Asilo per senzatetto

19/02/2020

L’operaio medio, che qualche piccolo impiegato guarda così volentieri dall’alto al basso, spesso gli è superiore non solo materialmente, ma anche esistenzialmente. La sua vita di proletario dotato di coscienza di classe è coperta da concetti marxisti, di un marxismo volgare, che peraltro gli dicono pur sempre che cosa si vuol fare di lui. È anche vero che oggi il tetto è abbondantemente bucato.

La massa degli impiegati si distingue dal proletariato perché è spiritualmente senza tetto. Per il momento non sa trovare la strada che lo porti tra i compagni, e la casa dei concetti e sentimenti borghesi che aveva abitato finora è crollata, poiché lo sviluppo economico l’ha privata delle sue fondamenta. Al presente vive senza una dottrina su cui poter alzare gli occhi, senza uno scopo da poter interrogare. Vive dunque nella paura di alzare gli occhi e di interrogarsi fino in fondo.

Nulla caratterizza questa vita, che si può chiamare vita solo in un senso ristretto, come il modo e la maniera in cui le appare il valore. Non è contenuto, ma lustro, apparenza brillante. Non lo raggiunge con il raccoglimento, ma nella distrazione. “Per quale motivo la gente va così spesso nei locali pubblici? – dice un impiegato che conosco; – ma perché a casa si vive miseramente, ed essi vogliono partecipare della vita brillante”. Del resto con l’espressione “a casa” non si deve intendere solo l’abitazione, ma anche la vita quotidiana che è disegnata dalle inserzioni delle riviste degli impiegati. Esse riguardano, nella maggioranza: penne; matite Kohinoor; emorroidi; caduta dei capelli; letti; suole di gomma; denti bianchi; prodotti per ringiovanire; vendita di caffè presso persone conosciute; grammofoni; crampo degli scrivani; tremori, in particolare in presenza di altri; pianoforti di qualità dietro pagamento settimanale, ecc. Una stenodattilografa incline alle riflessioni esprime un’opinione simile a quella dell’impiegato: “Per lo più le ragazze provengono da un ambiente modesto e sono allettate dalle apparenze brillanti”. Dà poi una spiegazione estremamente singolare del fatto che in genere le ragazze evitino i trattenimenti seri. “Le conversazioni serie – diceva –, distraggono soltanto, e allontanano dall’ambiente che si vorrebbe godere”. Se vengono attribuiti effetti di distrazione a una conversazione seria, la distrazione è presa inesorabilmente sul serio. 

Non dovrebbe essere così. Otto Suhr, l’economista dell’Unione generale dei liberi sindacati degli impiegati, dai risultati a cui approda sulla base di un’inchiesta sul bilancio degli impiegati elaborata nello scritto Die Lebenshaltung der Angestellten [Il tenore di vita degli impiegati (Freier Volksverlag, Berlin 1928) trae la conclusione che se è vero che gli impiegati spendono per il vitto meno di un operaio medio, in compenso danno più importanza ai cosiddetti bisogni culturali. Secondo Suhr per il bisogno culturale l’impiegato spende di più che per l’alloggio, riscaldamento e luce compresi, e il vestiario e la biancheria messi assieme. Fanno parte dei bisogni culturali, accanto alla salute, ai mezzi di comunicazione e trasporto, ai regali, ai sussidi ecc., tra l’altro anche le sigarette, gli alberghi, gli intrattenimenti intellettuali e sociali. 

Ora la società provvede, consapevolmente e probabilmente ancora di più inconsciamente, affinché questa domanda di beni culturali non porti a riflettere sulle radici della vera cultura, e quindi alla critica delle condizioni per cui essa è potente. Non ostacola l’impulso a vivere in modo brillante e disperso, lo promuove, dove e come può. Si vedrà ancora che essa non sviluppa affatto il sistema della propria vita fino al punto decisivo, ma al contrario evita la decisione e preferisce le attrattive esteriori della vita alla sua realtà. Anch’essa ha bisogno di diversioni. Poiché è essa che dà il tono, le riesce tanto più facilmente di far credere agli impiegati che una vita svagata sia insieme quella che ha più valore. Presenta se stessa come il supremo valore, e se la maggioranza dei dipendenti la prende come proprio modello quasi si trova già dove essa vuole appunto che si trovi. Di quali melodie ammaliatrici sia capace, lo mostra il seguente brano, tratto dallo scritto propagandistico di un grande magazzino che abbiamo ripetutamente citato, e che è degno di appartenere a una collezione di esemplari di ideologie classiche: “Merita ancora di essere menzionata un’influenza che proviene dall’ambiente e dall’organizzazione interna del grande magazzino. Molti impiegati provengono da un ambiente molto semplice. Forse l’alloggio è costituito di strette stanze senza luce, forse le persone con cui hanno a che fare nella vita privata hanno una scarsa cultura. Ma nel grande magazzino l’impiegato per lo più soggiorna in ambienti luminosi, inondati di luce. I rapporti con una clientela colta e distinta offrono sempre nuovi stimoli. Le apprendiste, che quando arrivano sono spesso sprovvedute e goffe, imparano rapidamente a comportarsi e a trattare, curano il loro linguaggio e anche il loro aspetto. La multilateralità della loro professione allarga l’ambito delle loro conoscenze e approfondisce la loro cultura. Ciò facilita loro l’ascesa a strati sociali più alti”. Se lasciamo da parte la cultura della clientela e l’approfondimento – e possiamo farlo con buona coscienza –, quello che resta sono i locali luminosi, inondati di luce, e gli strati più alti. L’influenza benefica che il flusso di luce esercita sul personale, oltreché sulla voglia di comprare, potrebbe consistere al massimo nel fatto che il personale ne viene stordito abbastanza da dimenticare l’alloggio stretto e senza luce. Ma la luce acceca, piuttosto di illuminare, e forse tutta la luce che negli ultimi tempi inonda le nostre grandi città serve non da ultimo ad accrescere il buio. 

Ma gli strati superiori non ci fanno forse cenno? Come si è mostrato, fanno cenno di lontano, senza impegnarsi. Lo splendore dispensato ha sì lo scopo di incatenare le masse impiegatizie alla società, ma deve sollevarle solo e precisamente di quel tanto per cui esse restino tanto più sicuramente ferme nel posto che è loro assegnato. Da questo punto di vista è istruttiva la Scorribanda attraverso 15 libri della spesa che è stata pubblicata qualche tempo fa su “Uhu”. Alcuni dei titoli suonano: Ma come fanno i Müller a permettersi una barca a vela? Come possono permettersi una villeggiatura per cui pagano 10 marchi di pensione, gli Schulze? Come fanno i Wagner a sfoggiare tutti quei vestiti? Sì, per l’appunto lo possono. Il signor Schulze spiega che la sua vecchia è una saggia amministratrice, e la signora Wagner informa che suo marito si stira da solo i pantaloni. “Così si salva l’apparenza”, aggiunge filosoficamente. Si spera che i pantaloni non siano troppo brillanti. Nello stesso numero della “Borsig-Zeitung” in cui si trova il saggio del dottor Striemer citato nel capitolo precedente, un revisore dei conti risponde alla domanda perché tra gli operai e gli impiegati esiste un profondo solco. “Dipende fondamentalmente dal fatto che ciascuno vuole apparire più di quello che è”. Anche se alcuni dei piaceri risparmiati sono indubbiamente autentici, è tuttavia evidente la più profonda morale della scorribanda dell’“Uhu”, che cerca di inculcare nel cosiddetto ceto medio la convinzione che anche con un piccolo reddito si può salvare l’apparenza di appartenere alla società borghese, e quindi si hanno tutti i motivi di essere soddisfatti della propria condizione sociale. Il fatto che con le persone interrogate siano mescolati un funzionario e un consigliere superiore di governo, non fa che accrescere la dignità borghese della segretaria di direzione o del piccolo impiegato statale. 

Gli incontri fra gli impiegati e i superiori modelli avvengono con una mirabile naturalezza. Spesso è già sufficiente un involontario soffio di vita mondana, per destare le forze assopite. Questa facile eccitabilità è testimoniata tra l’altro dall’osservazione di un impiegato dell’industria. Anche se in un qualche reparto della sua azienda dovessero trattare con i clienti solo pochi impiegati, il comportamento elegante degli avamposti subito stingerebbe su tutto il personale. Segnali inappariscenti per sovrappiù indicano ogni momento la direzione dell’aspirazione. Così nella vetrina di un importante emporio fanno bella mostra orgogliosi mannequins rivestiti di abiti a buon mercato confezionati in serie, in mezzo a eleganti orchidee; così nel luna park un’autopista procura a coloro che hanno gli stipendi più bassi il piacere di sentirsi padroni di un’automobile. Piccoli effetti, grandi cause.

Nei confronti delle masse il delicato linguaggio dei segni non basta. Dove confluiscono in grande misura, come a Berlino, sono anche creati dei veri e propri asili per i senzatetto. Asili nel senso letterale del termine sono quei giganteschi locali in cui “con poco denaro si può sentire il soffio del gran mondo”, come si è espresso un cronista di un giornale pomeridiano di Berlino. Lo Haus Vaterland, che sembra fatto su misura per i provinciali, il Resi (Residenz-Kasino), che conta anche su clienti con uno stipendio elevato, il Moka Efti Unternehmen sulla Friedrichstrasse – questi locali e altri simili sono stati chiamati in vita da un istinto infallibile, per saziare la fame di lustro e di distrazione che caratterizza la popolazione della metropoli. Dall’azienda economica all’azienda del divertimento, è il loro motto implicito. Non tutte le categorie di impiegati – detto tra parentesi – cedono in uguale misura alla magia del divertimento grandioso. Un parlamentare informato sullo stato delle cose è convinto che ci sia una precisa differenza fra i tecnici, ad esempio, e gli impiegati delle case di confezioni. Secondo l’opinione che egli esprime parlando con me, in genere i primi sono piuttosto dei misantropi, un po’ démodé e poco preoccupati di fare un’impressione mondana. Invece coloro che lavorano come agenti delle compere e venditori nel ramo confezioni e anche nei negozi di lusso hanno la comprensibile tendenza a permettersi essi stessi l’eleganza di cui sono continuamente mediatori, e inoltre per i loro contatti con la clientela vivono volentieri di notte. “Esiste uno stretto rapporto fra gli impiegati del ramo confezioni e gli artisti dei caffè-concerto – spiega il deputato –. In effetti gli uni e gli altri hanno in comune la proprietà di operare direttamente sul pubblico; mentre il tecnico dà forma alla scorbutica materia voltando le spalle al pubblico. È dunque perfettamente regolare il fatto che il milionesimo ospite dello Haus Vaterland sia stato precisamente un agente delle compere di un grande emporio di New York. Ha ricevuto, per i suoi meriti, una coppa d’argento. Che i casermoni del piacere esercitino la loro forza d’attrazione solo da poco, è tutto fuorché un caso. Hanno preso il posto delle innumerevoli mescite degli anni dell’inflazione, e sono venuti in auge subito dopo la stabilizzazione dell’economia. Nello stesso momento in cui le aziende vengono razionalizzate, quei locali razionalizzano il piacere delle folle impiegatizie. Quando chiedo perché provvedano alla massa in quanto massa, un impiegato mi dà l’amara risposta: “Perché la vita della gente è stata troppo impoverita, perché essi riescano ancora a combinare qualcosa da soli”. Che le cose stiano così o altrimenti: in questi locali la massa è a casa propria; e non solo in considerazione dell’utile economico dell’imprenditore, ma anche per la sua inconfessata impotenza. 

Ci si riscalda l’uno con l’altro, ci si consola tutti insieme del fatto che non si possa sfuggire alla quantità. L’ambiente superbo rende meno gravoso il fatto di appartenerle. L’ambiente è particolarmente sontuoso nello Haus Vaterland, che incarna nel modo più perfetto il tipo che viene approssimativamente realizzato anche nei grandi cinematografi e nei locali degli strati medi inferiori. 

Il suo nucleo è costituito da una specie di imponente atrio ricoperto di tappeti su cui gli ospiti dell’Adlon potrebbero camminare senza sentirsi mortificati. È un’espressione esagerata dello stile della Neue Sachlichkeit, poiché solo la massima modernità è all’altezza delle nostre masse.

In nessun luogo il mistero della Neue Sachlichkeit potrebbe svelarsi più apertamente di qui. Poiché dietro lo pseudorigore dell’architettura dell’atrio ghigna Grinzing. Solo un passo in giù, e si è circondati dal più rigoglioso sentimentalismo. Ma questa è la caratteristica della Neue Sachlichkeit in generale, di essere una facciata che non nasconde nulla, che non emerge da una lotta con la profondità, ma la simula. Allo stesso modo del rifiuto della vecchiaia, nasce dall’orrore per il confronto con la morte. Il locale in cui viene gustato il vino dell’annata offre una splendida vista sulla Vienna notturna. Il campanile di Santo Stefano si staglia pallido sul cielo stellato, e un tram internamente illuminato scivola sul ponte sul Danubio. In altre sale che confinano con la Neue Sachlichkeit scorre il Reno, brilla il Corno d’oro, la bella Spagna si estende nel lontano Sud. La descrizione di tutte le bellezze offerte è tanto più superflua, in quanto non si potrebbe aggiungere o togliere neanche una parola alle insuperabili indicazioni del prospetto dello Haus Vaterland. Ad esempio vi si dice, a proposito del Lowenbräu: “Paesaggio bavarese: Zugspitze con Eibsee – vette alpine che rosseggiano al tramonto – ingresso e danza dei Bua’m bavaresi – danze popolari bavaresi…”; oppure, a proposito del bar Far West: “Praterie intorno ai grandi laghi – Arizona – ranch – balli – canti e danze di cow-boys – jazz eseguito da negri e cowboys – pista da ballo elastica”. La patria abbraccia tutto il globo terrestre. È in rapporto con la monotonia che regna nelle aziende, il fatto che in tutti questi locali i panorami del secolo XIX tornino così in auge. Quanto più la monotonia domina nel giorno feriale, tanto più la sera di festa deve allontanare da esso – presupponendo che si debba stornare l’attenzione dai retroscena del processo produttivo. Ma il contrattacco contro la macchina burocratica è rappresentato precisamente dal mondo colorato e splendente. Non il mondo così com’è, ma quale appare nelle canzoni di successo. Un mondo che fin nell’ultimo angolo è stato come pulito da un aspirapolvere, che ha eliminato tutta la polvere della vita quotidiana. La geografia degli asili per senzatetto è nata dalla canzone di successo. Anche se dispone solo di una vaga conoscenza del luogo, di solito i panorami vi sono tuttavia esposti con esattezza; con una pedanteria che non è superflua, poiché nell’epoca degli scambi e dei viaggi le ferie riconosciute dal contratto di lavoro consentono già di controllare con i propri occhi certe località. È vero che in queste ricostruzioni teatrali si tratta meno di lontananze reali che dei mondi di sogno e di fiaba in cui hanno preso corpo le illusioni. Il soggiorno fra queste pareti che significano il mondo può essere definito come un viaggio collettivo per impiegati, destinazione paradiso. A questa definizione corrisponde con esattezza l’ambiente del Moka Efti, le cui effusioni spaziali stanno di poco indietro rispetto a quelle dello Haus Vaterland. Una scala mobile, che tra le altre funzioni ha probabilmente anche quella di rappresentare in forma concreta la facile ascesa agli strati superiori, trasporta sempre nuove folle direttamente dalla strada nell’Oriente, che è indicato da colonne e dal recinto di un harem. Del resto il palazzo della fantasia assomiglia a un sogno a occhi aperti anche perché non è costruito in modo molto solido: anziché sulle fondamenta di un capitale stabile e sicuro, sorge sulla base di un credito inglese a breve scadenza. Quassù non si sta seduti, si viaggia. “Non sporgersi!”, sta scritto sui finestrini del treno, dai quali si vedono assolati paesaggi da cartolina illustrata. In realtà si tratta di pannelli, e quella che appare come la perfetta imitazione del corridoio di un treno internazionale con vagoni letto non è altro che un passaggio lungo e stretto che collega due sale maomettane. I fiotti di luce di cui parla lo scritto pubblicitario del grande magazzino contribuiscono dappertutto all’effetto d’insieme. Nel Resi assumono i colori più vivaci e diversi, e sopraffanno il castello di Heidelberg con uno sfarzo cromatico di cui non sarebbe capace neanche il sole al tramonto. Fanno talmente parte delle proprietà costitutive di questi locali, che non si può fare a meno di pensare che durante il giorno i locali non esistano affatto. Ogni sera nascono una nuova volta. Ma la vera forza della luce è la sua presenza. Toglie alla massa la sua figura abituale, le getta addosso un costume che la trasforma. Le sue forze misteriose trasformano l’apparenza brillante in contenuto, la distrazione in ebbrezza. È vero che non appena il cameriere spegne la luce subito ricompare la giornata di otto ore.

Tutte le forme di svago che sono in rapporto con le masse non organizzate degli impiegati, e anche e non meno tutti i movimenti di queste stesse masse, oggi hanno un carattere ambiguo. Hanno un secondo significato che spesso li allontana dalla loro destinazione originaria. Sotto la pressione della società dominante diventano asili per senzatetto in senso metaforico. Oltre al loro primo scopo, vengono anche ad avere quello di relegare gli impiegati nel luogo desiderato dal ceto superiore, e di stornare la loro attenzione dai problemi critici, verso cui del resto non si può dire che abbiano una forte inclinazione. Per quanto riguarda la produzione cinematografica attuale, in due saggi usciti sulla “Frankfurter Zeitung”, Le piccole commesse vanno al cinema e Il film attuale e il suo pubblico, ho dimostrato che quasi tutti i prodotti dell’industria cinematografica giustificano il sussistente, in quanto distolgono l’attenzione sia dalle sue aberrazioni che dalle sue basi; che contribuiscono a stordire la massa, con l’artificiale splendore delle apparenti vette della società. Analogamente gli ipnotizzatori addormentano i loro soggetti con l’aiuto di oggetti scintillanti. Lo stesso discorso vale per i giornali illustrati e la maggior parte delle riviste. Probabilmente un’analisi più precisa mostrerebbe che vi ricompaiono sempre gli stessi tipi di immagini, che sono come formule magiche che cerchino di precipitare per sempre nell’abisso di un oblio senza immagini certi contenuti – quei contenuti che non sono inclusi nell’edificio della nostra esistenza sociale, ma includono a loro volta questa esistenza. La fuga delle immagini è la fuga dalla rivoluzione e dalla morte. 

Se la magia delle immagini afferra le masse dall’interno, così lo sport, l’intera cultura fisica – che tra l’altro ha portato all’uso del weekend – è una forma fondamentale della loro esistenza. Non c’è dubbio che l’educazione sistematica del corpo adempie alla missione di creare il necessario contrappeso alle aumentate richieste dell’economia moderna. Ma il problema è se oggi l’esercizio sportivo serva soltanto a questa educazione fisica certamente indispensabile. Se in ultima analisi oggi non si assegni allo sport un peso così importante nella gerarchia dei valori collettivi anche perché esso offre alle masse una possibilità di distrazione provvidenziale, e che esse utilizzano pienamente. Di distrazione nel senso decisivo del termine, e anche di lustro. Poiché come celebrità sportive possono acquistare prestigio numerose persone che altrimenti resterebbero anonimi soldati semplici dell’esercito degli impiegati. È la stessa massa che ha bisogno dei campi sportivi. Se alcune grandi imprese non credessero di aver bisogno di proprie associazioni sportive, la società nel suo complesso non avrebbe bisogno di pungolare lo zelo sportivo, per conservarsi. Un industriale perspicace parlando con me si lamenta che lo sport monopolizzi l’interesse dei giovani. “Dicono che si vive una volta sola, quando io parlo del lavoro”, aggiunge. Ma la vita naturale che si vive una volta sola può essere così desiderabile soltanto se evita la conoscenza, se vuole evitare di prendere coscienza delle connessioni in cui è situata. Spumeggiando, si disperde, e dove si vive una volta sola si vive poco. 

Il già citato saggio di Lederer, La nuova composizione del proletariato, su questo punto certamente si sbaglia. “La diffusione dello sport… rende sicuri – scrive Lederer –, risolve i complessi o non lascia nemmeno che si formino, e crea una preorganizzazione della massa in cui il singolo si inserisce attivamente, ha la sua funzione che svolge, nella quale una volontà libera e comune unisce tutti… Si dovrebbe supporre che individui che nel loro mondo sanno il fatto loro, che lo dominano e controllano sempre meglio, che queste persone nella sfera della formazione pratica della vita sopporteranno durevolmente il destino che è stato loro assegnato, senza cercare di trasformarlo?”. Si deve quasi supporlo; tutto sommato, è vero piuttosto il contrario di quello che afferma Lederer. La diffusione dello sport non risolve i complessi, ma tra l’altro è un fenomeno di rimozione in grande stile; non promuove la trasformazione dei rapporti sociali, ma nel complesso è uno dei principali strumenti della spoliticizzazione. Ciò non impedisce che nell’esagerato incremento dello sport si riveli anche la rivoluzionaria aspirazione delle masse a un diritto naturale che potrebbe essere affermato contro i danni della civiltà. Non è soltanto a causa dei molti laghi, che a Berlino è così amato lo sport acquatico. Migliaia di giovani impiegati sognano di andare in canoa, e i Müller di cui si parla nella citata scorribanda dell’“Uhu” per amore della loro barca a vela hanno rinunciato a tutti gli altri divertimenti. “La barca è appunto tutto per noi, è anche il nostro viaggio estivo…”. Il corpo nudo assurge a simbolo dell’uomo emancipato dalle condizioni sociali dominanti, e all’acqua viene attribuita la mitica forza che lava la sporcizia dell’azienda. È la pressione idraulica del sistema economico che sovraffolla le nostre piscine. Ma l’acqua in realtà pulisce soltanto il corpo.

Al luna park ogni tanto viene eseguito, di sera, uno spettacolo di giochi d’acqua illuminati dai bengala. Nell’oscurità si levano continuamente nuovi fasci di raggi rossi, gialli, verdi. Quando tutto questo sfarzo è finito, si constata che è stato ottenuto con il povero intreccio di alcune cannelle. I giochi d’acqua assomigliano alla vita di molti impiegati. Si salva dalla sua povertà con la distrazione, si fa illuminare dai bengala e si dissolve nel vuoto notturno, immemore della propria origine.

Testo contenuto in Siegfried Kracauer, Gli impiegati, con un saggio di Maurizio Guerri e una nota di Luciano Gallino, traduzione di Anna Solmi, Meltemi 2020, 160 pp., 14 €.

Siegfried Kracauer

(Francoforte 1889 - New York 1966), sociologo, filosofo e teorico del cinema tra i più significativi del XX secolo, si forma con Georg Simmel entrando in contatto con Benjamin, Bloch, Adorno. Per motivi politici e razziali fu costretto all’esilio in Francia e poi negli Stati Uniti, dove lavorò al MoMA di New York e alla Columbia University. Tra le sue opere più importanti: “La massa come ornamento” (1921-1933), “Il romanzo poliziesco” (1925), “Da Caligari a Hitler” (1947), “Teoria del film” (1960).

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