Arte Cinica e Romanza

Andy Holy War (Terza Parte)

La risposta del continente europeo a questo incominciamento americano provenne da una terra istoriale: Joseph Beuys rispose alla domanda di mitica gemmazione extra-ramo con segni che racchiudevano sensazioni e concetti dell’utopia europea. Anche i suoi prodotti organici erano gemme senza rami; boccioli nati dalla desolazione della Seconda Guerra Mondiale che vedeva la sua Patria tedesca –nella convinzione destinale di Nazione-guida e poi causa di un genocidio abissale– crollare sconfitta, e infine l’Aviazione Alleata radere al suolo le città più importanti e ricche di monumenti della Germania.

Anche qui una tabula rasa, di storia locale questa volta, di persone e di edifici, di generazioni e di vestigia. Beuys stesso fu soldato nelle squadriglie della Luftwaffe, l’aviazione militare tedesca, e il racconto che egli stesso ne fece narra di un incidente che fu la sua caduta da cavallo in fatto di visione del mondo. Egli dunque finì catapultato in terra sovietica e qui, ferito e semincosciente, venne raccolto da contadini che curarono le sue ferite con grasso e che riscaldarono il suo corpo con pezze di feltro grigio. Da allora Beuys non potrà più separarsi dalle materie del grasso e del feltro, e sentirà il bisogno di testimoniarle come materie dell’arte di vivere.

L’arte qui non è più una specialità estetica, ma una professione della vita che può farsi opera per tutti: di tutti coloro che vogliono trovare la vita perfino in un habitat irriconoscibile, ponendo materie su cui sollevarsi, girare, salvarsi. Il concetto idroponico delle gemme senza rami qui è spiegato da esperienze radicali di svuotamento: storico, politico, culturale e materiale, da cui nasce un’etica del mondo che pone il problema del diritto a partire dalla fisicità individuale e non dalla società.

Warhol e Beuys ci indicano, da due prospettive opposte, –l’una cinica, l’altra romanza– che la filosofia del diritto si trasforma: il primo, identificando i prodotti di serie dell’industria in opere d’arte –vindici di un’origine inutilmente dispotica e ormai divelta– con l’insediamento dell’originalità nel prodotto qualsiasi e quotidiano; il secondo identificando qualsiasi lavoro umano in attività artistica, e perciò determinante il proprio modo di vivere e di salvarsi.

In nessun caso si tratta di una replicazione del gesto di Duchamp, che estraeva il prodotto dal mercato plebeo dei bisogni, per immetterlo nel mercato patrizio dell’arte, trasformando il valore del pezzo e ironizzando sul diritto del gesto, grazie alla prerogativa dell’artista- demiurgo. Al contrario, Warhol assume pienamente e freddamente l’estetica commerciale per abbassare, piuttosto, tutta l’arte alla stregua di tutte le altre cose colorate; un abbassamento che incenerisce l’aristocrazia della salvezza, rendendo l’arte e la sua elevazione praticabile da tutti, ma soprattutto ai consumatori di prodotti.

Il legame che Warhol crea tra prodotto e consumatore è un programma di salvezza a portata di mano, una reale e mastodontica democrazia religiosa, rigorosamente atea, che ha avuto reali conseguenze. Beuys, dal canto suo, postula una rivoluzione analoga conferendo a qualsiasi lavoro umano la qualità caratteristica dell’arte. Warhol ce la fa, Beuys no, nella rotta della realtà. Warhol apre realmente la sua casa a tutti, senza vagliare chi –come artista, potesse entrare e chi no, tant’è che rischia di morire sotto i colpi di un revolver sparati da una di questi, radicalmente qualsiasi. Beuys è vezzeggiato tra gli ulivi, mentre dice che anche gli asfaltatori sotto 40 gradi sono artisti.

L’opera di Warhol e di Beuys indica –da opposti paradigmi– un’attività immediatamente efficace. Il loro principio idroponico ha dato un enorme impulso alle idee e alla generalizzazione della prassi artistica; ha smontato il concetto vetero-artigianale dei lunghi stadi di apprendistato che occorrerebbero per guadagnare l’arte, affermando che questi soli non servono ai fini della produzione di una gemma; non c’è più bisogno di un tronco per staccarsi dalla terra; il curriculum tecnico non è più il passaggio obbligato e garante nei confronti della storia, come un ramo predestinato a gittare una gemma pre-decisa. Il concetto idroponico ferve di un’importanza politica crescente e contrastante, perché non preclude nessuno a creare; non eleva la gavetta e l’apprendistato alla mistica dell’iniziazione; non prefissa alcuna preparazione: non tanto per un allargamento demagogico dell’arte attraverso la pratica dell’hobby, quanto per un processo di liberazione del lavoro; per una generazione di gemme senza rami.

Immagine di copertina: Joseph Beuys, I Like America and America Likes Me, 1974.

Claudia Castellucci

Drammaturga. Ha fondato diverse scuole cicliche di movimento ritmico, le più importanti delle quali sono state Stoa e Mòra. Quest’ultima si è trasformata in una compagnia di danza. Ha fondato con Romeo Castellucci, Chiara Guidi e Paolo Guidi la Societas Raffaello Sanzio, una compagnia di teatro attiva fino al 2006. Si è formata al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti di Bologna, nella sezione di Pittura, e da allora ha continuato a produrre arte. Nel 2014 fonda la Scuola Cònia, un corso estivo di Tecnica della rappresentazione, assieme ad altri docenti. Scrive e pubblica diversi testi di drammaturgia, di teoria della scena e di arte scolastica. Tra questi, "Setta. Scuola di tecnica drammatica" (Quodlibet 2015).

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