Bernard Stiegler ci lascia, ad appena sessantotto anni.
Chi l’ha conosciuto ricorderà la sua profonda umanità, unita a un’intelligenza sorprendente e vivace. Stiegler ha saputo passare nella vita senza mai dimenticare la domanda fondamentale: cosa davvero fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta? Aveva dato anche per titolo a un suo libro questa domanda, trasformandola in un’affermazione.
Non aveva paura di affermare. Non aveva nulla di quella falsa modestia tipica della post-modernità. Credeva nell’esercizio critico del pensiero e, oserei dire, nella ricerca della verità. Da quasi quarant’anni cercava di pensare, in modo radicale e senza stupidi tic neoluddisti, come maneggiare il “farmaco” tecnologico, l’ambivalenza, tossica e salvifica, della tecnica e, in particolar modo, del web e di internet (che lui distingueva accuratamente). Credeva nella possibilità di un uso delle tecnologie capace di andare oltre l’entropia, oltre la distruzione valoriale della data economy, verso una forma di sapere condiviso, in grado di ridare un senso alla vita sulla terra.
Stiegler, attraverso l’ambizioso programma di una organologia, combatteva la stupidità funzionale e la depressione a cui ci destina un mondo, quello della web economy, che trascina ognuno di noi, ognuno isolato in una rete anonima, verso la mediocrità di un uomo medio, quel soggetto senza volto che esce dagli algoritmi; un soggetto incapace di eccezione e, dunque, di innovazione. Non si dà cambiamento, trasformazione, evoluzione, nuovi significati se non a partire dalle eccezioni, dalle singolarità, da ciò che manda in crisi ogni regola, ogni previsione, ogni calcolo.
Stiegler credeva nella potenza dell’impossibile e dell’imprevisto in un mondo in cui tutto deve essere prevedibile e possibile. Sapeva ascoltare. Credeva nell’attenzione come forma di pensiero. Era un uomo curioso, sensibile; direi dolce.
I big data, sicuramente, stanno già elaborando la sua morte. A noi resta l’eredità di un pensiero e il ricordo di una persona piena di vita.