Nuove note su ritratto e appartenenza

Dalla nuova edizione di Facing the Camera di Marco Delogu, uscito una prima volta presso Quodlibet nel 2018 e di prossima pubblicazione, si propongono qui la premessa dell’autore, una sua scelta di immagini, e il testo di Andrea Cortellessa.

Ho iniziato con i ritratti delle statue romane, nel 1988 all’alba nei musei capitolini, prima dell’entrata del pubblico, dove illuminavo quei volti e mettevo dietro di loro un fondo nero per decontestualizzarli, e li fotografavo con la polaroid 20 x 25cm, confrontando subito dopo l’uscita della stampa istantanea che non ci fosse differenza tra la dimensione dell’originale e quella della sua riproduzione. Andavo a scuola lì vicino, erano musei che avevo visto spesso, giocavo sull’autobus che mi riportava a casa, a capire quale passeggero, ma anche bigliettaio o autista, assomigliasse a Salonina, Cicerone, Traiano Decio, Alessandro Severo o Caracalla. Molti anni dopo ebbi la fortuna di poter stare da solo per lunghe ore davanti ad Antonello da Messina. Osservando le sculture attraverso il vetro smerigliato del banco ottico vedevo quei ritratti capovolti e con destra e sinistra invertite, sotto il panno nero della mia macchina, cercavo la forza dei loro sguardi.

Alla fine degli anni Novanta, al ritorno dalla residenza all’IRCAM per fotografare oltre 50 compositori, da Boulez e Xenakis, iniziai tre lavori contemporaneamente: fantini del Palio, cardinali e carcerati.  

Il ritratto mi faceva entrare in contatto con più parti di me. Ho iniziato da presto a teorizzare che la posa era il superamento di una naturalezza “intrusiva” che non mi aveva mai affascinato – l’idea di tormentare una persona fotografandola per ore in cerca dell’estrema naturalezza mi annoiava e mi dava la netta sensazione di disturbare anche la persona più narcisista del mondo. Iniziai presto a capire che volevo osservare la persona ritratta e poi, attraverso la posa, riportarla a un’immagine che avevo archiviato nella mia mente, e fotografarla.

Legno e Massimino li ho spesso esposti insieme, mi piacciono così dritti, puro sguardo. Legno perse un palio in pratica già vinto, sbattendo contro un’asta di un microfono che un operatore giapponese mise in pista e, a pochi secondi dal traguardo, si spezzò un braccio, cadde e il suo cavallo venne sorpassato dall’eterna rivale.

Il cardinal Dezza lo fotografai nel letto dell’ospedale dell’ordine dei Gesuiti al Vaticano. Mi raccontò la storia di padre Gumpel, figlio di un aristocratico attentatore di Hitler, rifugiatosi nella nunziatura a Berlino, che raggiunse Roma con il futuro papa PioXII di cui ora è postulatore per la causa di beatificazione. Il cardinal Dezza dopo la fotografia mi chiese se avessi impegni per la prossima settimana e io accennai a una mia disponibilità di tempo, così venni personalmente invitato al suo funerale, che effettivamente si tenne dopo meno di due settimane a San Pietro, celebrato da Wojtyla, studente di metafisica di Dezza alla Gregoriana. Da Wojtyla, Paolo Dezza venne nominato cardinale a novant’anni, non poté mai esercitare il diritto di voto nel conclave. Corradino Bafile all’epoca del mio lavoro era il cardinal decano, cioè il più anziano tra i principi della chiesa. Era malato, e mi chiese nel 1998 di dirgli chi era succeduto a Wojtyla. Io risposi che Giovanni Paolo II era ancora in carica, seppur malato, ma lui pensò che gli stessi negando qualcosa e insistette nella domanda. Il tutto avvenne in un appartamento all’angolo tra piazza San Pietro e via della Conciliazione, dove Bafile viveva e da dal cui terrazzo poteva assistere alle messe celebrate dal pontefice.

Nazzareno Zambotti era un recidivo che sommò quasi trent’anni di galera per accumulo di piccoli reati. Mitomane, probabilmente avrebbe voluto essere un grande della malavita. Mi diede un manoscritto che feci pervenire a Severino Cesari che lo pubblicò in «Stile libero» (Perché non sono diventato un serial killer. Autobiografia di un uomo solo, Einaudi 2003). Anni dopo lo incontrai in un treno locale e lo salutai, ma lui mi rispose: stai alla larga so carico de robba e se arriva la polizia ce carica a tutti e due!

Quando entrai a Rebibbia per il mio lavoro, non avevo nessuna intenzione di incontrare Brigida, Concutelli e Fioravanti. I due neofascisti non riuscii a evitarli. Un giorno Pannizzari, prima linea di Torino, mi portò da Concutelli e gli disse: Delogu sta con me a pranzo; Piggi cucina spaghetti per tre! Concutelli ubbidì e così mangiammo insieme. Era un vecchio patto stipulato all’Asinara nel ’79 quando Tuti e Concutelli vennero salvati dalla lapidazione, altrimenti si sarebbe parlato più della loro morte che della rivolta e delle condizioni carcerarie; in cambio promisero di cucinare per sempre per rivoltosi e amici. Con Concutelli venni anche chiuso nell’aula computer del reparto G8 durante una mini rivolta. Aveva una voce bassa, io claustrofobico dovetti respirare a lungo per evitare il panico di una stanza chiusa e per di più da dividere con un pluriomicida delle carceri. Mi chiese di Eugenio Occorsio e mi supplicò di chiedergli di ritirare la denuncia per evitare un cumulo di pene, teorizzando che lui aveva ucciso Vittorio Occorsio come alto membro dello Stato ma non come uomo. Risposi, non so chi mi diede la forza, che non avrei mai parlato a Eugenio di ciò e che ero completamente dalla parte della famiglia Occorsio.

Domenico Melis lo vidi da lontano in Maremma. Campo grande, molte pecore, tre cani. Tornava verso l’ovile per la mungitura del tramonto. Montai la mia macchina, feci un’inqudratura di “previsione” e quando arrivò nei paraggi mi concesse dieci secondi per una sola fotografia, doveva seguire il gregge, contarlo e mungerlo. Caterina Scaggion arrivò in Pianura pontina da bambina. Mi raccontò che nella famosa campagna del grano venne presa in braccio dal duce. Era molto bella anche quando feci la fotografia. Dietro di lei c’è una pertica, attrezzo con cui si dividevano le proprietà mettendo le staccionate. Lei era alta, gentilissima e fiera, aveva passato tutta la sua vita in quel podere ma aveva moltissime cose da raccontare.

Senada la conobbi perché era la moglie di Davide, che fotografai per il mio libro Fuori Tutti, primo volume di «Stile libero» dedicato a una generazione in camera loro, e lo zingaro, in roulotte, non poteva mancare. Andai a ritrovare Davide, giornata di sole forte, mi venne a prendere fuori dal campo. Io camminavo da solo con la grande macchina con cavalletto in spalla e il secchio per il fissaggio nell’altra mano. A cento metri c’era la baracca di Davide, controluce non vedevo molto, ma arrivato a pochi metri dal buio apparve Senada che allattava Jonata. Vera apparizione!

Tutto è nato a Londra nel 2018, dove ho pensato che una riflessione sul ritratto fotografico in Italia dovesse essere fatta. Ho visto molti lavori di ritratti, scartavo quasi immediatamente quelli che riguardavano persone famose, spesso filtrati dal controllo della loro immagine. Anche i lavori “confezionati e commissionati” mi interessavano poco. Cercavo serie di ritratti che partissero da esperienze personali, dove la storia del fotografo, la sua identità e appartenenza si sentissero.

Ripercorrendo le serie di questo progetto si vede come siano realizzate in territori motherland dei fotografi  (la Sicilia di Giaccone, La Spezia per Benassi, la Romagna di Guidi, Nostri e Neri)e comel’appartenenza sia una caratteristica fondamentale di queste serie, l’appartenenza a un gruppo, a un luogo, a un periodo storico, a narrazioni molto vicine; gli “autoritratti” di Antonia Mulas sono esattamente questo, così come quando suo marito Ugo fotografa Gastone Novelli poco prima della protesta contro la Biennale fascista, Luigi Di Sarro fotografa sua madre nello specchio e indaga su se stesso tramite l’autoritratto, o Moira Ricci nelle sue incursioni nelle fotografie di sua madre.

Ora dopo quattro edizioni di Facing the Camera – New York, Londra, Toronto e Parigi – tutte leggermente diverse tra loro, proviamo a rifare il punto sulla tradizione del ritratto fotografico in Italia, e in questo caso della tradizione di un forte “faccia a faccia”, in continuità con il ritratto classico. Citando il testo di Francesco Zanot possiamo affermare che: «la fotografia innesca un’esperienza di confronto. Un faccia a faccia. Siamo costantemente ingaggiati in un rapporto di dialogo e partecipazione. Un ritratto ci cambia tanto quanto noi possiamo cambiare lui, modificando nel tempo dell’osservazione la percezione che abbiamo del soggetto. Quella che vediamo non è una storia. Non è la storia. È la nostra storia».

Nella sua lecture al The Photo Solstice 2019 Giorgio Agamben parlò della «speciale relazione col gesto», che «distingue la fotografia dalla pittura. La pittura, ad esempio un ritratto, rappresenta un uomo sub specie æternitatis. La fotografia invece rappresenta l’uomo sub specie caducitatis. Anche Fayyum: questo sono io, in eterno. La foto: così sono, così passo in un lampo (sono passato) e trascorro nell’esistenza. Si può dire che la pittura rappresenta un’essenza, la foto un gesto».

Con questa nuova edizione ampiamente rivista del libro, e a partire da una serie di contributi (Agamben, Cortellessa, Trevi e Zanot) vorremmo che la ricerca sul ritratto in Italia assuma carattere continuativo. Sicuramente una serie di lavori, avendo una piattaforma fluida dove arrivare, usciranno fuori, molte volte riusciranno fuori. Li aspettiamo.

In copertina:
Salonina, Sala degli imperatori, Musei capitolini, Roma, 1989
polaroid, 20x25cm
e
Annunciata, Studio su Antonello da Messina, Scuderie del Quirinale,
Roma, 2006
polaroid 55, stampa ai sali d’argento, 40x50cm

A seguire:
Sebastiano Deledda detto Legno, Siena, 1998
polaroid 55, stampa ai sali d’argento 40x50cm
e
Massimo Coghe detto Massimino, Siena, 1998
polaroid 55, stampa ai sali d’argento, 40x50cm

Cardinale Corrado Bafile, Roma, 1999
polaroid 55, stampa ai sali d’argento 40x50cm
e
Cardinale Paolo Dezza, Roma 1999
polaroid 55, stampa ai sali d’argento, 40x50cm

Nazzareno Zambotti, carcere di Rebibbia, Roma, 1997
polaroid 55, stampa ai sali d’argento, 22x28cm
e
Pierluigi Concutelli, carcere di Rebibbia, Roma, 1997
polaroid 55, stampa ai sali d’argento 22x28cm

Domenico Melis, pastore sardo, Manciano, 2007
polaroid 55, stampa ai sali d’argento 40x50cm
e
Caterina Scaggion, contadina veneta nella pianura pontina, 2007
polaroid 55, stampa ai sali d’argento, 40x50cm

Senada e Jonata, campo rom di Santa Maria della Pieta’, Roma, 2000
polaroid 55, stampa ai sali d’argento, 78x100cm

(Roma, 1960) vive e lavora tra Londra e la Maremma.
La sua ricerca si concentra su ritratti di gruppi di persone con esperienze o linguaggi in comune; negli ultimi anni i suoi progetti si sono maggiormente concentrati sulla natura, nelle differenti declinazioni di un’attenzione che si sposta dall’uomo a ciò che lo circonda.
Ha pubblicato oltre venti libri, per Einaudi, Bruno Mondadori, e/o, Koenig, ecc e ha esposto in Italia e all'estero, in molte gallerie e musei, tra i quali: Accademia di Francia, Villa Medici, Roma; Warburg Institute, Londra; Henry Moore Foundation, Leeds; IRCAM-Centre George Pompidou, Parigi; Museé de l'Elysee, Losanna; PhotoMuseum, Mosca. Le sue fotografie fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private nel mondo: National Portrait Gallery London, Centre Georges Pompidou Paris, Warburg Institute, ecc.
Fondatore e direttore artistico del FOTOGRAFIA festival internazionale di Roma dal 2002, ha curato tutte le edizioni della “Commissione Roma” da lui ideata nel 2003. Cura la casa editrice Punctum press. Nel 2018 ha fondato “The Photo Solstice” le giornate della fotografia nell’isola dell’Asinara.
Dal 2015 al 2019 ha diretto l’Istituto Italiano di Cultura di Londra.

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