiamo una intesa perfetta. Dunque ’sta rivista: io ti-vi dico subito che la penso tutta operativa, cercheremo di fare il meno possibile petizioni culturali di principio e il più possibili azioni: di poesia ovvio, di poesia ideologica anche se vuoi, ma niente discorsi sulle condizioni del poeta nella società alienata». Lettera inviata da Mario Diacono a Luciano Caruso, 22 maggio 1967; ALC, Corrispondenza. Poi in Diacono, Nel flusso-erezione della parola-esistenza, cit., pp. 5-6.

[v] L. Caruso, Anabasi senza nome. Poesia visuale e libro d’artista in Italia, International AM, Bivongi 1997, p. 12.

[vi] L. Caruso, Es polvo, es sombra, es nada. Pagine e libri d’artista in Italia, in Far libro. Libri e pagine d’artista in Italia, a cura di L. Caruso, catalogo della mostra (Firenze, Casermetta del Forte di Belvedere, 19 aprile-20 febbraio 1989), Centro Di, Firenze 1989, p. 29.

[vii] L. Caruso, Un libro è un libro (1976), poi in Continuum. Contributi per una storia dei gruppi culturali in Italia 1966-1976, a cura di L. Caruso, All’insegna del sapere, Napoli 1983, p. 93.

[viii] I denti del drago. Le trasformazioni della pagina e del libro, a cura di D. Palazzoli, catalogo della mostra (Milano, Galleria L’uomo e l’arte, giugno-luglio 1972), L’uomo e l’arte, Milano 1972. Nel catalogo sono riprodotte le opere Litogrammi (s.d.) di Caruso e Buddha Piece (1969) di Diacono.

[ix] Questo libroggetto, conservato presso la Collezione Carlo Palli, riporta la trascrizione parziale della lettera inviata da Diacono a Caruso, Berkeley, 29 giugno 1969; ALC, Corrispondenza. Poi in Diacono, Nel flusso-erezione della parola-esistenza, cit., pp. 5-6.

[x] Una documentazione fotografica dell’opera sarà pubblicata in “Silence wake”, 1, gennaio-marzo 1973, p. 9.

[xi] Luciano Caruso. Mostra antologica 1963-1993, catalogo della mostra (Gallarate, Civica Galleria d’Arte Moderna, 21 novembre-18 dicembre 1993), Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, Gallarate 1993, pp. 28-29.

In copertina: Luciano Caruso, Libro-opera, 1970, libro in copia unica, assemblaggio di oggetti in scatola di legno, 32 x 18,5 x 5,5 cm. Archivio Luciano Caruso, Firenze. Foto: Leonardo Morfini.

Alessandra Acocella

Dottore di ricerca in storia dell’arte, è attualmente assegnista presso l’Università degli Studi di Firenze. Ha pubblicato studi sull’arte del secondo Novecento, con particolare attenzione alle neoavanguardie degli anni Sessanta e Settanta, alla storia delle mostre e all’arte pubblica. Nel 2018/2019 è stata borsista presso l’Archivio Luciano Caruso e ha curato su questi temi il volume "Luciano Caruso Alchimia degli estremi. Scritti scelti 1964-2002" (Museo Novecento Firenze, 2019).

English
Go toTop