Metromania Bacon/Artaud

“Per un teatro che non andrà mai in scena, il sottotitolo di Metromania Bacon/Artaud, ha avuto la meglio. Quattro mesi fa mai avremmo immaginato che le date nella nostra vita sarebbero state solo il lento scandire di un conto alla rovescia, che il desiderio di un inizio e l’angoscia di una fine avrebbero atteso lo stesso istante.

Eppure la parola vive un tempo che va oltre il nostro presente. Sembra volerci dire che tutto è così prossimo anche ciò che non verrà. La parola è in cammino, assorbe in silenzio tutto ciò che si contrae nella profondità dell’essere. Scaglia l’urlo al largo della nostra immaginazione.

Il testo “Metromania Bacon/Artaud” sarebbe dovuto andare in scena il 28 marzo per l’edizione del festival Bologna in Lettere 2020, organizzato da Enzo Campi. Questo evento come tanti altri ora attendono un altro tempo. Il tempo in cui tutto sarà come dopo.


Eco di Artaud: «Je n’ai jamais pu supporter qu’on tripote le vers d’un grand poète du point de vue de la sémantique, de l’histoire, de l’archéologie ou de la mythologie –
les vers ne s’expliquent pas… la peinture jamais»

Qui nessuno può ascoltarti.
Se vuoi ascoltare devi essere sordo
devi raccogliere l’orecchio mozzo.
Ma non puoi ascoltare.
Nessuno parla il silenzio in questo luogo.
L’orecchio mozzo parla la lingua sorda
che vorresti ascoltare.
Ma non puoi parlare ciò che credi silenzio.
Puoi fare a meno dell’udito.
Puoi praticare la lingua dei gesti.
Ma nessuno li vede.
Qui nessuno può vedere quello che i ciechi vedono.
Nessuno può parlare quello che i muti parlano.

Buio.
Qui tutto è buio.
È come se non fossi mai uscito
dalla segregazione di quella stanza.
Immobile nell’oscurità insondabile
immobile nel pozzo
nel nucleo
nel feto.
Un’improvvisa irradiazione
rischiara lo spazio
intaglia il volto
restituisce
per un solo eterno attimo
restituisce.

Questo è un luogo di disincanto.
La prima volta che facemmo l’amore ci spogliammo dei corpi.
Tra il corpo e il corpo non c’era niente
nient’altro che io e nessuno
nessun possibile incontro con l’altro
niente tranne noi
ancora meno il vuoto di un essere
il niente di un respiro dappertutto
qualche cosa d’impalpabile
ciò che è stato taciuto
le parole trapiantate sulla bocca di tutti.
Ma non un noi.
Io non sono noi
fino a quando resterò nella promessa.
Tutto intorno porta il nome di un’assenza.
Tutto è il corpo
ciò che il corpo desidera
ammassarsi, ispessirsi.

Carni liquefatte
contorsioni sessuali
amplessi agonici.
Splendore dell’uomo
che non si piega alla persistenza del tempo
dell’uomo che non si piega alla morte
ma che anzi la sfida
nel flusso dei suoi liquidi seminali
negli spasmi provenienti dalle sue pulsioni
nell’eccitazione
infinito protrarsi del sospiro delle specie
enfasi disperata
consunzione
consunzione
corrosione.

Che cosa credi di fare dopo aver taciuto così a lungo.
Non avrai altro io all’infuori di te.
La bocca è il carcere a vita senza indulto.

Là dove siamo stati senza sapere mai dove
si pratica una libertà dal gesto e dall’azione
una liberazione dalla scrittura e dalla dannazione
una liberazione dal passato e dal futuro
una liberazione dalla consapevolezza e dalla debolezza.

Sempre più disumani.

Là dove siamo stati senza sapere di essere
senza fortezza
senza bastioni
noi che di morte teneramente viviamo.

Nell’estremo tentativo di anticipare
l’inevitabile ritorno nelle oscurità
ho cercato di catturare il flusso vitale
che attraversa i vostri volti.
Esplorando e amplificando l’essenza
ho tentato di ricomporre in materia cromatica
ogni peculiarità epidermica e caratteriale.
Ho smussato articolazioni
sventrato muscoli
deformato lineamenti.
Ho portato scompiglio
sconvolto
ridefinito.
Ho creato una testimonianza
ho fermato il passaggio
ho intrappolato.
Che sia questo il mio lascito più sofferto?
Il mio personale culto dei morti?
Che sia questo il mio estremo tentativo di tradurre l’inesprimibile?
L’incessante?

Voglio dire che le case che abbiamo costruito
i muri sui quali giacciono i nostri autoritratti
le lenzuola in cui stendiamo le ossa
gli specchi degli oggetti in cui si riflettono possesso ed emancipazione
i guinzagli che allungano le nostre ombre.
Voglio dire che tutte le istruzioni per l’uso con cui teniamo a bada la nostra rivolta
i fiumi delle passioni
il disgusto generato dalla comprensione.
Voglio dire che sono pronto a prostituire ogni brano di virtù che mi rimane.

Il corpo è l’urna della voce.
Tutta la cenere.

Non hai aperto bocca fino a qui.

Silenzio di tenebra
silenzio nero
sospeso.
Nulla sembra destarsi
all’infuori di un’improvvisa
impercettibile vibrazione.
Un’oscillazione che aumenta d’intensità
di volume.
Un tremore morboso

che pervade il campo
una scossa incandescente
lamento di cenere
folgore su folgore.

Apri gli occhi
cerca di riprendere possesso
torna
se puoi ritorna.

Silenzio.
Si muovono nel silenzio.

Gridano.

Quello che si chiama letteratura
la cosiddetta congrega degli scrittori
il popolino dell’immaginazione
puzza
puzza di un tanfo letterario.
Ognuno passa sottobanco il proprio compito all’altro.
Ognuno eleva le proprie insoddisfazioni a dicibile.
Parlano per darsi pace. Sparlano.
Per corrispondere lo stipendio della vanità.
Scrivono per inscenare la vita.
Per questo fingono le parole.
Fingono i volti e fingono i gesti.
Fingono la malattia e fingono la morte.
Pur di comparire nell’elenco conclamato degli artisti
stilano le proprie emozioni
questo dannato senso del pudore
questo fottuto tepore
questa sopportazione
tutta questa profusione di strette.

L’estetica del Bauhaus
le creazioni da designer
i musei parigini
la realtà berlinese
i vigneti italiani
le serate al Colony Room Club
le notti interminabili
assolute.
Vivendo più vite in una

nella propagazione
nella manifestazione del sussurro.
Cercando il centro di tutto
il confine del mondo
il confino.

In questo luogo la poesia si trova nei corpi fuori dalla parola
nei bassifondi dell’essere,
fuori dall’ostentazione del libro
dai sottotitoli.
Le mani sul fuoco appartengono alla poesia
la cenere
la polvere
il fiato.
Tutto questo dove si trova la poesia senza organi
senza trapianti
senza redenzione.

Il corpo per questo non ha organi.
C’è stato un tempo in cui tutto era farsi così.
Farsi a pezzi. Depredarsi.
Un tempo per lasciarsi deperire.
Lasciarsi marcire.
In questo luogo le parole hanno saputo fare a meno di te.
Non c’è parola dove la parola parla solo per dire.

Aprire una ferita
un derivato

Sconfinare nello smembramento
sconfinare

Questo continuo percepirsi
è una condanna costante
insopportabile

I miei organi avvelenati

Le mie iridi in continuo divenire
in continuo sfiorire

La mia mente invasata
invasata
in/va/sa/ta

Non riusciamo a vivere il presente.
Non possiamo più viverlo nel futuro.

«Nascere è abbandonare un morto.
E non ci si vede più molto chiaro,
al di fuori,
in mezzo
a tanti morti che vi trattengono e vi chiamano,
che eravate voi,
che non eravate voi»

La frammentarietà delle creature
l’irreversibilità
le urla che scuotono il caos.
Tre studi di bestie primordiali
colli sinuosi
cavità orali aguzze
macellazione post bellica
macellazione.
Tre figure
trionfo della vibrazione
trionfo del colpo che stordisce
trionfo del superamento dell’iconografia
della definizione di tutto ciò che è chiaro
comprensibile.
Monocromia arancione del non luogo laicizzato
stravolgimento formale
urgenza espressiva
rielaborazione infinita dell’assurdità
rielaborazione del terrore
manifestazione della ferocia
mostruosità del tormento
mostruosità.

«I sentimenti ritardano,
le passioni ritardano,
le istituzioni ritardano,
tutto è di troppo, tutto è questo troppo che non smette di caricare l’esistenza,
l’esistenza stessa è un’idea di troppo,
sono i filosofi, gli scienziati, i medici, i preti, che ci hanno fatto a poco a poco, con dolcezza e brutalità, questa vita falsa,
perché le cose sono senza profondità, non c’è aldilà e non c’è baratro tranne quello che vi metteremo,
ma subito,
niente idea e niente entità,
niente immanenza e niente istanza,
niente mi attende per chiedermi conto,
ma io devo chiedere dei conti a qualche ignobile vecchio tanghero della dottrina,
il fatto che vi siano sentimento passione, istituzioni è un ritardo.»

L’Irlanda è lontana come il disprezzo di mio padre
è fredda come il suo sguardo.
L’Irlanda è un’adolescenza deviata
è un bambino docile
che mai avrebbe marciato.
L’Irlanda è il passato che ho affrontato
è un pensiero fra una birra e l’altra.
L’Irlanda è il colore rosso
del sangue che mi ha disconosciuto
allontanato.
L’Irlanda è lo schianto del disincanto
è l’eco di un canto strozzato in gola.
L’Irlanda è sospesa in un cassetto chiuso
è una smorfia involontaria
è la radice estirpata a freddo.
L’Irlanda è il freddo
il mio.

«Tutta la scrittura è porcheria.
Le persone che escono dal vago per cercar di precisare una qualsiasi cosa di quel che succede nel loro pensiero, sono porci.
Tutta la razza dei letterati è porca, specialmente di questi tempi.
Tutti coloro che hanno punti di riferimento nello spirito, voglio dire in una certa parte della testa, in posti ben localizzati del cervello, che sono padroni della loro lingua, tutti coloro per i quali le parole hanno un senso, per i quali esistono altitudini dell’anima e correnti nel pensiero, che sono lo spirito dell’epoca e hanno dato un nome a quelle correnti di pensiero, penso alle loro precise bisogna, e a quello stridio d’automa che il loro spirito butta al vento, – sono porci.
Coloro per i quali certe parole e certi modi d’essere hanno un senso, che sanno fare così bene i complimenti, coloro per i quali i sentimenti hanno classi e discutono su un qualunque grado delle loro esilaranti classificazioni, coloro che credono ancora a dei “termini”, che agitano ideologie affermate nell’epoca, coloro le cui mogli parlano così bene, e le mogli stesse che parlano così bene e parlano delle correnti dell’epoca, coloro che credono a un orientamento dello spirito, che seguono vie, sbandierano nomi, fanno gridare le pagine dei libri, – quelli sono i porci peggiori.»

Plasmare la bidimensionalità
affinché le implosioni creino un moto
una deformazione
una sequenza.
Scarnificare
tentare di sfuggire
dalla prigione dello spazio ermetico
dal cono d’ombra invalicabile
inaccettabile.
Scappare
sfuggire ai vostri sguardi
alla depravazione nascosta nei vostri occhi
alla violenza insita nelle vostre intenzioni.
Eludere
travalicare il pensiero
iniettare dolore nelle vie di fuga prospettiche
nelle vie di fuga.
Sbocciando nel centro perfetto senza mai appassire
scomponendomi
scomponendo le mie intenzioni
nell’attesa dell’ultimo giro di carte
nell’attesa dell’ultimo respiro.
Aspettando il prologo della cenere
il soffio del vento
il soffio che spazzerà via tutto
il soffio che annienterà.

C’è un posto da cui non puoi scappare ed è in questo posto che ti trovi.
È fuori di te.
Fuori dal luogo in cui ti trovi non puoi scappare dalla libertà
da ciò che insegui
da ciò che non sei
dalla preda
dal predatore.

Parlare s’innerva nella carne.
Parlare si divincola.
Parlare si slabbra.
Parlare si sfiata.
Parlare si tace.
Parlare e silenzio
né uno né l’altro.
Tutto sta nell’attesa del trapasso della voce.
Tutto va a vuoto nel vuoto.
Nell’orrida tristezza del vuoto
del buco in cui non c’è niente
non soffia il niente
un buco senza parole, sillabe, lettere, suoni…

Seduto sul comodo sgabello del solito pub
bevo un sorso di Teacher’s
mi guardo attorno
mi giro e rigiro
come se aspettassi davvero qualcuno.

La morte si è portata via tutti.
Tutto.

(I testi in recto sono di Domenico Brancale – tra virgolette adattamenti da Artaud- , quelli in corsivo di Marco Vetrugno.)

Immagine di copertina: Antonin Artaud, Autoritratto, 1946 (particolare).

Domenico Brancale (1976) poeta e performer. E' uno dei curatori della collana di poesia straniera “Le Meteore”. Ha pubblicato i libri di poesia: "L’ossario del sole" (Passigli, 2007), "Controre" (Effigie, 2013), "incerti umani" (Passigli, 2013) e "Per diverse ragioni" (Passigli, 2017).
Marco Vetrugno (1983) è poeta e drammaturgo. Ha pubblicato quattro raccolte poetiche (Poetico delirio, Organismi cedevoli, Le mie ultime difese, Proiettili di-versi) e due testi teatrali, "Mútilo" (Musicaos) e "Apologia di un perdente" (Elliot). Dal 2019 cura i fogli di poesia "Quando mi rubano tutto, voglio pure regalare qualcosa"

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