Glitchasemics

È uscito Glitchasemics di Marco Giovenale (con testi critici di Michael Betancourt, Kenneth Goldsmith, Mark Amerika e Jim Andrews, Minneapolis, Post-Asemic Press, 2020, pp. 124, $ 29). Grazie alla cortesia dell’autore e dell’editore ne presentiamo qui una selezione, con una nota scritta espressamente dall’autore per «Antinomie».

Il doppio illeggibile
(brevissima osservazione di poetica)

Difficile non osservare che il generale vivere di codifiche e ricodifiche da parte di una intera società (non solo occidentale) e dei suoi segni è sostanzialmente mise en abîme o cannocchiale senza fine, insomma il più che classico gioco di specchi affrontati che non consente di mettere un punto fermo alle deviazioni e derive del collettivo girovagare passeggiare perdersi non solo nei boschi narrativi e interattivi ma anche nelle inaggirabili e forti foreste di segni e simboli che otticamente, dico sul primario piano retinico, affollano la semiosfera nel suo complesso.

La stessa logica del meme, a sua volta e più volte ri-memizzato, suggerisce qualcosa in proposito. (E che il meme sia cosa seria e seriale non si direbbe dubitabile: cfr. Jack Zipes, che lo applica ad una struttura millenaria come la fiaba, per esempio nel saggio La fiaba irresistibile, Donzelli 2012).

In questa ottica, anzi ben prima di rendermi conto che fosse un’ottica, mi sono mosso nell’applicare alla scrittura asemica un’ulteriore virata generatrice di errore grafico e sconcerto: il glitch. Cos’è la scrittura asemica e cos’è il glitch, ma soprattutto cosa succede quando si sovrappongono, cospirano?

Di “asemic writing” si parla dai tardi anni Novanta a proposito di materiali apparentemente alfabetici e dotati di messaggio e significato, ma in realtà illeggibili perché costituiti da caratteri e sequenze di tracce e glifi che non esistono in nessuna lingua reale. L’indecifrabilità e l’uscita dal significato non comportano tuttavia un’esclusione del senso, o – banalmente – della possibile bellezza del segno, dei segni, della loro organizzazione materiale sulla pagina. (Esempi di scrittura di questo genere attraversano tutto il Novecento, in realtà, e non riguardano solo il nuovo millennio: vediamo ad esempio le opere di Irma Blank, definite “asemantiche” da Gillo Dorfles nel 1974)

Marco Giovenale, ritratto glitch (da una foto di Franco Falasca)

Il “glitch” nasce nel vocabolario dell’elettronica, a segnalare la breve, improvvisa e imprevedibile malformazione di un’onda teletrasmessa, per via di qualche errore inatteso nel sistema di emissione o trasporto. Da lì alla musica elettronica il passo è breve: troviamo l’espressione “glitch music” all’inizio degli anni Novanta: sequenze composte attraverso strumenti elettronici e computer intenzionalmente manomessi sprogrammati pasticciati e insomma orientati in modo da produrre o mescolare (da fonti le più diverse) continui errori, perdite di dati, deformazioni del suono, loop imperfetti. Successivamente, l’ambito della produzione digitale di immagini – sia fisse che in movimento – chiama glitch tutte le realizzazioni che fanno uso di tecniche analoghe per sgretolare, stravolgere, deformare in vario modo e attraverso colorazioni spesso falsate e aggressive, le figure di partenza. Dunque fotografie e film.

Applicare il glitch all’asemic writing è venuto spontaneo (posso immaginare: non solo a me) negli scorsi anni, come tecnica per spingere il significato già problematico di una pagina asemica nelle braccia dell’ulteriore disgregazione del glitch.

Perdere in abisso, dunque, un significato che non si dava nemmeno prima dell’abisso, m’è parsa cosa da felicemente farsi.

L’idea del doppio, in letteratura e arte e ovunque, si sa, si raddoppia e ramifica da che ci si è lasciati l’Eden precocemente alle spalle. Qui il doppio è un doppio/doppiamente illeggibile, nella tipologia di opera che con un neologismo ho trovato logico battezzare singolarmente “glitchasemic” (reductio ad unum, per sorridere nella contraddizione, chiudendo due belle/begli arti in un braccio solo, moltiplicandone la vita, si spera).

(Ma poi il plurale del titolo riapre i giochi: Glitchasemics).

è tra i fondatori di gammm.org (2006). Vive a Roma dove lavora come lettore per case editrici, traduttore e, talvolta, libraio freelance. È redattore di spazi web italiani e anglofoni. Cura la collana “SYN – scritture di ricerca” per le edizioni IkonaLíber.
Suoi scritti critici e testi in prosa e in poesia sono usciti in riviste tra cui «il verri», «alfabeta2», «l’immaginazione», «il manifesto», «Nuovi argomenti», «Semicerchio»; e, in inglese, «Aufgabe», «Journal of Italian Translation», «Or», «Capitalism, Nature, Socialism». Tra i libri di poesia: "La casa esposta" (Le Lettere, 2007), "Shelter" (Donzelli, 2010), "Storia dei minuti" (Transeuropa, 2010), "Maniera nera" (Aragno, 2015), "Strettoie" (Arcipelago Itaca, 2017). In prosa: "Quasi tutti "(Polìmata, 2010; "Miraggi", 2018) e "Il paziente crede di essere" (Gorilla Sapiens, 2016). Con i redattori di gammm è nel libro collettivo "Prosa in prosa" (Le Lettere, 2009). Per Sossella nel 2008 ha curato una ampia raccolta antologica di testi di Roberto Roversi. Ha tradotto "Billy the Kid", di Jack Spicer (La camera verde, 2014).
Come artista e asemic writer ha esposto in Italia e fuori, è presente in cataloghi di mostre collettive, e ha pubblicato libri di materiali asemici.

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