Nella bella collana «Il labirinto del Mondo», curata da Marco Munaro per l’associazione Il Ponte del Sale di Rovigo (ilpontedelsale@gmail.com), è appena uscito il primo libro tradotto nella nostra lingua di Robert Lax (1915-2000), Il Circo del Sole, a cura di Giampaolo De Pietro e Graziano Krätli, nelle traduzioni di quest’ultimo e di Renata Morresi, con postfazione di Andrea Raos e disegni di Francesco Balsamo. La raccolta d’esordio, del 1959 (ma rivista nell’antologia Circus Days and Nights, uscita nel 2000: e di questa revisione hanno tenuto conto i curatori dell’edizione italiana), è ben esemplificativa dell’ispirazione insieme religiosa (Lax fu discepolo di Thomas Merton) e ferialmente minimalista dell’autore: che nel ’49 si unì alla tournée del Circo Cristiani (secondo Raos «il circo è metafora della Creazione»: dunque come per il Kafka di In loggione, in Un medico di campagna) per poi lasciare gli Stati Uniti, scegliendo di vivere eremiticamente a Patmos dal ’64 sino a poco prima della morte (una delle sue raccolte, Voyage to Pescara, pubblicata postuma nel 2013, è ambientata in Italia dove visse nel ’51, in occasione dell’Anno Santo).
Amico di Ad Reinhardt e Robert Matta, Lax strinse un duraturo sodalizio con il grafico Emil Antonucci e il fotografo Bernhard Moosbrugger, producendo una gran quantità di plaquettes per Journeyman Books (New York) e Pendo Verlag (Zurigo), che spingono la sua ispirazione minimalista in direzione delle ricerche visive e concrete degli anni Sessanta e Settanta. Sarà in questa veste che Lax parteciperà alla storica rassegna Fonè, la voce e la traccia, tenutasi a Firenze fra il 1982 e il 1983, e avrà le sue principali, sporadiche pubblicazioni italiane (con l’incoraggiamento di Maurizio Nannucci), prima della sua re-introduzione odierna. Il suo lascito è conservato dalla francescana St. Bonaventure University di New York, curato da Paul J. Spaeth (curatore anche della citata antologia Circus Days and Nights); importante la biografia recente Pure Act. The Uncommon Life of Robert Lax, di Michael N. McGregor (Fordham University Press 2017).
Di Lax mi ha parlato spesso, negli ultimi tempi, Giuseppe Caccavale: che col poeta americano era entrato in confidenza epistolare e dopo la sua morte si era recato in pellegrinaggio, sulle sue tracce, a Patmos. Riempiendomi di frustrazione per non averlo mai letto. Ma, come dice lui, il poeta è insieme il tempo e l’orologio. Sicché, quando inopinatamente Marco Munaro mi ha mandato il suo libro, ho immaginato che a Giuseppe sarebbe piaciuto commentarlo con le sue immagini (sua è anche la selezione dei componimenti: i primi sei sono accompagnati dalla versione di Graziano Krätli, gli ultimi due da quella di Renata Morresi). Ed eccoci qui.
Andrea Cortellessa
A München nel 1999, grazie a un incantevole video, ho conosciuto Robert Lax. Provai stupore dall’umanità del suo essere, dal suo sguardo anacoretico che inspessiva di significati lo schermo, dalla sua semplicità disarmante. Ritornando a Marsiglia, città in cui vivevo allora, andai al Centre International de la Poésie, consultai i suoi libri, il suo lavoro corrispondeva esattamente a ciò che amo. Ero un contemporaneo di Robert Lax. Presi il suo indirizzo, lo scrissi, mi rispose. Forse ho ricevuto una delle sue ultime lettere scritte. Tra le cose che mi diceva, questa: il ricordo di Marsiglia, città che amava, e l’indirizzo dove aveva abitato, rue des Bons Enfants… la stessa strada in cui abitavo io. Sorprendente. Poco tempo dopo Robert Lax morì. Da allora la sua poesia e il suo comportamento mi sono stati esempi di alto valore umano. Dovevo andare a Patmos, dovevo portare lo sguardo nei suoi luoghi. Le sue parole, come rintocchi di campane annotati sulla pagina bianca, mi hanno aiutato molto nel deserto in cui mi incamminavo. Nel 2005 ho presentato il progetto Il basilico del poco, nella galleria Bernier-Eliades di Atene. Subito dopo la fine del cantiere, mi imbarcai verso il Dodecanneso, sbarcando a Patmos.

Non possono essere fatte fotografie con lo stesso apparecchio fotografico, come non possono essere fatti disegni con la stessa matita. I soggetti cambiano e il nostro dito prova timore in modo differente, facendo click… Ho portato con me la tascabile Rollei solo andando al Monte Athos e a Patmos, sulle tracce di Robert Lax.
A Patmos è stata scritta l’Apocalisse da Giovanni l’Apostolo, l’isola è un calamaio dove è stata intinta la penna che ha graffiato la lastra del cielo. È da lì che l’inchiostro blu del Mediterraneo scorre nelle vene delle Sacre Scritture.

Chissà forse le parole di Robert Lax sono i pezzetti di vetro caduti dalla penna che ha graffiato quella lastra di cielo blu. La pressione della mano ha spinto le parole a uscire dalla pagina del quaderno del poeta, raggiungendoci nella nostra giornata, quella più semplice, dove ogni gesto scandito dall’attenzione del vivere, ci riconosce aloni di aliti sullo schermo di un paesaggio, voci dall’interiorità della natura, una natura che vuole chiamarci per nome, tramite il nostro stesso alito, sapendo di svanire, proprio come gli aloni sui vetri.

Non è più tempo di pensare se una fotografia sia fatta bene o meno. Ho ri-lavorato le fotografie fatte nel 2005 per quest’occasione. Una fotografia dovrebbe arrivare ai nostri occhi come documento sgomento, staccata dalla pelle dei giorni. Farci ascoltare il dolore della mancanza. Ho l’impressione che mi è capitato di aver intinto l’apparecchio fotografico, nel calamaio del cielo blu mediterraneo di Patmos, per disegnare queste fotografie. Certamente non per farle scorrere nelle vene delle Sacre Scritture, bensì nelle vene della sacralità della vita.

Robert Lax, prima di trovare domicilio nella casetta di Skala, ha soggiornato per un periodo all’Hotel Rex, nel porto della città. Le fotografie partono dall’Hotel Rex e terminano negli occhi dei gatti appartenuti al poeta. Sono felice della pubblicazione in Italia del primo libro di Robert Lax, Il circo del sole. È la sua prima volta nel nostro paese. Potrei dire che arriva in ritardo, ma immediatamente rifletto che la poesia non arriva né in anticipo né in ritardo, perché il poeta è il tempo, l’altro orologio. Al poeta si può chiedere… ma come hai fatto a vivere…?

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