La Corona della “Stasis”

09/05/2020

Secondo la costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la salute è un dovere fondamentale di tutti gli Stati e un diritto fondamentale di tutti i cittadini. Questa la definisce in questo modo: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia o d’infermità”[1]. Questa definizione è classica. La salute riguarda il tutto e, quindi, essa è il Santo. I termini salute, guarigione, saluto e santo condividono una comune radice speculativa che si riferisce al tutto. Ma la domanda di fronte alla quale ci troviamo oggi è: cos’è il tutto? Ed in seguito, cos’è oggi non-Santo o non-sano[2]?

Prima di riflettere su tali interrogativi, ci sono alcuni fatti che dovrebbero essere esplorati. Per il momento possiamo solo citarne alcuni. Il bilancio militare dell’India è pari al 2,5 % del suo Prodotto Interno Lordo (PIL), cioè 65 miliardi di dollari. Quello degli Stati Uniti d’America è pari al 3,2 % del PIL, cioè 650 miliardi di dollari[3]. L’India spende 1,3 % del suo PIL per la sanità[4]. L’America spende 17,7 % del PIL per la sanità[5] e tuttavia decine di milioni di americani sono esclusi dal sistema sanitario. Nel confrontare tali cifre, dovremmo ricordare che la popolazione dell’America è di circa 330 milioni di persone, mentre in India vivono 1,3 miliardi di persone. L’Arabia Saudita spende l’8,8 % del PIL per l’esercito e 5,7 % per la sanità. Ora, se mettiamo da parte i bilanci nazionali e ci rivolgiamo al mondo, allora dobbiamo concludere che il mondo spende per uccidere delle persone almeno tanto quanto spende per la loro salute, se non di più.

Ciò è sicuramente malsano[6] perché, oggi più che mai, siamo un popolo del mondo che deve guardarsi e parlarsi attraverso schermi di macchine, dai confini delle proprie stanze. Siamo dolorosamente consapevoli che la maggior parte delle persone nel mondo non beneficia di tali stanze e dei lussi dell’isolamento. Siamo angosciati dalla comune sofferenza di questa corona del virus che si diffonde. Non apparteniamo più al tutto di un villaggio, o al tutto di un paese, o al tutto di qualsiasi altro idillio. Apparteniamo al tutto del mondo che si sviluppa attraverso la condivisione di sofferenze, di piaceri, di tecniche, d’idee e di arte.

La nostra metempsicosi attraverso le forme che assumiamo da una modalità di comunicazione all’altra espande le reti di comunicazione. Siamo ciò che è oscuro a noi stessi, tale da superare continuamente il sistema circolatorio tecnologico[7], in modo che esso possa espandersi. Ma soprattutto, oggi siamo un tutt’uno per il fatto che ciascuno è ovunque, e non è per mezzo di invasioni o guerre che ci troviamo in “terre straniere”. In linea di principio, non ci sono più terre straniere.

Un’epidemia diventa possibile solo quando c’è la comunione di persone coinvolte tra di loro in transazioni regolari, transazioni di ogni tipo: d’amore, di commercio e perfino di guerre. I micro-organismi costituiscono i loro “milieu” percorrono i cammini che creiamo tra di noi; la malaria si diffonde attraverso dei vettori e l’influenza si diffonde senza intermediari. Per tale motivo, Robinson Crusoe avrebbe potuto avere ferite o infezioni, ma non avrebbe potuto soffrire di una pandemia, perché non condivideva il suo mondo con altre persone.

Questa pandemia ci dice che oggi il tutto è il pan, ed è il pan che è malato. Ci dice che ci sono sempre meno barriere tra di noi. Il genetista della popolazione Luigi Luca Cavalli-Sforza dichiarò nel secolo scorso che l’uomo è arrivato al punto per cui non è [più][8] possibile alcuna ramificazione filogenetica perché siamo sempre insieme. Ovvero, non ci saranno più ramificazioni di questa specie Homo sapiens di fronte ai cambiamenti del nostro “milieu”. La speciazione, o adattamento, è qualcosa che dovremo intraprendere noi stessi, insieme, e siamo stati piuttosto abili in questo.

Ora, abbiamo osservato una serie di reazioni al tutto e alla pandemia di coronavirus. Alcuni affermano che si tratti di una punizione per l’uomo perché questi ha violato la natura, o che questa è la malattia dello stadio finale del capitalismo. Inoltre, ci sono coloro che dicono che gli sforzi del confinamento propagheranno il bio-potere o che violeranno le autonomie regionali all’interno dei singoli stati. Osserviamo inoltre che la distinzione tra le orientazioni di “sinistra” e di “destra” in politica è diventata oggi irrilevante; le dichiarazioni di Trump si riflettono in quelle degli attivisti di sinistra, gli intenti di Modi sono condivisi dei nazionalisti postcoloniali, ed in questa crisi le superstizioni (punizione divina) e le teorie cospirazioniste (“è solo un’influenza”) stanno aggregando una nuova sterile forza politica in tutto il mondo. Questa forza sterile sarà la materia che presto prenderà forma attraverso la crescente organizzazione tecnica del mondo.

Nascono desideri e richieste sia da parte della “destra” che della “sinistra” per un “ritorno” ad un idillio come la soluzione appropriata. La pandemia ha semplicemente messo in evidenza le maggiori crisi del mondo – economiche, politiche, ambientali, tecnologiche e psicologiche, per citarne alcune. Le tipologie attuali di appello al “ritorno” – alle radici etniche, alla natura, alla religione, allo sciamanesimo, alle belle cornici idilliache della campagna – sono iniziate tempo fa, per lo meno all’epoca in cui il termine “nostalgia” fu inventato, accompagnato dalla consapevolezza che la modernità fosse la distruzione di qualunque riferimento alla trascendenza (ed all’immanenza). Tali immagini d’idillio appartengono sempre a una persona o a più persone al di sotto delle quali molti altri hanno sofferto per sostenerli.  Per esempio, la vita contemplativa di un uomo di casta superiore circondato dalla natura nel subcontinente è stata resa possibile attraverso l’ordine di casta razzista. Il principio di questi appelli al “ritorno” può essere chiamato a priori idilliaco[9]

La salute di tutti e di ciascuno sulla terra è il benessere dell’insieme di tutti e di tutto. Ma cos’è la malattia? Quando c’è la malattia, si dice che ci sia sofferenza; cioè, che ci sia il male. Aristotele pensava il male attraverso il concetto di steresis o di privazione. La privazione di luce è oscurità e la steresis dell’oscurità è luce. Tuttavia, troviamo che non tutta la luce sia buona. Preferiamo l’oscuro, o un nascondiglio, per certe azioni, e quando queste vengono a mostrarsi nella luce, troviamo il male (per esempio, il “revenge porn”).  Aristotele aveva una concezione precisa di ciò che è il male – il male è la privazione di eccellenza. Quando qualcosa o qualcuno manca dell’eccellenza che gli è dovuta, questo è il male. Il problema del male in Aristotele è [reso][10] complicato dalla nozione della forma di qualcosa e dal concetto di eccellenza, che può condurci a una serie di norme fisse.

C’è un’altra concezione del male che può aiutarci a comprendere l’attuale malattia del tutto, quella della stasis. La stasis avviene quando il movimento di qualcosa è bloccato da qualcos’altro: per esempio, il flusso dell’acqua attraverso un canale, bloccato da un mattone. I Greci usavano la parola stasis per parlare di un problema in politica. Quando diversi gruppi si affrontano tra loro in una città per possedere il potere esclusivo di legiferare per tutti, c’è stasis. Nel nostro presente, i componenti di un assetto politico mondiale – le milizie, i capitalisti, i tecnocrati, gli etno-nazionalisti – sono tutti in competizione per diventare la legge unica, che possa racchiudere l’intero assetto politico. E così, abbiamo la stasis. Siamo nella stasis.

Esiste già un regime globale indeterminato che controlla il commercio, le tariffe, gli standard e i protocolli tecnologici. La pretesa univoca di sovranità nazionale è realizzata da organizzazioni politiche che sono etno-nazionaliste. Tuttavia, i pretendenti alla sovranità s’adoperano in vista di uno scopo peculiare: questi distraggono il popolo dall’occuparsi del benessere del tutto, inclusa la loro salute individuale. In tal modo, i popoli del mondo sono dispersi e costretti ad un isolamento sempre maggiore attraverso gli apparati teorici e pratici dell’etno-politica, della bio-politica, dei nazionalisti postcoloniali e dei regionalismi, mentre dei processi globali, che stanno mettendo in atto un nuovo sistema quasi-stato di portata mondiale, possono svilupparsi al di fuori della democrazia. Quindi, parlando propriamente, una democrazia mondiale è bloccata dall’entrare nel mondo.

Per pensare una via d’uscita da questa stasis dovremmo riuscire ad avere un significato di salute [più chiaro e][11] distinto, almeno provvisoriamente. La salute riguarda il tutto e, per noi, il tutto è ormai il mondo stesso. Nel modo di pensare aristotelico, esser sani implicava la possibilità di essere malati. Nel senso comune, comprendiamo per salute la proprietà di chi è senza malattia e, quindi, diciamo che “costui è uscito dalla malattia ed è di nuovo sano”. C’è qualcosa di sbagliato alla base di questa concezione della malattia. Essa presuppone una certa “natura”, nel caso dell’uomo come in quello di tutti gli esseri viventi, dalla quale qualcosa si allontana nella malattia e vi ritorna una volta guarito. Se una tale “natura” fosse intrattenuta nel pensiero, incontrerebbe non solo difficoltà logiche, ma implicherebbe anche la presenza di une certa forma rigida e fragile negli esseri viventi che li renderebbe incapaci di subire cambiamenti.

Questa concezione della salute sarebbe inoltre contraria alla comprensione biologica della natura. Darwin si era occupato del rapporto tra “milieu” esterno ed interno nelle forme viventi. Dobbiamo peraltro notare che non esiste in natura un “milieu” stabile. Il pensiero darwiniano presenta la natura come il reciproco adattamento delle forme interne e delle forme esterne, concorrendo a formare epoche osservabili, ma instabili. Ciò significa che la natura non è per nulla normale, salvo quando viene interpretata sulla base di un idilliaco a priori. Per tale motivo, non esiste alcuna forma del vivente [intesa][12] nel senso delle forme platoniche.

La salute, quindi, non è né l’assenza della malattia né un ritorno dalla malattia come per il guarito. La salute è il potere [presente][13] in qualcosa di scambiare una forma più vecchia con una forma più nuova; la salute è la libertà rispetto alle forme. Questo è facile da comprendere. Qualcuno in possesso di un impianto cocleare non è malato, ma ha acquisito un nuovo “milieu” d’esistenza di nuovo intero. Un bambino autistico non è malato; piuttosto, le forme rigide delle società non hanno la libertà di entrare nel “milieu” di questo bambino.

Oggi siamo il tutto, ed il tutto è malato. Questo è ciò che viene annunciato dalla pandemia. La particolare malattia del tutto che noi siamo è denotata dal male specifico della stasis. Le componenti che costituiscono il tutto che noi siamo – cioè le componenti del mondo intero – cercano di essere la legge stessa, che comprenda il tutto. Tali componenti sono i tecnocrati, i finanzieri, l’America e la Cina, i regionalisti, i nazionalisti postcoloniali… Una lotta tra le componenti per essere la legge che governa il tutto è la nostra stasis.

La stasis ha tracciato un ritratto negativo del tutto, del mondo intero, di come il tutto non dovrebbe apparire. Il coronamento della stasis è questa pandemia, ed il peggio della stasis deve ancora venire. Come l’abbiamo messo in luce prima, è questa stasis che impedisce alle persone di occuparsi del tutto – ci è permesso di soffrire insieme, ma non ci è permesso di trovare una soluzione insieme… La stasis ci trattiene, ci tiene occupati negli inutili atti finali delle sovranità nazionali e peggio ancora, come nelle nuove forme di politica razziale alle quali assistiamo oggi.

Solo una democrazia mondiale può ora superare questa stasis. L’ana-stasis è il potere di superare la stasis e, in questo senso, l’anastasis è salute.

Traduzione dall’inglese di Benedetta Todaro

In copertina: Dorothea Tanning, Door 84, 1984


[1] Vedere: https://www.who.int/governance/eb/who_constitution_en.pdf.

[2] NdT: al momento di tradurre “non-healthy” abbiamo a lungo esitato tra “malsano” ed “insano”. La scelta dell’uno o dell’altro termine necessiterebbe una riflessione filologica ed etimologica. Per ragioni di tempo, abbiamo quindi optato per il termine neutro di “non-sano”.

[3] Vedere: See Tian, Nan; Fleurant, Aude; Kuimova, Alexandra; Wezeman, Pieter D.; Wezeman, Siemon “TRENDS IN WORLD MILITARY EXPENDITURE, 2018”, Stockholm International Peace Research Institute, April 2019.

[4] Vedere: https://www.theguardian.com/world/2020/apr/01/india-coronavirus-cases-rise-amid-fears-true-figure-much-higher.

[5] Vedere: https://data.worldbank.org/indicator/SH.XPD.CHEX.GD.ZS.

[6] NdT: la dimensione etica delle osservazioni fatte dall’autore ci hanno spinti, in questo caso, ad usare il termine “malsano”.

[7] Questo sistema circolatorio nasconde ciò che viene dopo quello che ancora chiamiamo “capitalismo”.

[8] Aggiunto dal traduttore.

[9] NdT: In una conversazione con l’autore, questi ci ha indicato che attraverso il concetto di a priori idilliaco egli intende, da una parte, riprendere le implicazioni materialiste che Michel Foucault ha avuto il merito di attribuire al termine a priori (soprattutto facendolo accompagnare dal termine “historique”) e, d’altra parte, ampliare tale visione materialista dell’a priori indagando quelle iniziative, individuali o collettive, volte a controllare l’instaurarsi e lo svilupparsi di processi storici, che assumono così valore di a priori. In tal senso, egli intende analizzare quella tendenza, specificatamente contemporanea, a investire un mitico “ritorno all’a priori idilliaco” (una sorta di miracoloso “back to the origins”) come soluzione benefica o risolutiva per i drammi dell’assetto globale attuale. L’autore si impegna quindi a mostrare come l’a priori idilliaco è in realtà, inevitabilmente, toujours déjà contaminato, o determinato, da processi di sfruttamento che, per il fatto di essere considerati come a priori, ottengono uno statuto vigoroso: sono eletti al grado di “valori”. In quanto valori essi assumo dunque la possibilità di esser indiscutibili, cioè di poter non esser oggetto di critica. Tale visione, irrimediabilmente, dimentica di prendere in conto che l’a priori è, sempre, a priori d’un a posteriori: come pensare quindi di poter sfuggire ad un tale a posteriori per mezzo di una ri-valutazione (necessariamente a posteriori) di quello stesso a priori che fu, lui stesso, condizione d’esistenza dell’a posteriori? Consulta il “Our Mysterious Being” https://thephilosophicalsalon.com/our-mysterious-being/

[10] Aggiunto dal traduttore.

[11] Aggiunto dal traduttore.

[12] Aggiunto dal traduttore.

[13] Aggiunto dal traduttore.

Shaj Mohan

Filosofo, vive nel subcontinente indiano. Si occupa di metafisica, filosofia della tecnologia, ragione, politica e verità. I suoi scritti politici sono apparsi su “Le Monde”, “Libération”, “La Croix”, “Mediapart” e “The Wire”. E’ co-autore, con Divya Dwivedi, di “Gandhi and Philosophy: On Theological Anti-Politics” (2019).

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