Sono ormai diversi anni che Laura Canali affianca, al suo lavoro di illustratrice cartografica per la più diffusa rivista di geopolitica, «Limes», un lavoro a questo parallelo e in apparenza contiguo: quello di cartografa della poesia. Una volta ne abbiamo realizzata anche una insieme, sul numero che la rivista dedicò al centenario della Grande Guerra, nel maggio del 2014: lavorando di concerto sulla poesia di un interprete “postumo” di quell’evento, Andrea Zanzotto. Avevamo discusso dell’autore, ciascuno dal suo punto di vista; poi in parallelo Laura ha composto la carta geografica vera e propria, e io il commento all’attitudine “cartografica” dello stesso autore (il primo forse, nella storia della letteratura, ad aver inserito una mappa – quella dell’Isola dei Morti, sul Piave, disegnata di suo pugno – in un libro di poesia: Il Galateo in Bosco, 1978). Era stata una comune amica, Camilla Miglio, a metterci in contatto; con Camilla Laura aveva già realizzato una carta geografica dedicata all’opera di Paul Celan. È una metonimia relazionale quella che porta da Celan a Zanzotto, e da Zanzotto a quello che è stato uno dei suoi maestri decisivi, Giuseppe Ungaretti (del quale il prossimo 1° giugno ricorreranno i cinquant’anni dalla morte). E, al contempo, dall’appassionata di un poeta a quello di un altro poeta, suo ideale fratello. Per giungere infine a quello che è una radice di entrambi (Radix Matrix: di Ungaretti Celan – cultore della Vita a fronte, per dirla con un magnifico libro dedicatogli proprio da Camilla Miglio – era stato anche uno dei traduttori in tedesco).
Va chiarito subito un possibile equivoco: a misurare la distanza dal lavoro cartografico “ufficiale” di Laura Canali dal suo lavoro “notturno”, di cartografa della poesia. Non è sua intenzione illustrare residenze e spostamenti di un autore, né – ove una carta volesse invece dedicarla a un narratore – dei suoi personaggi. Questo lavoro, senz’altro utile laddove non venga spinto sino a eccessi statistici di carattere neopositivistico, è stato fatto molte volte; può anzi dirsi divenuto, anzi, utensile d’uso quasi comune nell’ambito dello spatial turn da tempo in corso negli studi umanistici. Se c’è un autore i cui vagabondaggi tra Africa, Europa e Sud America sono divenuti materia viva della sua opera, questo è proprio Ungaretti: Girovago sempre in cerca di «un paese innocente», nel tempo in assoluto meno innocente della storia umana. Ma queste poetiche di Laura Canali non sono appunto, come quelle che produce invece per «Limes» sulle dinamiche geopolitiche del passato e del presente, carte “diurne”: cioè razionali, denotative, documentarie. Sono viceversa illustrazioni “impossibili”, paradossali, di quella dimensione intima e visionaria che, appunto nella poesia, trasforma ogni volta e radicalmente il tempo e lo spazio.
Lo si vede bene, per un paradosso eloquente, proprio nel Porto Sepolto: che – in circostanze storiche estreme, come quelle della Grande Guerra – pure si picca di individuare, con la massima precisione, luogo e data di ciascun frammento (al punto che un cultore di Ungaretti come Nicola Bultrini, che è anche poeta in proprio, in collaborazione con lo storico Lucio Fabi ha potuto realizzare un libro di positivismo parossistico – che giunge così a negare se stesso – come Pianto di pietra, da poco riproposto dall’editore Iacobelli, che va a periziare quei luoghi del Carso come si presentano oggi: cima per cima e valloncello per valloncello).
Nelle carte geopoetiche di Laura Canali migrano le coordinate, si spostano i toponimi, si ingrandiscono o rimpiccioliscono a dismisura le proporzioni degli spazi “reali”. Così inventando una «cartografia tenera»: discendente diretta di quella Carte du tendre che, proveniente da un romanzo di Madeleine de Scudery, Clélie (1654-60), negli anni Cinquanta un certo ominoso saggio di Jacques Lacan consegnava proprio a Zanzotto, il quale la inseriva in una delle sue strepitose IX Ecloghe del 1962. Archetipo di ogni carta «patemica» che, anziché riprodurre un territorio esistente nella geografia “reale”, dà forma al sistema delle passioni e degli affetti umani (nonché alla biologica, «biologale» avrebbe detto Zanzotto, interiorità fisica di un corpo femminile). Nella fattispecie ungarettiana, la foce del Nilo è sormontata dall’Istria e dal Golfo di Venezia: immagini araldiche della Vita di un uomo che campeggiano sullo spazio senza fine di un cielo stellato. L’acqua lustrale e memoriale dei Fiumi, che illumina d’immenso la terra tragica del Novecento.
Andrea Cortellessa
…
Una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
(da Commiato, Locvizza il 2 ottobre 1916)
Sono le parole a guidarmi, scavano dentro di me, si soffermano. Ci inciampo sopra e non si spostano più finché non le libero e mi libero attraverso i disegni.
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È il mio cuore
Il paese più straziato
(da San Martino del Carso, Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916)
Ci sono luoghi fisici, circoscritti, che improvvisamente, grazie alle parole, diventano geografie fisiche e geografie psicologiche, una fusa nell’altra, il solo pensiero emoziona. Il cuore del poeta partito in guerra, ferito dalla perdita dei compagni, ferito nella costrizione di vivere nella Zona di Guerra, ma anche il cuore di ciascuno di noi, ferito. Il paese più straziato lo portiamo dentro tutti e le parole lo rendono visibile, concreto, non si sfugge.
…
Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo
…
Questa è la mia nostalgia
che in ognuno mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre
(da I fiumi, Cotici il 6 agosto 1916)
I fiumi con l’acqua che scorre, la nascita, il tempo che passa, il senso di continuità. La culla della nascita, il fiume Nilo che spinge verso l’alto, come la corolla di un fiore. L’anima della corolla, il suo tratto essenziale, come una docile fibra dell’universo.
…
E sulla mia terra affricana
calmata
a un arpeggio
perso nell’aria
mi rinnovavo
(da Monotonia, Valloncello dell’Albero Isolato il 22 agosto 1916)
Il calore che sembra di sentire attraverso queste parole, calore materno, calore di casa, di culla, di origine. L’aria che aiuta a ritrovarsi spingendoci nell’acqua, acqua materna, che ricompone le fratture della vita, ricongiunge.
…
La morte
si sconta
vivendo
(da Sono una creatura, Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916)
Il buio del Carso. Buio dell’anima e della trincea. La morte seduta accanto. La morte dentro il compagno sfigurato da una bomba. Ma la morte apre le porte alla vita stessa, spinge alla sopravvivenza, è lei che ti fa conoscere lo spazio infinito dell’Universo. Dalla trincea nel Carso guardo al cielo che si specchia nel mare Adriatico, mare vicino, orizzonte che sfuma e si fonde con l’infinito.
Quale canto s’è levato stanotte
che intesse
di cristallina eco del cuore
le stelle
Quale festa sorgiva
di cuore a nozze
Sono stato
uno stagno di buio
Ora mordo
Come un bambino la mammella
lo spazio
Ora sono ubriaco
d’universo
(da La notte bella, Devetachi il 24 agosto 1916)
Dentro la trincea, la notte gela terra e uomini. Nessuno sa se rivedrà l’alba, Nessuno sa cosa succederà. L’incertezza è la costante in questo luogo a sé stante, senza riferimenti. Ma il cuore crea fibra (docile fibra dell’Universo) e il cielo notturno diventa nutrimento e nettare di nuova vita. L’alba arriverà e se non arriverà io ce l’ho già dentro, per sempre.
M’illumino
d’immenso
(Mattina, Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917)
Queste parole viaggiano nello spazio alla velocità della luce. Sono le parole più vitali che io abbia mai udito. Mi sento tirare per la maglietta ed entrare dentro questa luce fortissima, dai toni giallo chiaro fino ad arrivare al giallo sole dell’ora di pranzo, il giallo dell’ora più calda, ma una fascia di luce rosata è nel mezzo, è l’alba, quell’alba di prima, nata dalle stelle della notte incerta, è l’alba di dentro, uguale a quella dell’Universo.
Fotografia di copertina:
Laura Canali
Docile fibra dell’universo, gennaio 2020
stampa su alluminio graffiato
com 150 x 100
Sul prossimo numero di «Limes. Rivista italiana di geopolitica», in edicola il prossimo 5 marzo, uscirà la cartina poetica dedicata a Ungaretti da Laura Canali: che anticipiamo in questa sede per la cortesia dell’autrice e della testata.