La nullesia. Variazioni in nero (Celan-Sereni-Isgrò)

Dico luce, non dico buio, ma si rifletta:
l’ombra che ciò proietta!

Paul Celan

Tra il 1962 ed il 1967 tra Vittorio Sereni e Paul Celan ebbe luogo un breve carteggio, in tutto sette lettere: cinque di Sereni a Celan e due di Celan a Sereni. L’esigua ed asimmetrica corrispondenza aveva per oggetto la proposta di Sereni, allora direttore letterario della Mondadori («Poeta e di poeti funzionario»)[1], di fornire una scelta di poesie di Celan tradotte in italiano, prima per la collana «le Silerchie» del Saggiatore di Alberto Mondadori e poi, in prospettiva, per «Lo specchio» della casa maggiore. Il progetto, incagliatosi sulla scelta del traduttore, non andò a buon fine e solo nel 1976, quando Celan era ormai scomparso, «Lo specchio» accolse un’ampia scelta di testi celaniani a cura di Moshe Kahn e Marcella Bagnasco[2].

La pubblicazione del carteggio, egregiamente curata da Giovanna Cordibella per le Edizioni L’obliquo nel 2013[3], dà conto nel dettaglio della vicenda, allegando altresì un altro scambio epistolare, sullo stesso tema, tra Sereni ed Andrea Zanzotto, identificato da Sereni stesso (con intuizione penetrante) come traduttore ideale per Celan; che però rinunciò da subito all’impresa. Chi volesse dall’insieme ricavare tracce utili per entrare nell’officina dei poeti in questione, che pur sono tra i maggiori del Novecento europeo, rimarrebbe deluso: la storia è quella di un incontro mancato, anzi di due occasioni andate a vuoto. Nondimeno, il rilievo del libretto va oltre l’aspetto storico-documentario e l’ambito letterale. Il merito è di Giorgio Bertelli, l’editore (e artista valentissimo), che nell’allestire le carte si è valso del contributo di Emilio Isgrò: in centotrenta dei trecento esemplari, infatti, è la litografia qui riprodotta, che fa parte del Fondo Attilio Lolini della Biblioteca Umanistica dell’Università di Siena. L’opera, fuori testo, è una delle «cancellature» che l’artista ha realizzato a partire dal 1964[4], e che gli hanno procurato, ha scritto Andrea Cortellessa, «una fama internazionale […] un po’ sulfurea»: un lavoro che, nel caso, si rivela perfettamente acclimatato nel contesto della corrispondenza Sereni-Celan, facendo dell’edizione un originale “libro d’artista” e riverberando proposte diverse e suggestive di lettura, com’è delle opere che sanno aprire ogni volta nuove piste all’interpretazione.

Ad essere cancellata, nella litografia, è la lettera di Sereni (conosciuto da Isgrò a Milano negli anni Sessanta), in francese, del 19 aprile 1967. L’artista siciliano, esordiente come poeta nel 1956 per i tipi di Schwartz (Fiere del Sud), in più occasioni ha testimoniato che la svolta da lui compiuta con tali operazioni – celebri le cancellature della Treccani, della Costituzione italiana e dei Promessi Sposi – ebbe all’epoca accoglienza poco benevola specie tra i letterati, a partire da Eugenio Montale[5]; ma seppe raccogliere, invece, l’attenzione partecipe di un altro poeta, il già nominato Zanzotto, estremamente sensibile ai rapporti tra arte e letteratura ed ai processi di significazione. Che anche la scrittura di quest’ultimo, traduttore mancato di Celan (e suo acuto lettore)[6], sia presente in riproduzione nel volumetto dell’Obliquo per un intervento in margine ad una versione di prova[7] (non senza cancellature) di Im Spätrot (Nel rosso della sera), per mano di Giuseppe Bevilacqua (che poi curò il «Meridiano» di Celan)[8], è perciò qualcosa di più di un’aggiunta d’apparato, ed entra a far parte in modo coerente del manufatto allestito da Bertelli e Isgrò, luogo di un’interrogazione che sfida i confini dei generi e la separatezza delle arti, invitando a cogliere risonanze e codici che le oltrepassano e le mescolano. Ma in che senso, allora, il plusvalore del libretto? Ed in cosa consiste lo spessore, la particolare forma di (artistica) evidenza propria dell’insieme di scritture di cui, a suo modo, si fa interprete Isgrò?

Per cominciare, non tutto, si noterà, è cancellato nella lettera di Sereni. Una cancellazione non è un atto seriale o intercambiabile e generico, bensì un’operazione specifica, individuata. Come brevi pause nella sequenza grafica delle macule nerissime qui si stagliano l’esordio, oltre alla data d’invio, alla firma e all’indirizzo parigino di Celan, e due frammenti scaleni dal secondo paragrafo: «Je peux comprendre» e «vos doutes», posti quasi al centro dell’opera. Ad una zona formulare e protocollare si aggiunge quindi un varco di maggiore spessore semantico, sottratto alla generale ecatombe lessicale (le parole sono cancellate una per una, come spesso in Isgrò; non però i segni d’interpunzione). Una rimanenza, si potrebbe dire, che proprio in virtù dell’operazione a levare/celare enuclea un frammento che si carica di significati secondi rispetto al dettato originale, rimosso; una eccedenza, quindi, che la stessa natura anfibia del progetto di Isgrò rivela negando la funzione di servizio, diplomatica e pragmatica, della lettera. Così «comprendre» e «vos doutes» sono calati dentro i vuoti ed i pieni di una metrica concreta, quasi una sinopia in nero o eclissi che si offre all’indagine postuma, stabilendo ex novo un orizzonte di lettura dello spartito-graffito di Isgrò.

Il primo riferimento o meglio la prima ipotesi, in tale cornice, non può che riportare all’opera di Sereni. Qui la postura dubitante (o talora esitante) non solo è così frequente da essere ritenuta intrinseca all’io poetico, affiorando in molteplici poesie e prose, ma fa parte di un più generale percorso di conoscenza che prevede sì momenti visionari, ma anche l’attraversamento del Negativo e stazioni intermedie, pause, momenti di stallo ed esplorazioni a latere del reale[9]. Il dubbio, inteso non in senso comune ma in accezione radicale, fa parte anch’esso di questo processo; per cui la sua comparsa all’interno della cancellazione, insieme al comprendere, assume un valore che più che emblematico si direbbe “ermeneutico”; e quanto al Negativo, se ci sintonizziamo su queste frequenze di pensiero, quasi inevitabilmente il percorso approda ad una poesia del libro maggiore di Sereni, Gli strumenti umani, intitolata I versi[10], dove dei versi appunto si dice che

Se ne scrivono solo in negativo
dentro un nero di anni.

Far poesia sulla difficoltà di far poesia non risponde in Sereni ad una istanza teorica, bensì ad una esigenza che è insieme di ordine esistenziale ed etico, facendo parte del vissuto. Non diversamente, le cancellazioni di Isgrò possono leggersi non come “provocazioni”, secondo un approccio banalizzante, ma come interpretazioni che agiscono tanto sul piano semantico che su quello grafico, dove si tratta di svelare oscurando, dialetticamente, quel che nelle opere è latente o appartiene al loro “rovescio”. Il nero di Isgrò, allora, debordando a ritroso negli «anni» (per così dire), è come se traducesse per via visiva all’interno del nostro libretto un motivo dell’opera sereniana, indicando una zona comune che affiora sulla pagina, anzi sulla carta (qui aziendale e per nulla poetica…), senza peraltro che si possa ometterne gli affioramenti lessicali. E chissà, poi, procedendo sulla base di tali indizi, se non sia dato incontrare in questi dintorni quel Poeta in nero di Stella variabile[11], che – come in una parodia di Heine[12] – afferma «Sono fiero di essere un poeta» («Ich bin /stolz ein Dichter zu sein»), e alla tacita domanda dell’io – «Ma perché tanto nero?» – risponde: «Vesto il lutto per voi / da dietro vetri neri [..]»: non avrà a che fare, anche lui, con quel Negativo, dilagante e invadente come una dominante carsica che riemerge? Certo è che qui, in Sereni, non si tratta di un colore esclusivamente “maliconico”, di un lutto temporaneo o di maniera, ma di alcunché attecchito nel profondo, non senza precisi riferimenti storici: vi si riflette, infatti, il clima epocale che dal trittico Dall’Olanda e da La pietà ingiusta degli Strumenti umani si estende sino al Sabato tedesco[13]. È il lungo cono d’ombra che il passato nazista (il tempo delle «orripilanti cataste»)[14] proietta fin dentro il presente, lo spettro della continuità rimossa, non solo in Germania; la poesia ne è essa stessa investita, messa in questione e trasformata.

Kazimir Malevic, Quadrato nero, 1913

«La negazione è metamorfosi, […] come nel quadrilatero o nel cerchio nero di Malevich che spettacolarizza il bianco. Ma lo stesso si potrebbe dire dell’oscuramento dello schermo attuato da Jean-Luc Godard, in Week-end, 1967, in cui interrompe la proiezione di immagini, facendo entrare in campo il nero così da sottolineare la modalità illusoria del cinema e il valore del racconto figurale». Così, nel novembre 2019, si esprimeva Germano Celant in dialogo con Isgrò, in occasione di una mostra dell’artista, commentando le cancellazioni e collocandole sullo sfondo del Moderno più radicale e inconciliato. Considerazioni del genere sono appropriate anche per leggere il nostro testo ed i suoi riflessi, offrendo sollecitazioni ed ulteriori spunti per un commento interdisciplinare che addentrandosi nella sfera del Negativo ne metta in risalto le diramazioni demistificanti e metapoetiche, senza timore di approdare a zone di latenza e di potenza dialettica (di metamorfosi) poste ben oltre la dimensione estetica; e così, infine, implicando o meglio sfiorando – non senza tutte le cautele del dubbio, s’intende – il destinatario della lettera, Paul Celan.

Jean-Luc Godard, Week-end, 1967

Sì, è vero e non dobbiamo dimenticarlo: nel testo Celan è assente e muto come voce-scrittura; e tuttavia, è presente con il proprio nome sia all’inizio che alla fine, destinatario laconico e a lungo silente, forse evasivo e presto dileguatosi tra le ombre. Se ciò non basta come pretesto per avvicinarne l’opera in modo diretto – anzi, farlo sarebbe una forzatura fin troppo evidente – nondimeno in ordine ad un commento che si ponga nell’intreccio di suggestioni appena abbozzato, o piuttosto all’interno del campo di forze in cui ci siamo avventurati, anche le esigue tracce della corrispondenza, la cancellazione portata su di esse, così come le loro rimanenze, possono parlarci, emettere segnali, un po’ come quelli di cui Sereni ebbe a parlare per Morlotti[15], latori di una propria luce interna e di una propria lingua. Che poi i dubbi riguardino le vicende editoriali o la traducibilità della poesia celaniana – o forse della lingua stessa – è una ipotesi che ricade fuori dal perimetro testuale, là dove il nero spadroneggia e interdice il passaggio all’interprete che non osi sporgersi oltre la superficie; resta il fatto che la sottrazione/cancellazione della scrittura al suo versante comunicativo[16], da parte di Isgrò, non per questo realizza il “grado zero” della significazione, ne è piuttosto una variante, rappresentando un’altra forma di astanza che contesta e supera il linguaggio standardizzato della “comunicazione”, obbediente al diktat dell’esistente, il suo avvilimento a funzione della merce.

Un piano paradossalmente affermativo, quindi, è recuperato in extremis dall’artista, entro un quadro che prevede tanto la pars destruens che quella construens; e qui è lo stesso Isgrò a spiegare: «Il problema non è inventare una cosa ma farla diventare importante. Se avessi inventato la cancellatura e non mi fossi accorto delle sue potenzialità avrei fatto un gesto dada e nichilista. Niente di più lontano! Il mio intento non è mai stato quello di annullare ma di costruire»[17]; o  ancora, in polemica con chi nelle cancellature scorge una prosecuzione della poetica mallarmeana dell’assenza: «la cancellatura […] non postula il vuoto, interroga la possibilità della parola umana di sopravvivere».

Questo ci riguarda da vicino, e non per una coincidenza. I sentieri percorsi da alcuni tra i più autorevoli interpreti di Celan[18] – che da parte sua rifiutava seccamente ogni iscrizione al filone “ermetico” – si collocano entro le coordinate appena intraviste: sopravvivenza e possibilità, oscuramento e rivelazione. Di nuovo, prossimità illegittima e inverificabile, passaggio periglioso e fondato sul niente? Può darsi; ma credo valga la pena indugiare ancora per un tratto in margine a quel nero, a quel lutto; ripensare ancora una volta ai suoi riflessi, a loro modo illuminanti e inquietanti, provare ad ascoltarne la lunga eco. La possibilità della sopravvivenza della parola umana non è precisamente quanto sta al centro dell’opera del poeta, nel cuore della sua «oltranza»[19]? Come esemplarmente ha scritto Andrea Zanzotto, Celan «rappresenta la realizzazione di ciò che non sembrava possibile: non solo scrivere poesia dopo Auschwitz ma scrivere “dentro” queste ceneri, arrivare ad un’altra poesia piegando questo annichilimento assoluto, e pur rimanendo in certo modo nell’annichilimento»[20]. E sia pure un azzardo, evocare a margine del libretto dell’Obliquo la memoria di questi nostri poeti e l’arte di Emilio Isgrò, il loro lavoro sulla lingua e l’esperienza del mondo di cui ci han dato notizia; non per questo rinunceremo a leggere quelle carte maculate nella luce corusca dell’incipit vertiginoso, a futura memoria, di Svolta del respiro:

CORROSA E SCANCELLATA
dal vento radiante della tua lingua
la chiacchiera versicolore
dei fatti vissuti – la linguacciuta
mia poesia, la nullesia.[21].

In copertina: una scena di Week-end, di Jean-Luc Godard (1967)


[1] Secondo l’epigramma di Franco Fortini in L’ospite ingrato primo e secondo, in Id., Saggi ed epigrammi, a cura e con un saggio introduttivo di L. Lenzini ed uno scritto di Rossana Rossanda, Milano, Mondadori, 2003, p. 1064 [Epigrammi per Vittorio].

[2] Paul Celan, Poesie, a cura di M. Kahn e M. Bagnasco, introduzione di Moshe Kahn, Milano, Mondadori, 1986.

[3] Paul Celan, Vittorio Sereni, Carteggio (1962-1967), con in appendice uno scambio epistolare tra Sereni e Andrea Zanzotto e un saggio traduttorio di Giuseppe Bevilacqua con interventi di Zanzotto, a cura di G. Cordibella, Brescia, Edizioni L’obliquo, 2013.

[4] Si vedano al riguardo le pagine autobiografiche di E. Isgrò, Autocurriculum, Palermo, Sellerio, 2017, pp. 86 segg.

[5] Ivi, p. 92.

[6] Vedi A. Zanzotto, Per Paul Celan, in Scritti sulla letteratura. Aure e disincanti nel Novecento letterario, II, a cura di G. M. Villalta, Milano, Mondadori, 2001, pp. 345-349.

[7] La variante di Zanzotto al v. 13 di Bevilacqua («dice promesse arboree d’ombra») è «parla un’arborea parola di promesse d’ombra». In Celan: «spricht sie ein schattenverheissensendos Baumwort».

[8] Paul Celan, Poesie, a cura e con un saggio introduttivo di G. Bevilacqua, cronologia di M. Specchio, Milano, Mondadori, 1998.

[9] Vedi per questi temi il mio Verso la trasparenza. Studi su Sereni, Macerata, Quodlibet, 2019.

[10] V. Sereni, Poesie, edizione critica a cura di D. Isella, Milano, Mondadori, 1995, p. 149.

[11] Ivi, p. 209.

[12] «“Ich bin eine deutscher Dichter”» (Buch der Lieder; traduzione di F. Fortini, Come sono contento, in Il ladro di ciliegie e altre versioni di poesia, Torino, Einaudi, 1982, p. 61: «Io sono un  poeta tedesco, / Sanno, in terra tedesca, chi sono», vv. 9-10; ora in Id., Tutte le poesie, a cura di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2014, p. 635.)

[13] Vedi V. Sereni, Poesie cit., pp. 172-175; Id., Il sabato tedesco, in Poesie e prose, a cura di Giulia Raboni, Milano, Mondadori, 2013, pp. 751-774 (da leggere insieme a L’opzione, ivi, pp. 707-737.)

[14] V. Sereni, La pietà ingiusta, in Id., Poesie e prose cit., p. 224; L’opzione, ivi, p. 720).

[15] V. Sereni, Morlotti e un viaggio, in Id., Poesie e prose cit., 681.

[16] «Una poesia così fatta – notava Montale a proposito degli Strumenti di Sereni – dovrebbe logicamente tendere al mutismo» (E. Montale, Strumenti umani, «Corriere della Sera», 24 ottobre 1965, ora in: Id., Il secondo mestiere, Mondadori, Milano 1996, p. 2749).

[17] C. Cipriani, La cancellatura come ricerca e stile di vita. La parola a Emilio Isgrò, «Academy of Fine Arts», 21, 2019, p. 19. Vedi anche E. Isgrò, Autocurriculum cit., pp. 89-90.

[18] Cito almeno P. Szondi, Celan-Studien, Frankfurt/M., Suhrkamp, 1972 (traduzione di G. A. Schiaffino, L’ora che non ha più sorelle. Studi su Paul Celan, Ferrara, Gallio, 1990); Th. W. Adorno, Teoria estetica, a cura di E. de Angelis, Torino, Einaudi, 1975, pp.453-455; M. Pezzella, La voce minima. Trauma e memoria storica, Roma, manifestolibri, 2017, pp. 7-27 e 69-106. Sereni e Zanzotto sono evocati con intelligenza da Alessandro Baldacci in L’astro e le spine: Paul Celan nella poesia italiana contemporanea, nell’importante   volume monografico Paul Celan in Italia. Un percorso tra ricerca, arti e media 2007-2014, Atti del convegno (Roma, 27-28 gennaio 2014), a cura di D. D’Eredità, C. Miglio e F. Zimarri, Roma, Università Sapienza Editrice, 2015, pp. 361-370.

[19] V. Sereni, L’oltre della poesia: Pedro Salinas e Paul Celan, in Poesie e prose cit., p. 1005.

[20] A. Zanzotto, Per Paul Celan cit., p.345.

[21] P. Celan, Poesie cit., p. 551. Maiuscolo del testo: «WEGGEBEITZ vom / Strahlenwind deiner Sprache / das bunte Gerede des An- / erlebten – das hundert- / züngige Mein- / gedicht, das Genicht.»

(Firenze, 1954) ha dedicato studi e commenti all’opera di Vittorio Sereni, Franco Fortini, Guido Gozzano, Giovanni Giudici, Attilio Bertolucci, Alessandro Parronchi e altri autori novecenteschi, non solo italiani. Dirige la Biblioteca Umanistica dell’Università di Siena ed è coordinatore del Centro studi Franco Fortini. Il suo ultimo libro è “Verso la trasparenza” (Quodlibet 2019).

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