William Kentridge, “Waiting for the Sibyl and Other Histories”

L’inchiostro che dai fogli di libro rinasce in nuova forma prende vita come in un sogno, per danzare sulle note della nostra immaginazione e del canto di Nhlanhla Mahlangu sulle composizioni di Kyle Sheperd.

La mostra Waiting for the Sibyl and Other Histories di William Kentridge, in corso presso la galleria Lia Rumma di Milano, si presenta come un viaggio temporale attraverso la conoscenza e la cultura dell’umanità, conciliando figure ancestrali e meccanismi contemporanei.

Nella prima sala, i passi della Divina Commedia fanno da sfondo alla Sibilla, una delle figure fondanti della religione greca e romana, che l’artista declina sotto le sembianze di una danzatrice africana. Tale scelta ben si inscrive nella poetica di Kentridge che invita a ri-visitare e ri-contestualizzare i fondamenti della società, in particolar modo delle strutture che soggiacciono alla cultura occidentale.

William Kentridge, vista dell’installazione, piano terra (ph. Roberto Marossi)

Il video, Waiting for the Sibyl, un “flipbook”, nasce dall’elaborazione di un algoritmo che mette in movimento la danza della Sibilla, tra alberi e foglie,  e fa sorgere un interrogativo che domina il quotidiano delle società digitalizzate: a quali conseguenze andremo incontro se lasceremo agli algoritmi l’elaborazione della nostra cultura? Forse, la scelta dell’artista di riprendere la pratica dadaista degli slogan, urlati nelle pareti adiacenti, vuole avanzare una proposta di contrasto: STARVE the ALGORITHM.

Dalla leggerezza e dalla volatilità della carta si passa alla solidità delle sculture in bronzo e alluminio al primo piano della galleria. Anche i soggetti rappresentati in questo spazio appaiono più solidi e concreti. In Processione di Riparazionisti (2019), una riproposizione in scala minore delle opere presenti all’OGR di Torino, si trovano i protagonisti e le protagoniste emarginati ed emarginate che hanno scritto le basi nascoste della storia economica dell’occidente. Sono le persone care a Kentridge, figure rappresentate come ombre, quali effettivamente furono, ma che grazie all’azione artistica ritrovano una propria dimensione esistenziale.

William Kentridge, vista dell’installazione, primo piano (ph. Roberto Marossi)

La lettura complessiva della mostra, in questa sala, trova un punto di snodo in Leaf/Ampersand (2019), una scultura in bronzo che si presenta come il tentativo di continuità, l’anello di congiunzione tra la dinamicità del video, i disegni su carta e la pratica scultorea. Una dinamicità in cui anche Lexicon (2017) e Paragraph II (2018), sulla parete opposta, provano ad inserirsi: volti tratteggiati che si prestano ad una visione a tutto tondo e oggetti che invitano all’azione.

Nell’ultima sala della galleria, trasformata per l’occasione in una sala cinematografica, si ritorna alla suddetta dinamicità grazie alla proiezione dell’opera KABOOM!, film del 2018 tratto dall’opera teatrale The Head and The Load. Ci si trova di fronte a uno scorcio di  storia coloniale dimenticata, avvenuta durante la prima guerra mondiale, raccontata dal linguaggio unico di Kentridge. Dall’unione di diversi materiali prendono vita le ombre dei protagonisti, un’azione artistica che vuole offrire una seconda opportunità di ricerca della libertà. Quella libertà a cui i lavoratori africani hanno cercato di aggrapparsi, ribellandosi alle truppe europee, ma che non hanno mai raggiunto. Chi guarda rimane lì ad aspettare che qualcosa accada, che qualcosa evolva in un’altra azione, invece il video continua, in un loop fermo nel tempo, senza nessuna chance né di respiro e né di ribalta.

William Kentridge, vista dell’installazione, secondo piano (ph. Roberto Marossi)

Come un grande albero, presente all’ingresso della mostra Untitled (Leaning on Air, 2020), che si dirama tra le falle della cultura e del tempo, Kentridge guida la nostra conoscenza, disintegrandola e, con essa, l’assoluta convinzione di possedere il controllo su chi pensiamo di essere, su chi pensiamo di esser stati e su chi saremo. La mostra, nella sua interezza, vuole essere un delicato invito alla riflessione e alla decostruzione, rivolto a quel grande “Io” che in fondo così grande e infallibile non è.

William Kentridge, Waiting for the Sibyl and Other Histories
Galleria Lia Rumma
Via Stilicone 19, Milano
fino al 12 ottobre 2020

In copertina: William Kentridge, Drawing for Waiting for the Sibyl (It’s too late now), 2019

(Ragusa, 1994) studia e lavora a Milano. Dopo aver studiato Scienze della comunicazione a Varese, approfondisce gli studi sull’arte frequentando il corso in Visual Cultures e Pratiche Curatoriali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Dal 2018 fa parte dell’Associazione Studi e Spazi festival che organizza annualmente il festival Walk-In Studio, occupandosi della comunicazione e della gestione del progetto insieme al gruppo operativo. Nello stesso anno inizia a co-curare il progetto di BraeraKlasse, un ciclo di mostre organizzato insieme agli studenti del Biennio di Fotografia e di Curatela. Frequenta il master al Sole24Ore in Digital Marketing, Advertising e Social Media Manager.

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