Quando, nel 1990, sul finire dell’era sovietica, il primo McDonald’s aprì a Mosca, ne scrissero i giornali di tutto il mondo. Dieci anni dopo, nel 2000, poche furono le testate che si occuparono dell’arrivo di Ikea in Russia, ancora nella capitale, nel sobborgo di Khimki, lungo la strada che, oggi come duecento anni fa, porta da Mosca a Pietroburgo.
Eppure, con il senno di poi, Ikea – che attualmente (gennaio 2020) conta 14 stores dislocati in varie città dell’immenso territorio russo, e altri cinque o sei dovrebbe aprirne entro la fine dell’anno – ha trasformato il modo di vivere dell’«impero del male», come lo definì Reagan, in modo più profondo e pervasivo di quanto abbia fatto McDonald’s. I tristi e cari scaffaletti di legno marrone prodotti dai mobilifici dell’Urss e dei paesi fratelli sono stati soppiantati dalle tinte chiare delle librerie Ivar e Billy. Le cucine, non più antri fumosi di disincantati dissidenti, si sono riempite di quei gadget – dal termometro per carni Fantast al sottopentola Lagg – cui è difficile resistere spingendo il carrello sotto l’insegna blu e gialla. E come far convivere l’inesorabile tendenza al kitsch dei soprammobili in ceramica di Gzhel con il pulito design scandinavo?

La metamorfosi dell’arredo domestico russo è solo un esempio, forse neanche il più evidente. Tre dei cinque più grandi negozi Ikea nel mondo sono in Cina (due a Shanghai, uno a Wuxi). Il più vasto in assoluto si trova adesso a Gwangmyeong, nei dintorni di Seul, ma presto il primato passerà a Manila, con una superficie prevista di 65.000 metri quadri. E la conquista dell’Asia continua: nel 2018 è stato aperto il primo store dell’India, a Hyderabad, che secondo i piani della multinazionale svedese entro il 2025 dovrebbe essere affiancato da un’altra ventina, dislocati in diverse città del subcontinente.
Anche in Italia, del resto, lo sbarco di Ikea (Cinisello Balsamo, 1989) ha segnato uno spartiacque fra un prima in cui ancora si parlava di salotti – gli anni Ottanta furono l’era del trionfo di Aiazzone, ma oggi chi se ne ricorda? – dove solo i più snob si ribellavano alle buone cose di pessimo gusto, e un dopo che ci ha visto inseriti, volenti o nolenti, nella contemporaneità e nella globalizzazione.
Presente, incluso il franchising, in 49 paesi, con oltre 300 stores di dimensioni variabili, Ikea è lo specchio di una classe media che non possiede – e forse non possederà mai – il potere necessario per appropriarsi dei beni riservati all’élite e tuttavia non vuole rinunciare a quello stile che, soprattutto grazie a Ikea stessa, si è imposto ovunque. Con effetti collaterali che sfiorano il paradosso: in un mondo che si vorrebbe sempre più raffinato, le quotazioni dei mobili di antiquariato – con la solita eccezione della fascia più alta, quella destinata ai miliardari – sono crollate.

Ma non c’è da stupirsene. Il catalogo Ikea, la pubblicazione periodica più diffusa sulla Terra (oltre 210 milioni di copie, 32 lingue, 44 paesi – tutti dati che rischiano di essere domani già obsoleti), non richiede, a differenza dell’antiquariato, nessuno studio. A differenza dell’antiquariato, presenta, visivamente e narrativamente, un modo di vivere fluido, dove i mobili sono sempre gli stessi, ma cambiano funzione nel tempo. E, più che strumenti, sono compagni di vita, punti di riferimento che troverai con un senso di conforto nelle case degli amici come in quelle degli sconosciuti.
L’economista Marianne Baxter, della Boston University, che ha analizzato l’evolversi dei cataloghi Ikea (i mobili che scomparivano, quelli che venivano ridisegnati, quelli che cambiavano prezzo – sempre comunque al ribasso), è arrivata alla conclusione che i prodotti più longevi sono i prodotti capaci, darwinianamente, di adattarsi. Come la poltrona Poäng che, disegnata da Noboru Nakamura nel 1976 su ispirazione della Sedia 406 di Alvar Aalto, è passata nel 1992 dalla struttura originaria in metallo a quella, ancora in uso, in multistrato di betulla: più facile da trasportare e, soprattutto, più economica.
Ha dichiarato Baxter in un’intervista: «Quindici anni fa ero sicura che presto Ikea avrebbe avuto una quantità di concorrenti. Mi sbagliavo. Ci sono solo loro».
Le immagini che corredano l’articolo sono del fotografo canadese Kevin Frayer che nel 2015 ha realizzato una serie di scatti nel negozio Ikea di Pechino dove molti clienti approfittano dell’abbondanza di letti e divani per riposarsi e dormire.