Edward Snowden tra internet e memoria

Tails[1]

Cosa resta di noi quando non siamo più in grado di ricordare ?
Chi sono gli hacker ?

Queste due domande hanno orientato in parallelo la mia vita e la mia ricerca artistica negli ultimi sei anni fino ad incrociarsi inaspettatamente.  

Ho cercato l’essenza della memoria lì dove vacilla, tra le persone affette dal morbo di Alzheimer: ho trovato ricordi musicali, nenie, frammenti di canzoni, motivetti, gli ultimi a resistere alla degenerazione neurologica causata dalla malattia. Queste voci che cantano sono diventate il fondamento di una serie di opere dal titolo Alzheimer Café (2014-ongoing), in cui attraverso suono, performance e interventi scultorei espansi creo spazi pubblici di ascolto dove memorie private si incontrano.

In parallelo sono andata alla ricerca delle origini e dei dispositivi concettuali e materiali dell’internet, ho incontrato hacker, scienziati, attivisti e dedicato ad ogni tappa delle mie scoperte un’opera. Una serie che si sviluppa attraverso rimandi, come con i link del web un lavoro ti porta al successivo. Un libro d’artista, In the Corridor of Cyberspace (2016), mette in scena una delle prime mailing list della storia del web, la “Cypherpunks Mailing List”; una serie di performance, A Better Chance to Gain Enough Entropy (2016),  I Never Think of The Future. It Comes Soon Enough (2018), sinfonie parlate, traggono spunto da temi dibattuti in quel forum online, quali privacy, anonimato, denaro digitale, libertà di parola, per collegarli oggi ai nodi cruciali delle nostre vite digitalizzate.

Valentina Vetturi, In the Corridor of Cyberspace, 2016 (libro d’artista, part.)

Uno dei punti di incontro di questi percorsi è stato l’autobiografia di Edward Snowden, Permanent Record, pubblicata da Mac Millan nella seconda metà del 2019.  Scrittore prima di tutto di codici informatici, Snowden ha lavorato come tecnico per la CIA, poi ha collaborato con un’azienda consulente della National Security Agency e quindi è diventato un noto whistleblower e attivista per aver rivelato, nel giugno 2013, attraverso la collaborazione con alcuni giornalisti, “documenti segreti su programmi di intelligence di sorveglianza di massa del governo statunitense e britannico, tra cui un programma di intercettazione telefonica tra stati uniti e unione europea riguardante i metadati delle comunicazioni e i programmi di sorveglianza Internet”. [2] Con Permanent Record Edward Snowden impara a scrivere parole per raccontare la sua vita e la sua scelta di whistleblower.

Frame video dal documentario Citizenfour di Laura Poitras, 2014

In musica ogni singola nota ha un suo tempo di vita. Ogni nota finisce, si dissolve nel silenzio o lascia spazio alla nota successiva.[3] Se ogni singola azione, battitura di tasto, click, messaggio, email fatto online nel corso di una esistenza fosse una nota, potremmo pensare a una vita come una composizione di note. Permanent Record di Edward Snowden ci porta in un lungo viaggio autobiografico per svelarci, più e più volte e con estrema chiarezza, che ognuna delle singole note che compongono la nostra vita privata è registrata e catalogata in modo permanente da sistemi di sorveglianza di governi e aziende private. I primi rendono così i cittadini soggetti alla mercé del potere dello stato, i secondi trasformano il consumatore e i suoi dati in un prodotto che un’azienda vende a un’altra azienda, che vende a un’altra azienda, e così via creando un’economia della predizione.

Ogni singola nota che compone la nostra vita ha un tempo di vita infinito in questa epoca dove la memoria digitale appare totale. Noi non ci saremo più, ma il nostro privatissimo permanent record ci sopravvivrà e suonerà a piacimento di chi possiede la nostra “composizione”.

Un registro permanente di tutto, anche ciò che non avremmo mai voluto condividere con nessuno, neanche con noi stessi. Quante volte capita di “dimenticarsi” di aver compiuto quell’azione, di aver detto una frase, un freudiano lapsus, perché l’inconscio ha rimosso, perché scegliamo più o meno volontariamente di omettere dai nostri ricordi, quelle azioni, parole, gesti che sentiamo non più rispondenti alla nostra immagine, alla nostra identità di quel momento? Beh questo non è più possibile.

Ogni singola nota della nostra vita ora può suonare all’infinito. Nessuna selezione o composizione con le note migliori, più accattivanti, più seducenti, nessuna pausa. Nessun potere di selezionare cosa e come divulgare di noi stessi, come si fa in un’autobiografia.

 Il tasto delete mette in scena una finzione.

Mi vengono in mente due opere di Eva e Franco Mattes,: Life Sharing[4]  in cui per tre anni, dal 2001 al 2003,  gli autori hanno reso accessibile e scaricabile in tempo reale tutti i contenuti del loro computer di casa al pubblico, email, file, dettagli bancari. E il più recente saggio video My Little Big Data[5] in cui gli artisti consegnano volontariamente tutti i loro metadata[6] ad un investigatore privato invitandolo a ricostruire la loro vita nel dettaglio. Da quelle informazioni deriva un ritratto “scientifico” della vita di Eva e Franco Mattes, ricco di grafici, analisi numeriche, schemi che comunque non offuscano la sensazione di voyeurismo dello spettatore.  Che a Eva e Franco, e anche a noi, piaccia esser guardati ?  Che le nostre piccole e normali vite quotidiane possano diventar importanti se rese permanenti ? Ogni autobiografia è un atto di voyeurismo, ogni autobiografia è frutto di un’esigente e razionale valutazione di quali contenuti, quali modi usare per offrire una selezione d’informazioni della vita privata di un individuo allo sguardo, anche imbarazzato, del lettore.

Screenshot tratto dal video-essay My Little Big Data di Eva e Franco Mattes, 2019

Per chi vive in Europa la consapevolezza della necessità di una privacy online può sembrare già acquisita da quando, con l’introduzione del GDPR,[7] il regolamento della Unione Europea che riguarda il trattamento dei dati personali e della privacy, siamo “costretti” ad accettare o scegliere tra le opzioni delle finestre che si aprono ogni volta che visitiamo un sito web. Tuttavia leggendo il registro permanente e rigorosamente selezionato della vita di Edward Snowden si capisce quanto questa coscienza sia parziale, quasi che conoscessimo solo la punta di un iceberg. Ci sembra di sapere, ma l’iceberg è nascosto sott’acqua nella sua imponente maestosità. E le dimensioni di questo iceberg che Snowden chiama “registro permanente” sono sbalorditive.

Sono in contatto con persone che usano e lavorano con la criptografia da quando nel 2015 ho messo piede per la prima volta in un hacker space. Da allora sono stata più volte messa in guardia sui temi della privacy e della sicurezza on line. E spesso mi sono sentita letteralmente “nuda”. È successo ogni volta che ho navigato, troppo spesso, senza cautela. Tuttavia, da quando ho letto questo libro, mi sembra di essere stata intorno alla punta dell’iceberg senza mai guardare in basso. E ora che ho rivolto lo sguardo verso le basi di questa montagna ghiacciata, sono colta da tali vertigini da voler ritornare sulla terra ferma al più presto con l’obiettivo di mettere la mia testa e il mio sguardo al riparo da quelle profondità dettagliate. Al riparo, possibilmente in un luogo confortevole. Magari sotto la sabbia come si dice facciano gli struzzi al momento del pericolo. (Anche se non è vero).

Queste righe dedicate al libro di Snowden sono dunque un esercizio e un esorcismo per non mettere la testa sotto la sabbia, convinta che condividendo i pensieri riuscirò a guadare quella montagna permanente senza esserne terrorizzata.

L’autobiografia di Snowden si può leggere attraverso filtri differenti. Il primo, a mio parere, coincide con la motivazione principale che ha mosso l’autore a scrivere questo libro, e ti porta alla scoperta di come abbia preso la sua decisione. Edward figlio di militari, patriota statunitense appassionato, vuole difendere la sua scelta e inscriverla tra le gesta di chi ha scolpito la storia, positiva, del suo Paese. Scrive per spiegare a chi gli è caro e al mondo il perché della sua scelta dopo che in tanti hanno formulato ipotesi e supposizioni. Poi sarà il tempo della Storia a confermare o confutare il suo racconto.  Intanto ora, leggendo il suo libro, è evidente come ogni episodio e dettaglio narrato sia necessario per giustificare la scelta futura secondo la logica razionale che sta alla base del funzionamento dei computer: ad un determinato input corrisponde un preciso output, o come direbbero in altri ambiti, Snowden costruisce il suo libro seguendo il principio di causa-effetto, per cui come in un puzzle, una serie ordinata di azioni non possono che condurre alla visione dell’immagine completa e preordinata.

Snowden crea la sua mitologia, accompagnandoci in un percorso che va dalle sue letture della mitologia greca al collegamento ai padri pellegrini, dunque al mito fondante dell’ America.

Il libro di Snowden è anche un romanzo di formazione. È la storia della rapida ascesa di un IT guy nel mondo dello spionaggio, la storia a tratti anche faticosa e dolorosa di un uomo che cerca se stesso a partire da quel compito in classe in cui gli veniva chiesto: parla di te stesso. Compito che lo aveva disorientato, nonostante fosse l’intelligentissimo, affascinato dai meccanismi, che si sentiva fuori dalle regole della scuola.

Permanent Record è anche un libro che fa riflettere sul sistema educativo che per lo più nel mondo occidentale è in atto, basato sull’idea che gli studenti siano un vuoto da riempire di informazioni e nozioni.  Snowden ci spiega cosa sia una hack: una modalità per demistificare le regole. Per hackerare un sistema informatico o di qualsiasi tipo devi conoscere le regole su cui si basa meglio di chi le ha formulate e individuare quei punti che ti potranno permettono di usarle in modo diverso da ciò per cui sono pensate e programmate[8]. Nel nostro esempio ipotizziamo di poter comporre con le tessere del puzzle un’immagine diversa da quella pensata dal suo ideatore. Per Snowden hackerare è uno dei modi sani attraverso cui i bambini possono imparare a dialogare con gli adulti da pari. Attraverso la sua autobiografia possiamo leggere tutta la sua vita come una lunga serie di hacks.  Un libro su come imparare, anche questa una disposizione d’animo.

Nel viaggio che ho intrapreso da un quinquennio per rispondere alla domanda “chi sono gli hacker “ mi sono dedicata allo studio delle tecnologie del web e alla osservazione della digitalizzazione delle nostre vite: ho così scoperto l’urgenza di parlare della nostra identità digitale, una identità parallela a quella fisica e altrettanto reale, una identità non ancora emersa in modo consapevole al nostro sguardo o alle agende dei legislatori del mondo. E ora nel tempo del VIRUS e della vita digitale coatta i temi connessi alla nostra identità digitale stanno emergendo stringenti e alcune parole rimbombano sui nostri schermi: privacy, memoria, controllo.

Valentina Vetturi I Never Think of The Future. It Comes Soon Enough, 2018 (frame video)

Cos’è il controllo ? Mi viene in mente il libro cui sta lavorando Armando Perna, fotografo documentarista. Il suo libro è il frutto di una ricerca fatta a Dahiye, un quartiere di Beirut governato da Hezbollah che è letteralmente fuori dalle mappe. Perna, per alcuni anni, senza permessi né autorizzazioni, è stato in quei luoghi non mappati e di nascosto li ha ripresi. Con la sua ricerca mette sotto scacco il controllo che Hezbollah ha di quella porzione di città, sottratta persino alla vista di google maps, e allo stesso tempo mappandola poeticamente la controlla e la offre al controllo di noi che la guardiamo. Probabilmente le fotografie di Armando Perna, condivise via email, salvate su dispositivi connessi, già sono diventate parte del registro permanente.

Armando Perna, Dahye. The Southern suburbs of Beirut (2013-ongoing)

E ancora, cos’è il controllo ? Snowden descrive la sorveglianza di massa cui tutti siamo sottoposti come un never-ending census: tutti i nostri dispositivi, telefoni, computer sono come addetti al censimento che portiamo sempre con noi e che ricordano tutto e non perdonano niente. “the ear that always hears, the eye that always sees, a memory that is sleepless and permanent[9]

La sorveglianza di massa odierna ci fa notare Snowden si basa sulla combinazione di “ubiquità della raccolta” e “permanenza dell’archiviazione”[10].  Violando principi costituzionali e diritti universali dell’uomo oggi molti governi potrebbero decidere di selezionare una persona e cercare nel suo permanent record prove per un possibile crimine senza aver prima ottenuto un permesso da un tribunale, senza passare attraverso i meccanismi della giustizia che sono anche i meccanismi che tutelano i cittadini da ogni abuso di potere da parte di chi è al governo. Perché, come ci ricorda l’autore, il governo è a servizio dei suoi cittadini e non il contrario.

Snowden ci svela che il controllo che la Cina esercita pubblicamente sui suoi cittadini è praticato segretamente dall’America. E per svelarlo Snowden rende pubblico il nome di ogni singolo programma usato dal suo paese per creare il permanent record dei suoi cittadini, e allo stesso tempo ci racconta dei software che ha creato o utilizzato per condividere all’esterno le informazioni cui ha avuto accesso e denunciare lo stato di sorveglianza cui, secondo lui, tutti siamo sottoposti. E’ così che navigando il libro potremmo aver voglia di creare un glossario di termini come FOXACID, EGOISTICALGIRAFE e delle loro funzioni, così come esemplificate dal nostro autore.  Spiegazione necessaria perché “the point of a code name is that it is not supposed to refer to what the program does[11]  

Un nodo cruciale del nostro tempo è la differenza tra virtual and actual, virtuale e reale. Snowden, nella sua autobiografia, crea un distinguo nelle fasi dell’internet. La prima, quella delle origini, quella delle interfacce blu e scarne, quella apparentemente non dedita all’intrattenimento, permetteva la distinzione netta tra la vita online e la vita offline-fisica, che non si erano ancora unite. Ogni individuo poteva decidere dove far finire il virtuale e dover far iniziare il reale. Oggi questa distinzione è saltata. Il web è passato, in un primo momento, dall’essere il mondo in cui rifugiarsi a essere il mondo da cui fuggire, come sintetizzava lo scrittore e curatore Gene Mc Hugh nel suo blog “Post-Internet” nel 2010[12].  Fino a essere oggi il mondo da cui non si può fuggire. La vita odierna online è un’estensione di quella offline e viceversa, e noi non abbiamo più controllo di questo confine, neanche per ciò riguarda le nostre più private informazioni.

Il racconto di Snowden è anche la nostra storia, la storia delle generazioni che stanno vivendo l’avvento di internet. Un passaggio epocale paragonabile a quello cominciato nella metà del Quattrocento con l’invenzione della stampa, sebbene il cambiamento odierno proceda a passi molto più rapidi[13].

Chi scrive di Snowden è una persona nata pre-internet, nel 1979 per la precisione. Lo specifico perché credo che essere nati in quegli anni e aver vissuto la fine dell’era solo analogica e l’avvento di internet fornisca un particolare punto dì vista sul tema della “digitalizzazione delle nostre vite”. Un punto di vista che allo stesso tempo è privo di distanza storica e appartiene a chi, come molti, incarna questo passaggio. Altra precisazione: nel tempo in cui Snowden, come molti altri, navigava con molti pseudonimi nell’internet delle origini, quello privo dei cd GAFAS,[14] io, a malincuore scrivo ora, non me ne interessavo. La mia curiosità è sorta molto tardi, già sette anni dopo l’invenzione di Satoshi Nakamoto e sei anni dopo il momento in cui un programmatore aveva comprato due pizze con dei bitcoin[15], quando internet era già diventato terra di oligopoli e di un sistema di sorveglianza mondiale di cui tutti siamo vittime e attori.

Il libro di Snowden spiega l’importanza dell’utilizzo della criptografia, strumento che tutti con un impegno minimo possiamo usare per navigare in modo sicuro e non contribuire alla creazione del nostro panottico, per non contribuire ulteriormente al capitalismo della sorveglianza descritto da Soshana Zuboff[16]. Leggendo Permanent Record possiamo imparare cosa sia un cryptoparty[17] se non ci è ancora capitato di frequentarne uno, e cosa sia Tor[18], e così imparare a navigare in modo sicuro. È un libro che ci fa riflettere sulla relazione con la tecnologia. Possiamo raggiungere vette tecnologiche, tuttavia è necessario capire chi le usa, perché, con quali limiti. È un invito rispettare la tecnologia e le responsabilità che essa comporta.

Permanent Record, mentre ci racconta di una vita e delle tecnologie del web, ci fa anche riflettere su cosa sia la memoria oggi, nel 2020, e su quanto siano interconnesse le capacità di ricordare e dimenticare per gli esseri viventi così come per l’intelligenza artificiale.

A febbraio, quando i teatri erano ancora aperti, ho visto lo spettacolo By Heart di Tiago Rodriguez. Learning by heart, come ci ricorda l’autore-attore, vuole dire imparare a  memoria. Una pratica che oggi è sempre più desueta e delegata ai dispositivi connessi che rendono tanto più semplice le nostre vite, smartphones, computer, tablet. Tiago invita un gruppo di dieci persone auto candidatesi tra gli spettatori a imparare a memoria (by heart) il sonetto n 30 di Shakespeare[19] che parla di quella sensazione che chi ha superato una certa età ha quando riguarda alla sua vita, ai dolori, alle gioie, alle occasioni mancate, quando guarda al registro impermanente delle sue memorie e poi trova conforto nel ricordo di un amore o di una amicizia che fa svanire tutte le pene.

Tiago Rodrigues, By Heart (ph Magda Bizarro)

In un momento storico in cui il numero delle persone ammalate di Alzheimer è molto alto, la memoria storica delle nostre società è breve e in parallelo la memoria della tecnologia è perfetta, troppo spesso totale, in un momento in cui in virus ci sta costringendo a ripensare categorie date per scontato, in questo momento mi auguro che nel prossimo futuro, già domani, ognuno di noi possa imparare by heart almeno un verso di un sonetto, di un libro, di una canzone al giorno e che invece i nostri permanent record digitali possano iniziare a soffrire, almeno un po’, di dimenticanza, o anche tanta.

E, nell’attesa, che un cryptoparty inizi.

(Ringrazio Caterina Riva e Alan Bogana per i loro commenti e riscontri sulle prime bozze di questo testo.)


[1] Tails- amnetic incognito live system- è un sistema operativo  basato su Linux che garantisce privacy e anonimato a chiunque lo installi sul suo computer attraverso l’uso della memoria a breve termine della macchina. 

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Edward_Snowden

[3] Daniel Barenboim, La musica sveglia il tempo, 2007, Feltrinelli, p.14.

[4] https://anthology.rhizome.org/life-sharing

[5]https://0100101110101101.org/my-little-big-data/

[6] I metadata sono dati che danno informazioni su altri dati. I metadati sono pertanto dei marcatori, una sorta di post-it, collegati a un oggetto informatico (immagine, documento, pagina web, brano musicale ecc.), o a una serie di oggetti informatici; e hanno lo scopo di descriverne il contenuto e/o gli attributi.

[7] GDPR, UE n. 2016/679 è un regolamento dell’Unione europea in materia di trattamento dei dati personali e di privacy, adottato il 27 aprile 2016 e poi diventato operativo a partire dal 25 maggio 2018. Con questo regolamento, la Commissione europea si propone come obiettivo quello di rafforzare la protezione dei dati personali di cittadini dell’Unione europea e dei residenti nell’Unione europea, sia all’interno che all’esterno dei confini dell’Unione europea (UE), restituendo ai cittadini il controllo dei propri dati personali.

[8] Snowden, Permanent Record, 2019, Panmacmillan , p 53.

[9] Snowden, Permanent Record, 2019, cit., p.185

[10] “Once ubiquity of collection was combined with the permanency of storage, all any government had to do was select a person or a group to scapegoat and go searching – as I’d go searching through the agency files- for evidence of a suitable crime.”  Snowden, Permanent Record, 2019, cit, p.185.

[11] Snowden, Permanent Record, 2019, cit p.168

[12] https://122909a.com.rhizome.org/

[13]In the Corridor of Cyberspace: talk with Alexis Roussel”, 28 luglio 2016, Strauhof, Zurigo, https://strauhof.ch/veranstaltungen-archiv/

[14] GAFA acronimo composto dalle iniziali di: google, amazon, facebook, apple.

[15] Bitcoin è un bene digitale e un sistema di transazioni decentralizzato, da molti considerato alla stregua di denaro ditale, introdotto nella realtà nel 2008 da un gruppo di persone riunite sotto lo pseudonimo Satoshi Nakamoto. Il 22 maggio 2009 la prima transazione reale in bitcoin ha luogo: Laszlo Hanyecz  un programmatore di Jacksonville, in Florida, paga diecimila bitcoin per due pizze.

[16] Shoshana Zuboff, The Age of Surveillance Capitalism, 2019, PublicAffairs

[17] Un cryptoparty in questo contesto è inteso come un evento pubblico e gratuito in cui apprendere i fondamenti per l’utilizzo della criptografia. Cryptoparty, più in generale, è il nome di un movimento dal basso e globale che mira a diffondere l’utilizzo della criptografia al pubblico generalista attraverso workshop aperti e gratuiti.

[18]  Tor è un software libero che garantisce la navigazione anonima e la privacy in internet. https://www.torproject.org/

[19] William Shakespeare, SONNET 30, 1595-1600 ca.. https://it.wikipedia.org/wiki/Sonnet_30

(Reggio Calabria, 1979) lavora con performance, suono e testo in una dimensione scultorea espansa. Il risultato spazia da una scena teatrale all'attività quotidiana di scrivere su un treno pendolare, da una composizione sonora a una sinfonia parlata, da una pubblicazione a una scultura ambientale. All'origine delle sue opere, ci sono processi di ricerca estesi, di natura performativa, esperienze immersive in mondi che sono eterogenei come i suoi studi: una laurea in legge, un Master sulle relazioni tra paesaggio arte e architettura e un Master of Science in Digital Currencies (2019). Valentina è interessata a pratiche decentralizzate nel web e nell’arte. Collabora strettamente con i suoi performer (danzatori, giocatori di scacchi, cantanti di coro, direttori di orchestra, ingegneri del suono, hacker) con cui costruisce opere, "improvvisazione guidate", che rispondono allo spazio e al pubblico. Il lavoro suo è stato prodotto ed esposto da istituzioni pubbliche e private in Italia, come Fondazione Zegna, MAXXI, MACRO, Quadriennale 16, e all’estero come Kunsthalle di Göppingen; Noorlandsoperan a Umeå; Strauhof a Zurigo, Tranzit.ro a Bucarest. Valentina è parte di Collection Collective.

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