Né topo né uccello

Nel 2009 ho fatto una mostra a Cuba, al CDAV, Centro de Desarrollo de las Arte Visuales de la Habana, dal titolo Observatorio, dedicata a Galileo Galilei. (Sono sempre stato attratto dall’intimo ma non sempre compreso rapporto tra arte e scienza, in quanto entrambi basati su processi immaginativi simili, ma con la differenza che la prima non deve dimostrare niente, la seconda non esisterebbe senza una valida dimostrazione.) Successivamente ho dedicato delle mostre ad altri due personaggi italiani (Leopardi, M’è verde il naufragare in questo mare, Todi 2018; e Pasolini, Éter, Matera 2020)

Nella mostra dedicata a Galileo (era il 400° anniversario della creazione del suo telescopio) c’erano una serie di dipinti di grandi dimensioni e due istallazioni. L’idea di queste ultime era nata – in modo tutt’altro che scientifico – chiacchierando con uno sconosciuto sul lungomare alla sera, qualche mese prima della mostra, quando avevo fatto il sopralluogo del palazzo e riflettevo sui lavori.

Il lungomare de La Habana è il luogo dove nelle serate di calura estiva si riversano in tanti per stare un po’ al fresco, bere, pescare e chiacchierare, tante famiglie, giovani adolescenti e tutta una fauna notturna di squattrinati che non possono andare in luoghi a pagamento, e che come ospiti di un immenso locale sotto le stelle a ingresso gratuito si istallano (si sdraiano, si siedono, si baciano, si cantano) sul muro che separa il mare dalla città e che chiamano «il divano», il più lungo al mondo (8 km). 

Con l’avanzare delle ore, il divano cosi come si riempie si svuota, si ritirano per primo le mamme coi bambini portati a prendere il fresco, poi le coppiette che vogliono passare al sodo, poi i pescatori e finalmente restano i solitari della notte, i filosofanti che nell’assenza di corpi umani si sdraiano a contemplare i corpi celesti. A quel punto il divano da duro cemento armato è già passato a schiumosa e morbida chaise longue dove si attaccano i discorsi sulla storia, il senso del mondo, l’universo, il vivere e il non vivere e giù lacrime al rum. A una certa anche questi tiratardi iniziano a strisciare progressivamente verso le loro tane, appena prima dello spuntare del primo raggio di luce non c’è più nessuno. Devono essere nel letto prima che le loro mogli si sveglino affamate, imbestialite, spettinate e con in mano il pugnale di legno, sicché il vampiro notturno rischia di restare trafitto e impalato alla porta d’ingresso.

Il mio ricordo del lungomare è quello di un luogo di una grande sacralità, vivace, come lo erano i luoghi di culto nell’antichità. Un enorme, anzi, un lungo tempio laico, che non solo separa il mare dalla terra ferma, il secco dal bagnato, il caldo dal fresco. Ma è il costrutto muto che delimita tutto l’edificio ideologico su cui si basa la lunga conflittualità tra comunismo e capitalismo in quell’emisfero. Almeno questa è la sensazione del cubano, che seduto sul divano a guardare il mare sente alle spalle la schiacciante presenza di un’isola tutta ideologica e senza vie di uscita, e davanti l’immenso e profondo blu oltre il quale si trova la libertà. Per scappare non puoi andare né indietro né avanti, ma in su, tra le stelle, in effetti tutti questi visitors del divano della notte, questi vampiri affezionati più all’alcol che al sangue, sono anche accaniti filosofi e astronomi.

Dalla chiacchierata di allora con quel mio incontro casuale sono nate due delle opere poi in mostra, L’ulcera di Galileo e Correzione universale della miopia. Quest’ultima era un grande dipinto (3 x 10 metri) di un cielo notturno pieno di occhi di tutte le dimensioni; nella mostra il grande dipinto era collocato con di fronte un pannello di uguali dimensioni di lettere dell’alfabeto, dalla più grande alla più piccola, come quelle che ti fanno guardare gli oculisti nei loro studi.

Cuba è fatta cosi, le persone vivono quotidianamente ossessionate dai loro piccoli e assillanti problemi quotidiani, ma – forse per un meccanismo di sopravvivenza – li minimizzano riflettendo e parlando sempre della grande strategia internazionale, dei grandi problemi del mondo, dell’essere e del nulla, il macro e il micro convivono a tutte le ore, dentro alla pentola dei fagioli come sull’autobus affollato che raggiunge i 70 gradi celsius in estate sotto il sole. Non è solo un problema di trasporto pubblico insufficiente ma è dovuto anche al riscaldamento globale, al buco nell’ozono. Se i fagioli non cuociono dopo dodici ore in pentola a pressione non è la scarsa qualità del fagiolo ma è l’embargo americano, e di conseguenza la guerra fredda e l’equilibrio politico planetario.

Può darsi che questo abbia anche segnato il mio modo di vivere sempre in questo giocoso turbamento dove anche un piccolo problema è una vicenda cosmica. Vivo quasi tutto l’anno in campagna, un mondo fatto di infiniti piccoli dettagli che compongono il grande enorme dettaglio che è il paesaggio. Qui anche spostare una pietra a volte è qualcosa che comporta una buona dose di riflessione, e alle volte diventa una decisione sofferta.

Qualche giorno fa però, seduto in cortile alla sera e guardando il cielo notturno, li vedevo agitati svolazzare e riflettevo su come un piccolo mammifero alato fosse riuscito a mettere sottosopra il mondo più sicuro, più scientifico, più tecnologico e più ricco mai esistito. Almeno, stando a quanto ci dicono le fonti.

A Cuba c’è un modo popolare un po’ cinico di definire i cubani emigrati. Siccome le leggi del governo non permettevano il ritorno in patria degli emigrati pentiti (puniti per sempre agli inferi), e anzi li privava dei diritti dei cittadini cubani, si diceva che la nostalgia dell’emigrato, questo mal di patria senza più cittadinanza, senza più casa né identità, senza possibilità di ritorno, fosse la sindrome del pipistrello, sospeso in una situazione non definita, né di là né di qua, né topo né uccello.

In copertina: Abel Herrero, Cromostasi n. 15, 2019 (olio su tela, cm 180 x 200)

(La Habana, Cuba, 1971) Nel 1994 si trasferisce in Italia. La sua produzione artistica spazia tra pittura, scultura, installazioni e fotografia. Negli ultimi anni ha dedicato speciale attenzione al concetto di Osservatorio e al rapporto uomo-contesto naturale. Da questa ricerca sono emersi i lavori sul paesaggio e più recentemente le “Saturazioni” e le “Cromostasi”. Ha partecipato fra l’altro a “Pagine di un bestiario fantastico”, Modena 2010; “Corpo Automi Robot”, Lugano 2010; 54a Biennale di Venezia, Padiglione Emilia Romagna 2011; “Pelle”, Triennale di Milano 2012; Biennale di Scultura di Carrara 2007 e 2013; XII Bienal de La Habana 2015. Fra le sue personali “Osservatorio” (omaggio a Galileo Galilei), La Habana 2009; “Removed”, nel centenario della rivoluzione russa, La Habana 2017; “M’è Verde il naufragare in questo mare” (omaggio a Giacomo Leopardi), Todi 2017; “Cromostasi”, Terni 2018; “Éter” (omaggio a Pier Paolo Pasolini), Matera 2019.

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