“Rest in Power, George Floyd”

09/06/2020

“A riot is the language of the unheard” MLK

Forse l’esempio più calzante di come è possibile contrastare efficacemente una biopolitica della morte è la lettera aperta inviata da 1.288 “operatori sanitari” in sostegno di “una risposta anti-razzista alle dimostrazioni contro l’ingiustizia sistemica, durante la pandemia del Covid-19.” Rimando al testo completo[1] e riporto qui solo quelli che i latori della lettera aperta sottolineano come principi-guida:

La supremazia bianca è una letale questione di salute pubblica che precede e contribuisce a Covid-19

Rimanere a casa, mantenere le distanze sociali, e indossare una maschera sono misure efficaci contro la diffusione di Covid-19

Vanno sostenute le proteste contro il razzismo sistemico, che è causa del peso sproporzionato di Covid-19 sulle comunità Nere e perpetua la violenza della polizia.

Seguono una serie di misure volte a salvaguardare dal contagio chi partecipa alle dimostrazioni. La lettera si conclude con questa frase:

Ascoltare e dare la precedenza ai bisogni della gente Nera (“Black people”) come sono espressi dalle loro voci (“Black voices“).

É rincuorante vedere come gli anti-corpi della democrazia americana si siano vigorosamente attivati, nella concomitanza delle due pandemie. Per quanto riguarda la seconda, alla maggioranza dei cittadini americani non è forse mai stato più chiaro che la polizia è l’agente patogeno. “When was Covid-19? What infection did I fear last week? The cops are the sickness.” “Quando era Covid-19? Che infezione temevo la settimana scorsa? I poliziotti sono la malattia” – scrive Danez Smith nel New Yorker di questa settimana.  Da qui gli appelli a disinvestire dalla polizia, riformare la polizia, abolire la polizia che della supremazia bianca è lo strumento più macroscopicamente effettivo. Ma il virus ha radici più subdole.

Lascio ad altri più competenti di me il compito di commentare l’articolazione “biopolitica” di questi appelli. Vorrei invece offrire un breve esercizio di commento a una traduzione, prestando ascolto a una delle “voci” evocate nella lettera aperta:

because white men can’t
police their imagination
black people are dying

Come tradurre questi versi lapidari di Claudia Rankine su cui, per consiglio di mia figlia ventitreenne, ho riflettuto molto in questi giorni?

Una traduzione italiana esiste, la cito:

poiché gli uomini bianchi non sanno
tenere a bada la loro immaginazione
gli uomini neri muoiono[2]

É una traduzione efficace ma non del tutto soddisfacente. E tuttavia il mio tentativo di offrire una traduzione alternativa si inceppa proprio nei due punti dove la traduzione non mi soddisfa. Partiamo dal secondo punto: la traduzione di “black people” con “uomini neri.” Ora, la parola “people” non ha genere e andrebbe semmai tradotta con “gente.” O “popolo.” Ma “popolo” è una parola forse troppo usurata e carica di ambiguità nel contesto attuale. E “la gente nera” ha un suono strano alle mie orecchie. (Mi chiedo perché? Forse perché in italiano la “gente” indica indistintamente “tutti” e dunque non può essere solo “nera”? Forse perché l’aggettivo che siamo soliti accoppiare a questa parola è piuttosto “qualunque”?). 

Ma il fatto è che nonostante siano il gran numero, non sono solo gli “uomini neri” le vittime discriminatoriamente indiscriminate della polizia, braccio armato della “legge” che arbitrariamente decide chi può vivere e chi deve morire. Come scrive Achille Mbembe, dando una definizione di “necropolitica”: “l’espressione ultima della sovranità risiede, in larga misura, nel potere e nella capacità di dettare chi può vivere e chi deve morire.”[3] Senza apparenti distinzioni. Nella poesia di Rankine, le vittime della necropolitica sono “la gente nera” (black people). Meglio allora dire semplicemente “i neri”? Forse, ma ricordando tutti i loro nomi, come invitano a fare Black Lives Matter e la stessa Rankine nel suo libro. 

Forse mai come oggi, in tempi di pandemia, è evidente quanto, sin dai tempi dei Runaway Slave Patrols, la polizia americana sia l’agente patogeno di una endemica necropolitica che pesa sproporzionatamente da generazioni sulle comunità nere. (E se non basta la polizia chiamiamo la guardia nazionale; e se non basta, chiamiamo l’esercito, proclama, per fortuna subbissato da grida di disapprovazione, l’aspirante dittatore dalla Casa Bianca). I versi di Rankine indicano però una causa precisa dell’infezione: l’immaginazione che gli uomini bianchi non sanno…

Qui il mio tentativo di traduzione si inceppa di nuovo: in italiano non c’è un verbo che traduca alla lettera l’icastico “to police” – tanto più efficace proprio perché identico al sostantivo che designa l’agente patogeno che uccide la “gente nera.” É il verbo “to police” che condensa tutto il senso e la forza di questi versi – ma non esiste in italiano. Gli “uomini bianchi” sono incapaci “to police” la propria immaginazione.

Le traduttrici italiane di Rankine hanno tradotto il verbo “to police” con “tenere a bada.” I Vocabolari citano vari esempi dell’espressione “tenere a bada,” nella nostra lingua tanto comune quanto forbita. Anticamente, apprendiamo, era più comune “stare a bada,” nel senso di “temporeggiare, o stare in attenta aspettativa.” L’esempio più illustre di quest’ultimo significato ci viene dalla Commedia: “Tal parve Anteo a me che stava a bada/ Di vederlo chinare…” (Inf. xxxi, 139). Dante incontra Anteo (il gigante soffocato da Eracle sollevandolo dal suolo, la madre Terra da cui derivava la sua forza) al passaggio tra l’ottavo e il nono cerchio dell’Inferno: l’unico non incatenato nel Pozzo al centro di Malebolge in cui stanno incatenati gli altri giganti, ribelli per atto di superbia. Istruito da Virgilio, Dante “sta a bada” di vederlo inchinare davanti a lui, pendendo come la torre della Garisenda.

Come spiega il Vocabolario Treccani, stare a bada “vive tuttora nella locuz. tenere a bqualcuno, trattenerlo studiatamente in modo da fargli perdere del tempo o distrarlo da altro oggetto, o per tenerlo tranquillo.”[4] Nel corso di una evoluzione che sarebbe interessante documentare, si opera un transfert. Dallo “stare a bada” al “tenere a bada” l’azione, o la capacità, da intransitiva è diventata transitiva. Nella traduzione dei versi di Rankine, è perché gli uomini bianchi non sanno “tenere a bada la loro immaginazione” (qui si tratta di “uomini bianchi,” senza ambiguità), che i neri vanno morendo – per mano della polizia.

Se l’espressione “tenere a bada” non soddisfa del tutto, come tradurre allora quel “to police”? Si potrebbe forse sostituire il verbo inesistente nella nostra lingua con una coppia verbale resa celebre dal titolo di un libro che è tra i riferimenti obbligati di Mbembe: “sorvegliare e punire.” La diade inverte (imperfettamente) l’ordine del “servire e proteggere” (To serve and to protect), il motto della polizia di Los Angeles (LAPD) che sarebbe anche una sorta di giuramento ippocratico del poliziotto.[5] (“Who is protecting us besides us? What are these cops protecting?” – “Chi ci protegge a parte noi stessi? Cosa proteggono questi poliziotti?” si domanda Danez Smith sul New Yorker).

Poiché gli uomini bianchi non sanno “sorvegliare e punire” la loro immaginazione, i neri vanno morendo. Tradurre così i versi di Rankine sarebbe una poco elegante forzatura. E altrettanto forzata, e stonata, sarebbe una traduzione che, appoggiandosi all’assonanza “polizia/pulizia,” intendesse il senso di “to police” come una purga, una cura – la pulizia della propria immaginazione di cui sono incapaci gli uomini bianchi.

Dobbiamo rassegnarci all’evidenza che in qualsiasi modo si traduca in italiano “to police” il contrappasso, così esplicito nei versi di Rankine, si offusca. Quello che viene a mancare in ogni traduzione possibile è l’azione che il verbo “to police” precisamente esprime: come un pharmakon, ritorce l’agente letale – la polizia – sull’immaginazione malata di noi uomini bianchi, incapaci di “tenere a bada,” sorvegliare, punire, purgare e umiliare la nostra superbia razziale (la patologica allucinazione della nostra supremazia).

L’omicida impotenza di noi uomini bianchi è di avere sostituito il potere – la polizia – all’immaginazione. Per questo la “gente nera” continua a morire. In una serie di amari contrappassi, George Floyd, descritto come un “gigante buono” da familiari ed amici, come l’Anteo di fronte a Dante che “stava a bada/ di vederlo chinare,” si erge sempre di più, acquista sempre più forza nell’immaginazione dei cittadini americani più il ginocchio dell’oppressore lo tiene premuto a terra – fino a fargli esalare il respiro. (É forse questo il nuovo senso che acquista l’inginocchiarsi – taking a knee – eseguito da alcuni poliziotti e, platealmente, anche dal candidato democratico alla presidenza, Joe Biden in una chiesa di Filadelfia, e dai leaders democratici ieri in parlamento?)

Che lezione trarre dai versi di Rankine, nel giorno dei funerali solenni di George Floyd? Che l’unico modo di risarcire le nostre vittime è stare a bada, senza distrarci di nuovo, ascoltare le loro voci, affidarci alla loro immaginazione. Un cartello deposto tra gli altri nel punto in cui è caduta questa ennesima vittima della nostra immaginazione malata rimanda a una pagina di Black Lives Matter: “Rest in Power, George Floyd Lascio a ciascuno di noi il compito di tradurre.

Providence, 9 giugno 2020


[1] https://www.cnn.com/2020/06/05/health/health-care-open-letter-protests-coronavirus-trnd/index.html

[2] Citizen. An American Lyric. Traduzione di Silvia Bre e Isabella Ferretti, cito dall’edizione digitale italiana, © 66thand2nd 2017.

[3] https://muse.jhu.edu/article/39984. Necropolitica tra l’altro implica “nuove e uniche forme di esistenza sociale in cui vaste popolazioni sono soggette a condizioni di vita che conferiscono loro lo stato di morti viventi.”

[4] Per alcuni “bada” potrebbe derivare non da “badare,” ma da “badalucco,” giocattolo, trastullo, o trucco militare, quella che si chiamerebbe una diversione.

[5] https://www.policefoundation.org/a-hippocratic-oath-for-policing/

Massimo Riva

(Vercelli, 1952) insegna nei dipartimenti di Italian Studies e Modern Culture and Media della Brown University di Providence (Rhode Island, USA). Tra le sue pubblicazioni, i saggi “Pinocchio digitale: postumanesimo e iper-romanzo” (Milano, 2012) e “Il futuro della letteratura. L’opera d’arte letteraria nell’epoca della sua (ri)-produzione digitale” (Napoli, 2012). Ha curato l’antologia “Italian Tales” (New Haven, 2007 e 2011) e contribuito a un’edizione inglese dell’”Orazione sulla Dignità dell’Uomo di Pico della Mirandola” (Cambridge, 2012). Sin dagli anni Novanta, ha ideato vari progetti in rete, tra cui: il “Decameron Web” e il “Garibaldi Panorama and the Risorgimento Archive”, riuniti nel Virtual Humanities Lab. In fase di completamento, un progetto pilota della Brown Digital Publications Initiative, sostenuta dalla Mellon Foundation: una monografia digitale intitolata “Italian Shadows. A Curious History of Virtual Reality”, che verrà pubblicata dalla Stanford University Press nel 2021.

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