Corrado Costa, l’avventura della ripetizione

09/02/2020

Corrado Costa (Mulino di Bazzano, 1929 – Reggio Emilia, 1991) è stato poeta, pittore, performer ma anche avvocato (fu anche difensore del giovane Tondelli). Nel 1964 partecipa alla seconda riunione del Gruppo 63 a Reggio Emilia e, tra il ’67 e il ’68, dà vita insieme ad Adriano Spatola e Claudio Parmiggiani al primo festival italiano di manifesti e arti performative (Parole sui muri), a Fiumalbo. Collabora con numerose riviste (tra cui «Malebolge», «Quindici», «il verri» e «Tam Tam»). Pubblica tre raccolte poetiche: Pseudobaudelaire (Scheiwiller, 1964), Le nostre posizioni (Geiger, 1972) e The Complete Films (Red Hill Press, 1983). È autore di alcuni saggi erotico-letterari, tra cui Inferno provvisorio (Feltrinelli, 1970) e La sadisfazione letteraria (Cooperativa scrittori, 1977), nonché di opere teatrali, tra cui l’invenduta Santa Giovanna Demonomaniaca (Magma, 1974). Due antologie dei suoi scritti, Cose che sono parole che restano e The Complete Films. Poesia Prosa Performance, sono state proposte rispettivamente da Diabasis nel 1995, a cura di Aldo Tagliaferri, e da fuoriformato Le Lettere, a cura di Eugenio Gazzola con un dvd curato da Daniela Rossi, nel 2008; a cura di Eugenio Gazzola anche I minimi sistemi e altre storie, Diabasis 2014.


… il simbolo iterato, intensificante,
ripetizione solenne, accanita,
moltiplicazione tenebrosa del profondo

Emilio Villa, Arte dell’uomo primordiale

Partiamo da un avvertimento al lettore: le immagini inserite nel testo non sono a scopo illustrativo. La moltiplicazione delle dita è un libro-centauro che non ammette percorsi di decodifica autonomi tra prosa e apparato iconografico. I disegni che fanno capolino tra le pagine del volume non hanno una funzione decorativa o ornamentale, non sono stati inclusi per rendere più glamour l’edizione, ma sono parte costitutiva della poetica di Corrado Costa, che si gioca (letteralmente) alla frontiera tra visivo e verbale. In questa no man’s land tra campi disciplinari, ogni sconfinamento è lecito e, anzi, caldamente consigliato.

L’interesse per la visualità contagia le prose saggistiche, che scelgono spesso come bersagli d’elezione le opere artistiche altrui. È il caso di Per una Emmanuelle di Valerio Miroglio («Il Caffè Letterario», 2, 1970). Per l’opera-installazione dell’amico artista – Emmanuelle sotto aceto, una scultura in legno nella cui struttura si inseriscono cubi di plexiglass che espongono pezzi anatomici di un corpo femminile –, Costa confeziona un componimento d’occasione in versi. Lo stile è quello di un poeta-avvocato che è stato a lezione da Villa; il linguaggio reinventa il quadro parodiando l’impostazione di un manuale di sociologia, con tanto di parentesi graffa e tabella a doppia entrata (o «mappa dei desideri», p. 56), in un’accentuata caricatura del lessico e dell’impostazione dogmatica da dimostrazione di ‘matematica sociale’.

Il tema della mercificazione del corpo femminile, i cui ritagli vengono provocatoriamente musealizzati da Miroglio in una serie di contenitori espositivi che isolano le priorità dello sguardo maschile/maschilista (il sedere, il seno, la bocca, il sesso), viene importato fedelmente dal testo costiano fin dall’incipit: «una donna/campione (per una massa di prodotti destinata | ad essere venduta) | tagliata per il lungo o di traverso, sex/zionata nelle parti | destinata all’offerta | colorata nei punti del suo valore d’uso» (ibidem). Il virtuosismo di Costa inventa una sorta di ‘ecfrasi sociologica’ del quadro, in un cocktaildi Marx&Sade che qualificherà programmaticamente anche la prosa di La sadisfazione letteraria e Inferno provvisorio.

Come la scrittura saggistica pedina la pittura, così i disegni mimano la poesia restituendone alcune costanti, visualizzate e interpretate attraverso un’ermeneutica figurativa d’autore. In particolare, il principio della moltiplicazione caleidoscopica di immagini (dita, piedi, organi senza corpo, omuncoli stilizzati) risponde a una generale coazione alla moltiplicazione distintiva dello stile costiano. In alcuni disegni, sequenzializzati in una sorta di dinamismo boccioniano ‘a fumetti’, sembra di leggere in controluce i versi delle poesie più celebri. Ad esempio, i due personaggi che si squadrano a gambe aperte nel disegno di p. 28, non assomigliano a una versione sguaiata de I due passanti? E non è un’Improbabile messa in scena dell’Amleto quella tratteggiata a p. 43, con un attore che si prova una moltiplicazione di maschere allo specchio, di fronte a una platea di spettatori di cartone, altrettanto spersonalizzati e riproducibili in serie?

La «moltiplicazione» è forse la figura retorica del sistema poetico costiano, che si articola concretamente in diverse strutture formali.

In primo luogo, la moltiplicazione come iterazione di parole o sequenze testuali. È un meccanismo di sdoppiamento combinatorio che interessa capillarmente la produzione di Costa, dall’insistenza su anafore o frasi-ritornello ripetute nello spazio di una singola poesia – si pensi alla litania anaforica di Dayenu (1964) –, a componimenti giocati interamente sulla duplicazione di tessere pressoché identiche, giustapposte nello spazio della pagina e riproposte al lettore in combinazioni sempre diverse, come avviene in Ripetibile (1967) o in Prove per una messa in italiano (1967). La produzione di Costa, dopo Pseudobaudelaire, si declina in un tema e variazioni capriccioso e abissale, in cui il processo di iterazione variata viene esibito a partire dai titoli (per citare sparsamente alcuni esempi, Differenze fra due film uguali, Differenza tra due disegni uguali, Duplicazione del tuffatore, Caccia ai sette errori nello stesso film visto due di seguito, e così via). La funzione di questo vertiginosa riproducibilità della ‘differenza identica’ consiste nel pungolare il lettore forzandolo a un processo di continuo di straniamento (il senso risiede nella parola, nella sua copia o nel processo per cui una parola si raddoppia all’infinito, sconfessando se stessa e identificandosi con il suo contrario?).

Il meccanismo della moltiplicazione viene poi a costituire una sorta di «cornice», è il collante macrotestuale che organizza il percorso della lettura nelle principali raccolte di Costa. È un vero e proprio personaggio, la Ripetizione, che ‘scorta’ il lettore tra materiali nonsense e giochi linguistici, ponendosi come unico bodyguard che garantisca una parvenza rassicurante di ‘trama’ narrativa. Si veda, ad esempio, l’impianto strutturale di Le nostre posizioni o The complete films, in cui la ‘storia’ – se c’è – si costruisce attraverso la creazione di motivi formulari (L’uomo invisibile, Leda, Narciso, la trappola, la gru, etc.).

C’è, inoltre, una moltiplicazione ‘teorica’ sottesa a questa serie di moltiplicazioni testuali e stilistiche, che riguarda il concetto di creazione come ciclica riproduzione di alcune costanti (simboli? archetipi junghiani?). Del resto, La sadisfazione letteraria – il manuale costiano per la (dis)educazione dello scrittore – inizia proprio con una riflessione meta-poetica relativa al concetto di narrazione come ripetizione infinita ed ennesima di un Ur-racconto («resteremo per tutta la durata di questo racconto, che come tutti i racconti ha il pregio di esserci già stato raccontato, completamente nudi e abbandonati»).

La moltiplicazione, infine, come problema identitario, un invito a uno sguardo ‘doppio’ sul reale, che ne contempli simultaneamente la superficie e il retro. Questa forma di strabismo della visione comporta una costante interrogazione sull’autenticità, in cui immagine e riflesso, soggetto e doppio si scambiano continuamente le maschere. La moltiplicazione svela l’identità polimorfa del personaggio, Narciso diventa «un duplice | narciso senza precisa | identità» (Narciso gioca con una palla che rimbalza una sola volta, in The complete films). Si sfaldano le categorie spazio-temporali (prima/dopo, alto/basso, sinistra/destra) e quelle legate alla soggettività (uomo/donna, uomo/animale); je diventa un autre nel momento stesso in cui avvia il movimento della comunicazione, l’Origine (come già insegnava Heidegger) è costitutivamente doppia. Da questa moltiplicazione e non-coincidenza del sé con la propria immagine deriva un interesse prioritario per figure come l’ermafrodito o l’androgino. In questo volume, nella Lettera a Roberto Lupo (p. 60), dedicata a un collage dell’artista intitolato significativamente Ermafrodito, la tendenza a non liquidare ma a mantenere operativa la tensione tra opposti si ritrova anche nel commento ‘in forma di epistola’ all’opera di Lupo, i cui elementi incollati assieme (un muro, delle uova, il volto di una modella) «godono ciascuno di un diverso, distante e lontanissimo spazio proprio» e «non si mescolano assieme come vorrebbe la tecnica usata» (ibidem). Non soltanto il tema, ma anche lo stile può essere androgino. Il collage selon Costa, pertanto, è una forma costitutivamente ‘ermafrodita’ e moltiplicante, perché mantiene divaricata l’eterogeneità degli elementi senza risolverli in una sintesi artificialmente univoca.

Il volume uscito per Argolibri comprende e compendia tutte queste forme di moltiplicazione, regalando al pubblico un manuale di istruzioni (rigorosamente non prescrittive) per affiancare la lettura dell’opera poetica, saggistica e teatrale. In particolare, lo scritto eponimo della raccolta, La moltiplicazione delle dita («Il Caffè Letterario e Satirico», 4/5/6, 1970), offre un esempio perfetto per prendere un congedo (provvisorio) dal libro. Pubblicato con un corredo di disegni di Costa e fotografie di opere di Claudio Parmiggiani, questo eccentrico oggetto intermediale rappresenta un curioso caso di collaborazione ‘a sei mani’ (due di Parmiggiani e quattro di Costa, esegeta e disegnatore). A partire da un pretesto esterno (la figura di Ātman, il ‘soffio vitale’ nell’Unpanishad), il poeta ricostruisce dapprima una trafila etimologica (molto villiana) – «Atman (o colui che apre le ali) alatman(o), al-man, ha la mano come due ali che si aprono in mano» – da cui ricava l’immagine centrale del testo: quella delle cinque dita «provocatrici di sonorità insensate», in una «chiromanzeria» che, come un prototipo di teoria letteraria della manipolazione, si appropria delle tavole di Parmiggiani (p. 63). Il contenuto delle opere fotografate da Parmiggiani, una «storia della contemplazione delle sue mani» (p. 65), crea l’innesco per la parallela operazione del poeta, che si propone di «illustrare, con quattro didascalie e un N. B., la vicenda di Atman che si è formata in mano al Parmanigiani» (ibidem).

Segue un curioso esperimento di decifrazione ecfrastico-filosofica – simile, nell’impostazione, alla riflessione di Foucault su Ceci n’est pas un pipe; come Magritte, le tavole di Parmiggiani vengono ‘spremute’ per convogliare una dichiarazione programmatica, finalizzata non alla descrizione locale del singolo disegno ma a una disamina complessiva del senso di questo «puzzle delle dita», sull’interrogativo che spalanca «l’oscuro traffico delle dita attorno ai buchi del corpo» (p. 69). Nel decrittare le suggestioni surrealiste dei disegni di Parmiggiani (che ammiccano volentieri al Max Ernst di Beim ersten klaren Wort), Costa inserisce una serie di frasi e sintagmi che sembrano estratti di peso dalla sua produzione poetica. Ad esempio, l’inizio del commento alla terza fotografia («da 1 a 2 da 2 a 5 il conto della vita, il conto delle dita è esatto», «alle dita recise, alla castrazione delle dita, all’inserimento delle dita in uno spazio di non / nessuna palpazione, di non / nessuna / corrispondenza, di non / nessuna / palpazione», etc.) potrebbe tranquillamente confluire in alcuni esperimenti poetici all’insegna della (falsa) enumerazione algebrica (per esempio, Rifare i conti o Sbagliare i conti, in Le nostre posizioni). A loro volta i disegni di Costa impongono un terzo livello di lettura, che integra e «moltiplica» il tema della mano attraverso una serie di piccoli personaggi che trasportano e ‘manipolano’ le impronte digitali dello stesso Costa, creando un pericoloso oggetto tridimensionale non identificato dai radar dei generi narrativi.

Come viatico finale alla moltiplicazione dei lettori, concludo con alcuni abbozzi preparatori dell’intervento dedicato a Poesia e utopia (pubblicato su «Malebolge», 2, 1964), conservati presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia (cart. 96), in cui leggiamo un invito a rinnovare sempre l’eterna avventura della ripetizione:

L’allegoria del “nouveau” – secondo Adorno– è fissata da questi due termini:

1 UN INFINITO MOVIMENTO ROTATORIO, che tende a ripetersi

2 UNA AFFERMAZIONE DI IMMOBILITÀ, che lo registra

Colui che si affida all’avventura (che si abbandona alle sensazioni, termine essoterico del nouveau) praticamente tende a registrare continue REGRESSIONI.

All’inizio dell’avventura annuncio il NUOVO, il Regno, l’Utopia, alla fine dell’avventura ciò che ti porto è la RIPETIZIONE.


La pubblicazione de La moltiplicazione delle dita si inserisce all’interno di una fortunata stagione di riscoperta editoriale della figura di Corrado Costa – in linea con i due volumi recentemente ripubblicati da Benway (La sadisfazione letteraria e Le nostre posizioni). La casa editrice Argolibri ha avviato, inoltre, un progetto di pubblicazione dell’opera omnia in collaborazione con la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia (presso la quale è conservato il suo archivio), il cui primo volume (dedicato alle Poesie infantili e giovanili, finora inedite) uscirà a maggio. All’interno del libro si trovano riuniti tutti gli scritti e i disegni costiani apparsi sul «Caffè Letterario e Satirico», la storica rivista di Giambattista Vicari (1967-1975), oltre a un inserto pieghevole con la riproduzione della Lettera smarrita («Il Male», 3, 1980) e la trascrizione di una lettera di Franco Fortini a proposito di Pseudobaudelaire (7 agosto 1964

Corrado Costa, La moltiplicazione delle dita, a cura di Andrea Franzoni e Roberta Bisogno, Argolibri 2019, pp. 115, € 15.

Il libro è ordinabile qui

Chiara Portesine

(Genova, 1994) Sta svolgendo un dottorato di ricerca presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, con un progetto intitolato "Il problema dell’ekphrasis nella poesia sperimentale del secondo Novecento: definizioni e proposte per un’antologia digitale".
Si è occupata, in particolare, di Emilio Villa, Corrado Costa, Edoardo Sanguineti e Andrea Zanzotto, mentre i suoi attuali interessi di ricerca riguardano il rapporto tra letteratura, arte e fotografia, e l’impatto dei nuovi media sulle riflessioni teoriche e sulla prassi poetica del Gruppo 63.

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